Venerdì 13 marzo il ministro per il settore abitativo egiziano, Mustafa Madbuly, ha annunciato che l’Egitto costruirà una nuova capitale ai margini della metropoli del Cairo. Il progetto è gigantesco e Madbuly non ha risparmiato gli annunci impegnativi: a un costo di 45 miliardi di dollari e in soli cinque o sette anni di tempo, una nuova città in grado di ospitare cinque milioni di persone sorgerà a est dell’attuale capitale.
La nuova città (questo il sito ufficiale del progetto) non ha ancora un nome. Madbuly ha detto che, quando la costruzione sarà completata, i ministeri, il parlamento e le ambasciate straniere verranno trasferite nella nuova metropoli, che avrà un nuovo aeroporto, un gigantesco parco di divertimenti grande quattro volte Disneyland, duemila scuole e centinaia di strutture sanitarie.
I motivi che hanno spinto al progetto faraonico – l’area prevista per la costruzione è di 700 chilometri quadrati, quasi quattro volte il comune di Milano – sembrano chiari: il ministro ha citato le previsioni demografiche secondo cui, entro i prossimi 40 anni, la popolazione dell’area metropolitana del Cairo raddoppierà. Già oggi il Cairo è la più grande area urbana dell’Africa, in cui oggi si stima che vivano oltre 18 milioni di persone. Il ministro ha detto che la nuova capitale risolverà i problemi di congestione e inquinamento dell’attuale capitale egiziana.
Il progetto ambisce anche a dare una svolta decisiva all’economia del paese, che negli ultimi anni ha sofferto, oltre che per i cronici problemi dovuti alla burocrazia e all’onnipresenza di una macchina statale inefficiente, per l’instabilità sociale seguita alla caduta di Hosni Mubarak.
L’annuncio è stato fatto a Sharm el-Sheikh, proprio durante una conferenza per attrarre capitali stranieri nel paese mediorientale. Il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno promesso aiuti e investimenti per circa 4 miliardi di dollari ciascuno. La nuova città sarà costruita da una grande società privata degli Emirati, la Capital City Partners di Mohamed Alabar, l’imprenditore che ha costruito il Burj Khalifa di Dubai, l’attuale grattacielo più alto del mondo.
La nuova capitale dovrebbe sorgere in terreni attualmente occupati solo dal deserto e la grandiosità più volte ribadita dal ministro Madbuly è stata accolta con un certo scetticismo, visti i precedenti.
Uno degli slogan che hanno accompagnato la caduta di Mubarak diceva «un chilo di carne costa 100 sterline egiziane, ma un metro quadrato a Madinaty costa mezzo pound». Madinaty è una delle decine di nuove città costruite durante il regime di Mubarak ai margini del Cairo, ogni volta con piani grandiosi ma finite spesso come città fantasma nel deserto nonostante le politiche di ricollocazione forzata.
Una lunga tradizione
Il Cairo è la capitale dell’Egitto dal X secolo, ma il paese ambisce ad aggiungersi alla lunga lista di chi ha deciso di costuire una nuova sede del governo dal nulla (con cinque milioni di abitanti, sarebbe la più grande nuova città della storia umana). Il caso più noto è forse quello di Brasilia, la capitale del Brasile progettata da Lúcio Costa e Oscar Niemeyer negli anni Cinquanta e inaugurata nel 1960.
Molti altri stati hanno portato a termine progetti simili negli ultimi anni. Dei circa duecento paesi del mondo, almeno una decina in tutti i continenti hanno come capitale una città costruita dopo il 1900.
I motivi sono disparati. A volte si tratta della megalomania dei leader politici. Questo è forse il caso della nuova capitale egiziana ma sicuramente di Oyala, la città che sta venendo costruita dal nulla nella giungla della Guinea Equatoriale, uno dei paesi più poveri del mondo, per volontà del presidente Teodoro Obiang – salito al potere nel 1979 e detentore dell’attuale record mondiale di longevità in carica, monarchi esclusi. Oyala dovrebbe ospitare 200 mila persone, una volta completata. Un obiettivo ambizioso, se si conta che tutto il paese ha 1,6 milioni di abitanti e che oggi essi vivono per la maggior parte molto più a ovest, lungo la costa.
Ma è proprio la posizione geografica lontano da qualsiasi cosa che attira Obiang: ha detto in un’intervista con Bbc che la città sta venendo costruita per dare «un posto sicuro al mio governo e a quelli futuri». La sua ossessione per la sicurezza è stata aggravata da un colpo di stato fallito nel 2004, mentre il presidente si sente al centro di complotti stranieri che riguardano tanto lui quanto il figlio Teodorin, l’erede designato, sotto inchiesta in Francia e negli Stati Uniti.
Paranoie dei leader a parte, spostare la capitale ha spesso motivazioni legate alla sicurezza. Negli anni Cinquanta il Pakistan, da poco separatosi dall’India, decise che la città di Karachi nell’estremo sud, sulla costa del Mar Arabico, era troppo vulnerabile da possibili attacchi dal mare e catastrofi naturali. Una commissione governativa istituita nel 1958 scelse quindi il sito ideale per una nuova capitale: alla fine fu scelta un’area vicino alla città di Rawalpindi, nel nordest del paese. Nell’arco di pochi anni sorse Islamabad – che significa “città dell’Islam” – sede del governo dal 1963.
Più di recente, il padre-padrone del Kazakistan Nursultan Nazarbayev ha deciso un simile spostamento da Almaty, la storica capitale nell’estremo sudovest del paese, a uno sperduto paesino nel mezzo della steppa chiamato Akmola, “il cimitero bianco”. Nonostante le temperature gelide durante i mesi invernali e il vento costante, la nuova capitale è stata costruita dal nulla nell’arco di pochi anni. La sede del governo è stata trasferita ufficialmente nel 1997 e l’anno successivo la località ha ricevuto il suo nuovo nome: Astana, che significa semplicemente “la capitale”.
Altre volte le capitali costruite dal nulla hanno l’obiettivo di superare le divisioni regionali, come nel caso di Abuja, la capitale della Nigeria costruita nel centro del paese nel corso degli anni Ottanta. È diventata ufficialmente la sede del governo nel 1991 al posto della caotica Lagos, ancora oggi la prima area metropolitana del paese: da allora è cresciuta molto rapidamente ed è famosa per il lusso delle aree centrali, da una parte, e per le baraccopoli che sorgono ai margini.
In altri casi, i criteri di selezione sono stati più bizzarri. Nel 2005, il regime militare della Birmania annunciò improvvisamente che tutte le strutture di governo sarebbero state trasferite 320 chilometri a nord della storica capitale Rangoon (o Yangon). All’insaputa dei birmani – e di gran parte del mondo – la giunta stava costruendo da pochi anni una nuova “città dei re”, Naypyidaw, in un’area poco accessibile nel mezzo della foresta.
La costruzione della nuova capitale, con l’aiuto di imprese cinesi, ha assorbito per qualche anno una parte consistente del Pil del povero paese asiatico, unendo una grandeur da regime totalitario a una bizzarra fede nelle indicazioni dell’astrologo di fiducia dell’allora dittatore Than Shwe – che sembra abbia indicato con l’aiuto degli astri, ad esempio, l’ora esatta a cui fare l’annuncio del trasferimento e la data dell’inaugurazione.
La giunta militare non è più al potere dal 2011, e il paese sta attraversando una lenta fase di transizione e apertura alla democrazia, ma Naypyidaw, una città semivuota secondo i pochi occidentali che sono riusciti a visitarla, resta la sede ufficiale del governo e un concreto promemoria delle follie dei dittatori.