Nel centenario dell’entrata in guerra dell’Italia nel corso della Prima guerra mondiale, una grande mostra in uno spazio espositivo milanese da poco rinnovato e dalle dichiarate ambizioni prova a restituire l’inquietudine del tempo e a mostrare il conflitto dal punto di vista di chi, prima, sentì arrivare la catastrofe, e di chi non si abbandonò al trionfalismo subito dopo.
Il 1° aprile ha aperto al pubblico presso le Gallerie d’Italia, in piazza della Scala a Milano, La Grande Guerra. Arte e artisti al fronte, sezione milanese di una grande mostra sulla Prima guerra mondiale che si sviluppa tra Milano, Vicenza e Napoli.
La mostra, curata dallo storico dell’arte Fernando Mazzocca con Francesco Leone e Anna Villari, si propone di ricordare la partecipazione dell’Italia alla Grande guerra attraverso le opere degli artisti del tempo. È anche l’occasione per conoscere lo spazio espositivo di Intesa Sanpaolo a pochi passi dal Duomo, attraverso la più ampia esposizione organizzata finora nell’ambito del Progetto Cultura della banca per valorizzare l’enorme patrimonio artistico di cui è venuta in possesso nel corso degli anni.
Partiamo dagli spazi, dunque: La Grande Guerra è ospitata per lo più al piano terreno del palazzo già sede della Banca Commerciale Italiana (il primo piano ospita ancora uffici del gruppo Intesa). La precedente destinazione è stata conservata, così che il visitatore si trova durante il percorso a girare intorno a una parete di sportelli bancari. Al piano sotterraneo c’è ancora il grande caveau della banca, oggi adibito al deposito delle opere.
È un palazzo che da solo vale una visita: è opera dell’architetto Luca Beltrami, che risistemò gran parte di piazza della Scala (sua è la facciata di palazzo Marino) e progettò altri storici palazzi milanesi come la sede del Corriere della Sera in via Solferino e la Sinagoga centrale.
Veniamo alla mostra. Gli storici hanno sottolineato da tempo come gli stati europei siano andati verso la Prima guerra mondiale come scivolando lungo un piano inclinato, in un crescendo di militarizzazione, retorica di guerra e scontri ai margini degli imperi coloniali.
I decenni precedenti furono dominati da un senso di catastrofe imminente, da un lato, e di destino ineluttabile dall’altro. A posteriori, la Grande guerra appare il tragico compimento di forze che venivano da lontano, e fu la prima realizzazione di un nuovo modo di fare la guerra – la guerra delle società di massa – che si sarebbe replicato di lì a pochi anni. La Prima guerra mondiale è stata quindi un punto di svolta della storia, come espresso dalla famosa contrapposizione di Eric Hobsbawn tra “il lungo Ottocento” – concluso appunto dalla guerra del 1914-1918 – e il successivo “secolo breve”.
Come è inevitabile, l’arte colse lo spirito del tempo. Le circa duecento opere, tra dipinti e sculture, de La Grande Guerra, organizzate in quattro sezioni e in una decina di sale, lasciano la rappresentazione vera e propria delle azioni militari in secondo piano, preferendo organizzare un discorso sulla guerra attraverso quanto sta intorno alla guerra.
Giulio Aristide Sartorio, dal ciclo Il poema della vita umana, 1906-1907, olio ed encausto a freddo su tela, 509 x 646 cm
Così troviamo, nel grande spazio centrale intorno a cui si sviluppa la mostra, il ciclo pittorico monumentale di Giulio Aristide Sartorio, autore tra l’altro del grande fregio all’interno della Camera dei deputati italiana. Presentato alla Biennale di Venezia del 1907 con il titolo Il poema della vita umana, le quattro enormi tele del ciclo dipinte in una tecnica unica, che le fanno assomigliare ad un bassorilievo, mostrano corpi tesi e nudi, talvolta riversi come nei sogni di Füssli, magri fino allo scheletrico, che trasmettono un cupo sentore di premonizione.
Nelle sale disposte intorno a questo spazio, la mostra si avvia con autori italiani che rappresentano i problemi sociali del nuovo mondo industriale italiano, con nomi come Galileo Chini, Felice Carena, Emilio Longoni e Pietro Canonica.
La rappresentazione dei poveri, dei malati, degli emarginati si alterna a opere più simboliche e mediate, ma il senso del tragico ritorna senza mediazioni nelle sala – intitolata Tutto vacilla – in cui si trovano alcune opere dedicate al devastante terremoto di Messina del 1908. Il merito principale de La Grande Guerra, insieme alla valorizzazione di alcuni artisti italiani per lo più sconosciuti al grande pubblico, è quello di trasmettere con una selezione molto curata lo spirito del tempo cupo e doloroso dei decenni intorno al conflitto.
Non tutti se ne accorsero e durante la Belle Époque l’ottimismo e l’elegante spensieratezza furono sentimenti molto diffusi, ma noi posteri non possiamo che leggere la storia attraverso il filtro di quanto venne dopo. E chi sentì l’inquietudine nell’aria e la trasferì sulla tela, come gli artisti de La Grande Guerra, appare oggi il precursore più sensibile dei tempi successivi.
I combattimenti veri e propri, come si diceva, sono per lo più suggeriti, così che quando il visitatore si trova davanti il dipinto Fuoco! di Anselmo Bucci, il grande pezzo d’artiglieria al centro della tela sembra quasi un corpo estraneo. La modernità della Prima guerra mondiale – in cui i carri armati e la guerra aerea fecero la loro prima apparizione, le mitragliatrici rivoluzionarono l’uso della fanteria, la propaganda raggiunse le masse con forza mai vista – viene lasciata sullo sfondo del percorso milanese per privilegiare gli elementi senza tempo che la accomunano a tutte le tragedie collettive. Non è un caso che molte delle opere scelte, e spesso le più interessanti, abbiano chiari richiami alla pittura neoclassica, uno dei principali campi di interesse del curatore Mazzocca, o rinascimentale, come nel trittico Madre di Cagnaccio Di San Pietro (1923).
Anselmo Bucci, Fuoco!, 1918, olio su tela, 110 x 150 cm
La guerra compare nella sezione dedicata ai futuristi come Balla, ma più come una celebrazione della modernità e del movimento che dell’eroismo presunto della battaglia, oppure nei quadri di piccolo formato – talvolta poco più di schizzi – dipinti da G. A. Sartorio quando, qualche anno dopo il ciclo della Biennale di Venezia, si arruolò volontario e vide di persona la guerra di trincea.
Le sale dedicate al primo dopoguerra hanno ugualmente poche concessioni al trionfalismo. Ogni opera d’arte dedicata alla vittoria – come il ciclo di Galileo Chini, tutta giocata sui toni del blu e dell’arancio, presentata alla Biennale del 1920 – in cui è chiaro l’intento eroico e celebrativo è controbilanciata, spesso nella stessa sala, da un’opera che ricorda l’assenza, la commemorazione delle vittime, gli sguardi vuoti dei reduci.
Grande spazio è dato poi in tutto il percorso a rappresentazioni con un chiaro intento allegorico, come i quadri di Giovanni Battista Costantini nella sala – tra le più d’impatto della mostra – dedicata alla figura della madre e al dolore per i caduti.
Gaetano Previati, L’Eroica (trittico), 1907, olio su tela, 190 x 230 cm (centrale); 190 x 155 cm (laterali)
Le opere provengono dalle collezioni di una sessantina di musei italiani e stranieri e da una trentina di collezioni private. Alcune sono state sottoposte a restauro e sono solitamente poco accessibili, come il ciclo centrale di Sartorio, o riscoperte solo di recente, come il quadro di Balla Dimostrazione interventista ritrovato due anni fa, nel corso di un restauro, sul retro di un dipinto figurativo intitolato Verginità.
Alla mostra si accompagna un articolato programma di iniziative per le scuole, spettacoli teatrali e proiezioni cinematografiche, in collaborazione con la Fondazione cineteca italiana di Milano, di oltre sessanta titoli che saranno presentati fino a luglio negli spazi delle Gallerie d’Italia. Nelle sedi di Napoli e Vicenza si trovano esposizioni dedicate rispettivamente alla propaganda bellica e al patrimonio artistico colpito dalla guerra.
Una volta terminato il percorso della mostra, vale una visita anche la collezione permanente di pittura dell’Ottocento, che si trova al primo piano dell’adiacente Palazzo Anguissola Antona Traversi. Per raggiungerlo, si attraversa lo spazio dedicato al Novecento, che ospita mostre mobili e un “cantiere” in cui ruotano alcune delle oltre tremila opere del secolo scorso di proprietà di Intesa.
Con oltre ottomila metri quadrati a disposizione e aperte nel 2011, le Gallerie d’Italia sono oggi uno degli spazi museali più grandi di Milano. La mostra La Grande Guerra è un primo saggio dell’ambizioso progetto di valorizzazione dell’imponente patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo, accumulatosi nel corso del tempo e specialmente negli ultimi anni, tramite le acquisizioni e le unioni con decine di istituti bancari più piccoli.
La Grande Guerra. Arte Luoghi Propaganda , curata da Fernando Mazzocca con Francesco Leone e Anna Villari, coord. generale Gianfranco Brunelli. Fino al 23 agosto alle Gallerie d’Italia, piazza della Scala 6, Milano; contra’ S. Corona 25, Vicenza; via Toledo 185, Napoli.
Orari: (Milano) mar-dom 9.30-19.30, gio 9.30-22.30, lun chiuso; (Na) mar-ven 10-18, sab-dom 10-20; (Vi) mar-dom 10-18.
Biglietti, con le collezioni permanenti: (Milano) intero € 10, ridotto € 8, rid. speciale € 5, gratuito scuole e min. 18 anni; (Na) intero € 7, ridotto € 5; (Vi) intero € 7, ridotto € 5. Info: 800.167619, www.gallerieditalia.com.
Le immagini sono per gentile concessione di Gallerie d’Italia. Tutti i diritti riservati.