Lo hanno chiamato il “fenomeno Nollywood”, riprendendo una fortunata etichetta coniata per il cinema indiano e importandola nell’Africa subsahariana, più esattamente in Nigeria — da qui la N — la patria di uno dei fenomeni cinematografici più interessanti degli ultimi anni.
Nato in circostanze causali e rocambolesche nel 1992, come racconta l’Economist, il fenomeno si è imposto all’attenzione mondiale quasi dieci anni fa, nel 2006, quando una ricerca dell’Unesco aveva fatto emergere dei dati straordinari: il cinema nigeriano, Nollywood, per l’appunto, aveva superato di gran lunga il cinema americano per la quantità di film prodotti: 872 contro 485. Numeri pazzeschi, seguiti da dati economici ancora più impressionanti, che parlavano di centinaia di migliaia di copie vendute.
Per capire meglio il fenomeno Nollywood e le tendenze del cinema africano contemporaneo abbiamo incontrato Annamaria Gallone, co-direttrice fin dalla fondazione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano — che si terrà dal 4 al 10 maggio a Milano — una delle massime esperte italiane del tema.
Prima di tutto parliamo un po’ del Festival, che è arrivato alla venticinquesima edizione e sta per partire. Quando avete iniziato?
La prima edizione è stata nel 1990, ma avevamo già iniziato nel 1987 con una rassegna che si chiamava Il lontano presente, all’Auditorium San Fedele abbiamo proiettato forse per la prima volta in Italia un film africano. Era Nyamanton, la lezione dell’immondizia, di Cheick Oumar Sissoko. A quell’epoca avevamo un’energia e una forza economica che ci permetteva di comprare i diritti dei film e di portarli in giro per l’Italia.
E poi cos’è cambiato?
Negli ultimi anni, quest’ultimo soprattutto, le difficoltà sono aumentate molto: per prima cosa abbiamo perso il contributo dell’Eni, che ci aveva accompagnato da anni per tutta la durata del festival, ma che ora non ci finanzia più, un po’ per decisioni di politica interna a Eni, un po’ per la crisi, immagino. Peccato perché era un contributo molto importante. Quest’anno le difficoltà economiche sono aumentate, paradossalmente, a causa dell’Expo, perché tutte le industrie, le aziende e gli enti che ci sostenevano, quest’anno hanno spostato i loro investimenti su Expo. Il paradosso è che noi abbiamo dato un sacco di spazio a Expo pensando di poter avere una collaborazione molto più stretta, pensa che è da tre anni che abbiamo spostato la programmazione a maggio proprio per entrare nei programmi dell’Expo. E il risultato è stato che il primo anno ci hanno dato un piccolo contributo, poi più niente. Mentre quest’anno ci siamo resi conto che è stato addirittura controproducente, perché in questo periodo è tutto molto più complicato: certo, c’è molta più gente in città, ma è gente che andrà soprattutto a Expo, e una conseguenza che sul nostro lavoro pesa tantissimo è il fatto che, per esempio, gli hotel sono molto più cari – fino a quattro volte tanto — e quindi abbiamo dovuto ridurre il numero dei registi che abbiamo invitato e assottigliare alcune sezioni. Siamo riusciti comunque a organizzare un’edizione importante, di tutto rispetto, con oltre sessanta film, però — anche se il pubblico non se ne accorgerà — ma è stato faticosissimo chiudere il programma e l’organizzazione logistica.
«Purtroppo in questo momento l’Africa non è per niente feconda a livello cinematografico»
Negli ultimi anni si parla molto del fenomeno Nollywood, che produce numeri straordinari, ma come sta il cinema africano oggi?
Purtroppo in questo momento l’Africa non è feconda a livello cinematografico, o meglio, non è così feconda e ricca dal punto di vista artistico, un valore che per noi è centrale, perché siamo un festival che non sceglie i film soltanto per la loro origine geografica.
Come funziona il vostro processo di selezione?
Non abbiamo griglie tematiche, e tanto meno non facciamo alcun tipo di censura, scegliamo in base alla creatività e al valore artistico, alla qualità delle pellicole insomma. E ultimamente devo ammettere che è diventato sempre più difficile trovare dei prodotti di qualità.
«La qualità media si è abbassata tantissimo negli ultimi anni, anche per l’avvento del digitale e, in parte, per il fenomeno Nollywood»
A cosa è dovuto questo abbassamento della qualità?
Un primo motivo è stato la massiccia diffusione del digitale, che da una parte è stato uno strumento fantastico perché ha dato a tantissimi registi giovani che altrimenti non avrebbero mai potuto fare un film la possibilità di esprimersi, ma dall’altra parte ha abbassato tantissimo la qualità media, perché ha dato la possibilità di filmare a chiunque avesse una telecamera o addirittura un telefonino. Un altro fenomeno che sta contribuendo ad abbassare la qualità media drasticamente non si può negare che sia proprio il fenomeno Nollywood, che sforna migliaia di film all’anno ed è un’industria che sta crescendo spaventosamente, ma che purtroppo non produce ancora materiale di qualità.
«Le soluzioni produttive sono assolutamente originali: tempi ridotti fino anche a pochi giorni e attori improvvisati»
Mi spieghi meglio il fenomeno Nollywood?
È un fenomeno molto interessante, ma da contestualizzare. La prima caratteristica sono le soluzioni produttive, assolutamente originali, se così possiamo definirle. Noi abbiamo ospitato qualche anno fa una serie di produttori, registi e attori nollywoodiani ed è stato divertente e interessante incontrarli. Mi ricordo un produttore che si vantava di produrre i suoi film in tre giorni, a casa di suo cugino, usando attori che in realtà erano amici e parenti e pubblicando circa 2000 copie per ogni titolo, copie che andavano esaurite molto rapidamente, nel giro addirittura di 24 ore, tanto rapidamente che erano più veloci della pirateria. Questo è un esempio, ma il discorso si può estendere facilmente. È un mercato straordinario e ancora in espansione, perché non si limita ai mercati locali, ma è venduto anche all’estero, in tutta la diaspora nigeriana.
Ma di che film si tratta? Quali sono le tematiche?
La gran parte sono storie di magia nera, o di corna tradimenti e passioni, oppure ancora di corruzione, insomma, tematiche molto vicine alla gente e che quindi hanno una presa sul pubblico altissima. Un dettaglio interessante a livello sociologico è che, visto che di cinema ce ne sono sempre di meno, questo genere di prodotti viene consumato in gran parte in videoclub improvvisati, sale in cui si raduna la gente che non ha la televisione in casa. Una cosa interessante è che intorno a questo genere di film si è sviluppato un vero e proprio fandom, e gli attori diventano veramente delle star, molto più che gli attori del cinema africano diciamo “classico”, che spesso sono attori africani, ma che vivono in Europa, soprattutto in Francia. Invece gli attori di Nollywood vengono riconosciuti per strada, si è formato un vero e proprio star system.
«La gran parte sono storie di magia nera, di corna tradimenti, passioni, di corruzione, tematiche che hanno una presa sul pubblico altissima»
E a livello economico come funziona?
Con costi di produzione così bassi e vendite così alte, l’industria di Nollywood fa un sacco di soldi e gli attori sono pagati molto bene, a differenza degli attori del cinema tradizionale. In qualche modo i giovani registi africani oggi si trovano davanti a un dilemma: o provano a fare il film “vero” con una troupe e un lavoro professionale, mettendoci sforzi, energia e soldi, ma senza quasi avere la possibilità di portarli in giro, visto che non ci sono quasi più cinema, né festival e nemmeno un vero e proprio pubblico; oppure si mettono a fare questo genere di prodotti, che assicurano guadagni veloci e consistenti, ma che sono di qualità generalmente molto bassa.
«Ora che la Francia ha dimezzato, se non addirittura azzerato i fondi, il cinema africano d’autore è in grossa difficoltà»
A parte Nollywood, che cosa è cambiato negli ultimi anni nel panorama cinematografico africano?
A livello numerico si è abbassata la produzione di film per il cinema, mentre sono aumentati quelli per la televisione, che spesso ci arrivano spacciati come prodotti cinematografici, ma hanno un taglio assolutamente televisivo. Prendiamo il caso del Marocco, per esempio, che produce tantissimo ed è uno dei paesi più fecondi, ma su una quarantina di prodotti che ci manda ne riusciamo a selezionare solo uno o due al massimo, perché la qualità è abbastanza bassa. C’è un’altra dinamica oltre a auelle che ti ho citato prima che secondo me sta mettendo in difficoltà il cinema africano: è il fatto che quasi tutto fino a qualche anno fa era finanziato dalla Francia, e ora che la Francia ha dimezzato, se non addirittura azzerato i fondi, il cinema africano d’autore è in grossa difficoltà.
«Ogni tanto ci troviamo nell’imbarazzo di definire un film come “africano”, perché solo il regista lo è, e quasi sempre non vive neppure più lì»
Chi sono le realtà europee che producono di più in Africa?
Adesso i principali produttori di film africani diciamo d’autore sono le televisioni europee, Arté, Canal+, BBC. MA questi film sono prodotti ormai praticamente europei, e infatti girano nei cinema e nei festival europei, la maggior parte in Francia. Ogni tanto ci troviamo nell’imbarazzo di definire un film come un film africano, perché il regista può essere anche africano, ma se vive da vent’anni a Londra, se lavora con una troupe europea, la produzione anche.
«In assoluto è tra i documentari che troviamo i prodotti migliori in questo momento, un settore dove sta aumentando molto la presenza femminile»
Dal punto di vista tematico, invece, che è successo, cos’è cambiato?
Anche in questo caso devo dire che c’è stato anche un grande cambiamento. Fino a qualche anno fa era molto forte il tema del villaggio, l’Africa tradizionale o i film di denuncia — pensa che Ousmane Sembène diceva che la camera dei cineasti africani non parlava, gridava. In questo senso c’è stata una grande evoluzione e il villaggio, la capanna e tutto l’immaginario che piace molto a noi occidentali non esiste quasi più. È molto presente il racconto dell’Africa urbana, ed è molto interessante, come molto interessanti sono i documentari, un genere che noi mettiamo nella stessa sezione delle fiction, che si chiama Finestre sul mondo. In assoluto è proprio tra i documentari che troviamo i prodotti migliori in questo momento, che si concentrano un po’ sulla riscoperta della storia africana, da quella più o meno recente come quella del Ruanda e dell’Apartheid, fino a quella più antiche delle epopee e degli imperi di un tempo, ma soprattutto sull’attualità.
C’è qualche tendenza interessante nel cinema documentario?
Un bellissimo segnale è l’aumento delle donne dietro la telecamera, come se le donne africane oggi avessero più voglia di fare un percorso introspettivo personale, anche quando parlano di storie del proprio paese. E tra l’altro questa presenza femminile nella documentaristica è uno dei tratti in comune tra il cinema del Maghreb e quello dell’Africa subsahariana, che per tutto il resto sono profondamente diversi. Ci sono giovani autrici in questo campo che sono molto promettenti. Per la selezione del festival stiamo molto attenti a questo genere di novità. Ormai è una nostra cifra l’attenzione per le nuove leve, è una attenzione che abbiamo allenato fin dalle prime edizioni, all’inizio degli anni Novanta. Tant’è che se possiamo vantarci di qualcosa, quel qualcosa è aver accompagnato fin dagli esordi molti autori che poi si sono imposti all’attenzione della critica e del pubblico. Penso ad autori come Idrissa Ouédraogo, di cui abbiamo presentato il primo documentario, o come Abderrahamane Sissako, di cui abbiamo presentato il primo corto, che poi era la sua tesi di laurea.
Si potrebbe dire quindi che il cinema africano più autentico di oggi è quello di Nollywood piuttosto che quello, per così dire, d’autore?
Io credo ancora negli autori, nella creatività, nella preparazione, e quindi ti direi di no, non ancora. Anche perché se è vero che la produzione di questi film sono europee, è anche vero che raccontano storie africane anche se rivisitate.
C’è stata un’ibridazione?
Sì, assolutamente. La struttura narrativa del cinema africano, fino a circa 15-20 anni fa, era molto legata alla tradizione orale, una tradizione fondante per tutta la cultura africana. Adesso questa cosa è stata abbandonata, ormai i registi africani filmano con strutture narrative molto vicine se non identiche a quelle a cui siamo abituati noi in Europa e Stati Uniti. Prendiamo il caso di Timbuctù, un film africano che quest’anno ha avuto uno straordinario successo e che, pur parlando di tematiche decisamente africane, quali la guerra, il terrorismo, l’integralismo islamico, lo fa usando strutture decisamente occidentali e, per le sue caratteristiche narrative, potrebbe essere tranquillamente un film francese. La contaminazione ormai è totale. Devo dire, con una punta di tristezza, che ormai ci sono ben pochi film africani — ad esclusione del fenomeno Nollywood — che siano veramente africani. L’ultimo l’ho visto al festival di Ouagadougou, era un film di Sissako, girato interamente in Africa con una troupe africana, ma devo dire che purtroppo è un film molto scadente, ad ogni livello, dalla sceneggiatura alla regia, dalla fotografia alla recitazione. La cinematografia africana è veramente una parte importantissima della mia vita — ho vissuto in Africa per vent’anni, ho conosciuto moltissimi grandi maestri — ma devo constatare con profondo dolore, in questo momento il cinema africano è debole.
Cosa è successo quindici anni fa?
È cambiato lo stile, dato che ormai quasi tutti i grandi registi africani vivono in Europa e si sono formati in Europa. Non è una novità il fatto che i registi si formino in Europa, in Francia soprattutto per ovvie ragioni linguistiche e post coloniali, ma se una volta dopo la formazione tornavano in Africa, non solo per lavorare, ma soprattutto per vivere, ora quasi nessuno di questi autori vive più in Africa.
«La grande speranza è che l’esperienza nollywoodiana possa maturare e, oltre che alla quantità, che inizi a lavorare anche sulla qualità»
Un’ultima domanda, per chiudere: secondo te il fenomeno Nollywood potrebbe portare a una sorta di rinascimento della cultura cinematografica africana o resterà un fenomeno più sociologico che artistico?
La grande speranza è che l’esperienza nollywoodiana possa maturare e, oltre che alla quantità, che inizi a lavorare anche sulla qualità. Le possibilità ci sono e si spera che, con il tempo, i giovani registi che ora stanno girando film di quel tipo decidano di osare e provare a fare film d’autore, che si prendano il tempo necessario — non tre giorni — che frequentino delle scuole o che si formino in maniera consapevole, che abbiano voglia di mettersi in gioco e fare film migliori. Ancora però non ci siamo, quelli che abbiamo ricevuto quest’anno sono veramente scarsi, ogni tanto anche, mi duole dirlo, un po’ inavvertitamente grotteschi. Però potenzialmente, facendo girare soldi e creando un pubblico, qualcosa di buono potrebbe nascere. Almeno è quello che io spero, perché se di maestri ce ne sono rimasti pochi in attività, tra i giovani c’è grande fermento. Per ora le cose migliori — e decisamente interessanti — vengono da giovani registi che si sono formati e vivono in Europa, non certo da Nollywood. Ma staremo a vedere come si evolverà.