“I dirimpettai”, tra televisione, letteratura e satira sociale

“I dirimpettai”, tra televisione, letteratura e satira sociale

Tra le tante questioni che, mutuando la fortunata battuta di un famoso film di Sergio Leone, dividono il mondo in due categorie, ce n’è una di cui abbiamo spesso discusso su queste pagine e che riguarda la natura del rapporto tra il prodotto narrativo più tipico della letteratura, ovvero il romanzo, e quello più tipico della televisione di oggi, ovvero la serie.

In questa sfida, che in fondo non è altro che l’ennesima incarnazione dell’eterna sfida tra apocalittici e integrati, da una parte stanno coloro — gli apocalittici — che vedono un rapporto conflittuale tra i due prodotti — rapporto che il più delle volte è visto nella prospettiva della minaccia della televisione verso la letteratura —; dall’altra stanno gli altri — gli integrati — che invece tendono a vedere i due prodotti e i due medium come parti di un unico grande mondo, quello delle narrazioni.

È un libro che non può essere definito usando la classica tassonomia della letteratura: e infatti non è né un romanzo né una raccolta di racconti, è una sit com

Portando avanti la semplificazione, i primi pensano che le serie televisive siano la nuova letteratura e, che prima o poi, si affermeranno cancellando la lettura dalle nostre abitudini culturali; per i secondi, invece, serie tv e letteratura, essendo prodotti che fanno entrambi parte del mondo più vasto della narrativa, seppur diversi, non si uccideranno mai, ma, al contrario, si arricchiranno sempre di più l’uno con l’altro, perché, banalmente, non sono in concorrenza.

Quest’ultimo libro di Fabio Viola, intitolato I dirimpettai e pubblicato da Baldini&Castoldi, si inserisce esattamente al centro di questo dibattito, e, se vogliamo restare entro i confini della metafora spaghetti-western, è un proiettile che si infila molto bene nella cartucciera degli Integrati. Lo fa per diversi motivi.

Il primo c’entra con la tassonomia: questo libro infatti, pur portando in copertina il termine “romanzo”, è un libro che non può essere definito usando le classiche categorizzazioni della letteratura: e infatti non è né un romanzo né una raccolta di racconti, è una sit-com — come peraltro viene definita anche dall’autore stesso nella postilla finale — probabilmente la prima del genere, o quanto meno una delle pochissime, della letteratura italiana.

Della sit-com, I dirimpettai ha i tempi — sia di scrittura che di lettura —, la staticità dei personaggi, l’identità dei luoghi, ma, soprattutto, quella quarta parete che è il punto di vista che l’autore ci dà sul mondo raccontato, e che trasforma la lettura di questo libro in un’esperienza a tutti gli effetti da voyeur.

L’unica cosa che manca a I dirimpettai per essere la trascrizione di una vera sit-com all’americana sono le risate che sanciscono i momenti comici

L’unica cosa che manca a I dirimpettai per essere la trascrizione di una vera sit-com all’americana sono le risate che sanciscono i momenti comici, mancanza che più che essere dovuta all’impossibilità di inserire nel testo, in corrispondenza dei momenti clou, una clip registrata, è dovuta a un’altra cosa: una caratteristica che è poi quella che rende questo libro un libro riuscito.

Si tratta di una sorta di gioco di specchi che fa in modo che la critica — decisamente feroce — che emerge dal racconto delle avventure dei due dirimpettai, pur essendo, come ogni satira, diretta dall’alto di chi narra al basso di chi è narrato, è anche, contemporaneamente, sparata ad alzo zero direttamente in faccia al lettore, che pur non riconoscendosi nel cinismo e nella povertà morale dei due protagonisti e del mondo che gli gira intorno, si sente coinvolto, e, proprio per questo, non riesce mai a ridere di gusto delle sgangherate avventure che vede scorrere sulle pagine.

Spesso il modo migliore per definire un libro lo si trova nel libro stesso che, inavvertitamente, rivela se stesso in un passaggio, una specie di frattale, che riassume tutto. Nel caso de I dirimpettai di Fabio Viola, questo frattale è a pagina 130, durante la rara visita, a casa dei dirimpettai, di Mario e Flaminia, rispettivamente cognato e sorella di Andrea, il dirimpettaio più anziano. Il dialogo che ne scaturisce è, come gran parte dei dialoghi del libro, secchissimo, e tutti i personaggi ne escono a pezzi, tranne il dirimpettaio più anziano, che nella sit-com è quello intelligente, scaltro e cinico.

In televisione scorrono le immagini grottesche di una puntata di Real Time dedicata a uomini che si sottopongono a interventi chirurgici “per correggere l’eccessiva curvatura del pene”. Il dialogo che ne scaturisce è interessante, e ci dice qualcosa anche del nostro rapporto, da lettori, con il libro che abbiamo davanti:

«Allora, dimmi un po’», riprende Flaminia rivolta al fratello. «Un programma così per chi sarebbe?»
«Per noi quattro, che ci schifiamo per finta perché non abbiamo nient’altro di cui parlare, poi finiamo a compatire quegli storpi perché non essendo deformi come loro ci sentiamo privilegiati e ci viene voglia di comprare cose.»

Per un attimo, l’universo grottesco dei dirimpettai e quello di noi lettori si tocca. Gli attori diventano a loro volta spettatori e inverano la regola che dice che ognuno è lo storpio di qualcun altro. E noi che leggiamo, e che contemporaneamente abitiamo il mondo che Viola ha ritratto con tanto feroce sarcasmo, non siamo, in fondo, molto meno squallidi di loro.

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