La bomba atomica che cadde in giardino

La bomba atomica che cadde in giardino

Nel tranquillo pomeriggio dell’11 marzo 1958, un martedì, le sorelle Gregg – Helen di sei anni e Frances di nove – stanno giocando nella casetta costruita per loro dal padre Walter nel bosco vicino a casa, a Mars Bluff, in South Carolina. Mars Bluff è un minuscolo paesino della campagna americana, troppo piccolo per avere un ufficio postale, circondato da risaie e campi di cotone. Con loro c’è anche la cugina Ella Davies, di nove anni.

Verso le quattro le bambine si stancano e si spostano duecento metri più in là, nel giardino a fianco della casa. Walter Gregg, il padre di Helen e Frances, è un ferroviere di 37 anni. Quel pomeriggio si trova nel capanno degli attrezzi insieme al figlio Walter junior, mentre la moglie Ethelmae è in casa a cucire.

Di lì a qualche istante, la famiglia Gregg sarà protagonista di uno degli episodi più bizzarri della Guerra fredda, ma là nel mezzo dell’America profonda, in bel pomeriggio di marzo, non se lo può certo immaginare. A Mars Bluff non succede mai niente.

Qualche ora prima, alle otto del mattino, il capitano Earl Koehler, pilota di un bombardiere B-47, è arrivato alla base dell’aviazione appena fuori Savannah, in Georgia. Quel giorno il suo equipaggio di tre uomini deve effettuare una missione importante e impegnativa, parte dell’operazione “Spruzzata di neve”. Insieme ad altri tre B-47, deve trasportare alla base di Bruntingthorpe, nell’Inghilterra centrale, una bomba atomica di tipo Mark VI da 30 kilotoni – una potenza circa doppia rispetto a quella sganciata su Hiroshima.

Dopo essersi riforniti in volo al largo della costa canadese, l’equipaggio deve simulare lo sganciamento della bomba sopra l’Inghilterra inviando un segnale elettronico: i computer a terra calcoleranno l’accuratezza del lancio e assegneranno punti all’equipaggio di conseguenza.

Il lancio è finto, ma la bomba è vera: pesa 3,5 tonnellate ed è lunga poco più di tre metri. Quella mattina c’è stato qualche problema nel caricarla a bordo. Le operazioni hanno richiesto più di un’ora, ma alla fine la Mark VI è posizionata nel vano bombe dell’aereo.

La procedura standard prevede che la bomba, al momento del decollo, sia staccata dal gancio di sicurezza. Il B-47 è un aereo poco sicuro e pesantissimo. In caso di emergenza quando si alza in volo, il gancio di sicurezza scollegato permette all’equipaggio di liberarsi della bomba e perdere chili preziosi per la manovra. Dopo la partenza, se tutto va regolarmente, la bomba viene riagganciata.

Nella fretta di completare in tempo il carico della bomba ed evitare penalizzazioni, si scoprirà poi, la squadra a terra si è dimenticata di collegare il meccanismo che serve proprio al riaggancio dopo il decollo

Sono quasi le quattro del pomeriggio quando Koehler decolla. Comincia l’ascesa nei cieli della Georgia e gli strumenti gli segnalano che la bomba non è stata riagganciata. Il comando che permette di farlo, si accorge il capitano, sembra non funzionare.

Nella fretta di completare in tempo il carico della bomba ed evitare penalizzazioni, si scoprirà poi, la squadra a terra si è dimenticata di collegare il meccanismo che serve proprio al riaggancio dopo il decollo. Il capitano Koehler prova per un po’ con la levetta in cabina, poi si rassegna e dice al navigatore Bruce Kulka di andare nell’alloggiamento della bomba e di riattaccare il gancio a mano.

Kulka, che di mestiere non deve avere a che fare con le bombe e il loro caricamento, non ha idea di dove si trovi il gancio. Va nell’alloggiamento non pressurizzato – e troppo stretto per indossare un paracadute – e lo cerca senza successo per dieci minuti. Poi gli viene in mente che possa essere sopra la bomba, dove effettivamente è. Per salirci sopra – Kulka è piuttosto basso – si afferra a qualcosa sulla parte superiore. Il caso vuole che sia proprio la maniglia per il rilascio manuale della bomba.

Kulka è sopra la bomba, in una posizione inquietantemente simile alla celebre scena finale del Dottor Stranamore. Ma le porte non possono reggere a lungo il peso della bomba e dopo pochi istanti cedono

Le tre tonnellate della Mark VI cadono con un tonfo tremendo sopra le porte dell’alloggiamento, che per fortuna sono chiuse. Kulka è sopra la bomba, in una posizione inquietantemente simile alla celebre scena finale del Dottor Stranamore. Ma le porte non possono reggere a lungo il peso della bomba e dopo pochi istanti cedono. La Mark VI comincia la caduta libera verso le piccole fattorie del South Carolina, da un’altezza di cinque chilometri. Kulka riesce ad aggrapparsi a qualcosa e annaspando risale a bordo. Pochi secondi dopo Koehler e il copilota, che non avevano idea di che cosa fosse successo nel ventre dell’aereo, sentono il boato di una grande esplosione.

Alle 16.19 la bomba atomica trasportata dal capitano Koehler e diretta in Inghilterra è caduta nel giardino di casa Gregg. L’esplosione abbatte tutte le porte della casa, sbriciola i vetri, fa crollare il tetto, distrugge la nuova Chevrolet di Walter, uccide una decina dei polli che razzolavano liberi per la proprietà – alcuni furono vaporizzati dall’esplosione – e rade al suolo la casetta ai margini del bosco, dove le tre bambine giocavano fino a venti minuti prima. Lascia un cratere largo quindici metri e profondo dieci. La famiglia Gregg, che non può sapere quale catastrofe è successa nel suo giardino, corre in ospedale: quasi tutti se la cavano con qualche ferita lieve, mentre la piccola Ella riceve trentun punti di sutura e rimane in osservazione per la notte.

Quel giorno, la bomba atomica non conteneva il nocciolo radioattivo necessario ad innescare un’esplosione nucleare: si trovava in un’altra zona dell’aereo, in quella che veniva chiamata informalmente «la gabbia per uccelli», e in tempo di guerra l’equipaggio avrebbe dovuto inserirlo manualmente.

L’esplosione uccide una decina dei polli che razzolavano liberi per la proprietà, ma non la famiglia Gregg: la bomba non conteneva il nocciolo radioattivo

Quello che era detonato a contatto con il suolo era invece l’esplosivo ad alto potenziale, necessario a concentrare la sfera di materiale radioattivo e a forzare l’avvio di una reazione a catena incontrollata. In altri casi, l’incidente sarebbe stato minimizzato o nascosto dalle forze armate, ma questa volta fu impossibile: Koehler, incapace di comunicare con la base di partenza, avvertì i controllori dell’aeroporto civile di Florence, pochi chilometri a est di Mars Bluff, che l’aereo aveva appena perso «un dispositivo».

La notizia dell’incidente si diffuse in fretta e fece scalpore in tutto il mondo. La missione di Koehler era di portare la bomba in Inghilterra, e il primo ministro britannico Harold Macmillan venne chiamato a spiegare l’accaduto alla Camera dei Comuni. Non fu facile, perché gli Stati Uniti non comunicavano quando e se bombe nucleari entravano nello spazio aereo del paese.

Anche se non c’era mai stato il pericolo di un’esplosione nucleare in South Carolina, la stampa dell’Unione Sovietica ebbe buon gioco nel diffondere la bugia che questa fosse stata evitata per «pura fortuna» e che un’area enorme fosse ora contaminata da materiali radioattivi.

Ci furono quindi discussioni sull’opportunità di portare qua e là per il mondo bombe nucleari americane con scarsa o nessuna informazione per i paesi coinvolti. Gli addetti a questo tipo di trasporti erano i bombardieri dello Strategic Air Command (Sac), una sezione speciale delle forze aeree americane che nei primi anni della Guerra fredda aveva aumentato enormemente la propria importanza e il proprio potere.

Nel 1958, solo tre paesi nel mondo avevano testato con successo armi nucleari, Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito (la Francia sarebbe seguita due anni più tardi). L’arsenale nucleare americano era in piena costruzione. Dalle due bombe costruite nel 1945, gli Usa sarebbero passati al record storico di oltre 32 mila testate di lì a qualche anno, nel 1966.

Lo Strategic Air Command era una creatura del celebre generale Curtis LeMay, l’uomo che tra le sue molte imprese di guerra aveva progettato la devastante campagna di bombardamento delle città giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. LeMay, che i giapponesi avevano soprannominato “il demonio”, aveva impiegato a lungo il suo sottoposto Thomas S. Power per il lavoro sporco, come licenziare la gente e far rispettare la disciplina; d’altra parte, lui stesso lo definì successivamente, con estrema sincerità, «una specie di dispotico bastardo».

Nel luglio del 1957, qualche mese prima dell’incidente di Mars Bluff, il 52enne Power succedette a LeMay alla guida del Sac. Power rispose così alla domanda di un giornalista britannico che gli chiedeva se gli Stati Uniti portassero abitualmente armi nucleari sui cieli d’Inghilterra: «Beh, non abbiamo costruito questi bombardieri per portare petali di rosa schiacciati».

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