Mercoledì 8 marzo il governo locale della Catalogna ha promesso, per bocca del suo portavoce Francesc Homs, che entro il prossimo luglio interverrà con una proposta di legge sugli orari di lavoro. L’obiettivo è quello di cambiare la tradizione delle lunghe giornate lavorative, inframmezzate da pause, che sono una delle caratteristiche del lavoro in Spagna, e di avvicinare gli orari d’ufficio a quelli del resto d’Europa.
«È arrivato il momento di prendere decisioni, se vogliamo promuovere un cambio deciso degli orari e il modo in cui influiscono sulla nostra convivenza e sulla nostra vita quotidiana», ha detto Homs. La presa di posizione del governo catalano si inserisce in un dibattito che dura da molti anni in tutto il paese e recepisce le proposte di un’associazione locale, la Iniciativa per a la Reforma Horària, che dal 2003 vuole promuovere «orari più umani e civici», sostenendo i benefici per la produttività del lavoro e la qualità della vita.
«Una discussione che arriva da lontano»
Oggi molti uffici spagnoli restano aperti fino alle sette o alle otto di sera e la vita lavorativa prevede almeno due interruzioni nel corso della giornata. La prima è verso metà mattina, tra le 10 e le 11, quando gli impiegati che cominciano a lavorare verso le nove sono soliti prendersi una ventina di minuti di pausa. La seconda è più tardi, intorno alle due, per una pausa pranzo che può durare fino a due ore – la famosa siesta.
La presa di posizione del governo catalano si inserisce in un dibattito che dura da molti anni in tutto il paese
Molti sostengono che due ore per la pausa pranzo siano troppe e che questa differenza non sia giustificata dal clima, perché in Portogallo, in Grecia o in Italia gli orari d’ufficio non sono molto diversi dal resto d’Europa. Altri fattori che influiscono nell’eccezionalità spagnola, secondo l’Iniciativa, sono una cultura del lavoro basata sul “presentismo”, cioè restare sul luogo di lavoro indipendentemente dal lavoro svolto, ma anche tradizioni che risalgono al periodo di Franco.
«È una discussione che arriva da lontano», dice Elías Camarena, 41 anni, responsabile della filiale catalana di una ditta di trasporti lombarda. «Ma non dobbiamo dimenticarci che la situazione non è uguale in tutta la Spagna. Al sud, diciamo da Madrid in giù, l’orario degli uffici finisce intorno alle quattro e dalle tre non risponde più nessuno, specialmente in estate, quando fuori ci sono 40 gradi». È la cosiddetta jornada intensiva, con orari di lavoro anticipati – ad esempio dalle 7.15 alle 15 – e soli 45 minuti di pausa all’interno, che viene messa in pratica in alcune aziende ma non è la norma in Spagna.
Differenze regionali a parte, un dato comune a tutto il paese è che l’orario della cena è spostato molto in avanti rispetto al resto d’Europa, dopo le nove di sera, e molte altre attività si adattano di conseguenza: i programmi televisivi che equivalgono alla nostra prima serata, ad esempio, cominciano alle 10 di sera – l’ora con la massima audience – e proseguono ben oltre la mezzanotte. Ma ci sono anche risvolti più pratici, che hanno conseguenze sulla vita familiare. «Restare in ufficio fino alle sette è un problema ad esempio per le mamme con bambini», prosegue Camarena.
La conseguenza di queste diversità è il dato, per certi versi sorprendente, che il totale delle ore di lavoro in Spagna è complessivamente maggiore rispetto alla Germania (l’Annuario della Riforma oraria 2014 stima, per i catalani, 250 ore di lavoro in più ogni anno).
L’ora di Madrid e l’ora di Londra
La tradizione spagnola degli orari di lavoro ha storia particolare e si ricollega a un’altra particolarità del paese: il suo fuso orario. Oggi a Madrid c’è lo stesso fuso orario dell’Europa centrale, da Berlino a Roma e Parigi, un’ora più avanti rispetto al Regno Unito che si trova più o meno alla stessa latitudine (e rispetto al vicino Portogallo).
La causa è una decisione del dittatore Francisco Franco, che nel 1942 fece portare avanti gli orologi in tutto il paese per uniformare l’orario del paese a quello degli alleati tedeschi e italiani. Secondo le conclusioni di una commissione parlamentare del Congresso spagnolo, pubblicate nel 2013, la Spagna vive da allora in una sorta di jet lag collettivo, con il tempo ufficiale che non corrisponde a quello solare. Altri paesi modificarono i loro orari per esigenze belliche, ma dopo il 1945 tornarono tutti alla situazione precedente, con l’eccezione della Spagna.
Nel 1942, Franco fece portare avanti gli orologi in tutto il paese per uniformare l’orario del paese a quello di Italia e Germania
In sostanza, gli spagnoli mangiano alla stessa ora “solare” rispetto al resto d’Europa, intorno all’una e intorno alle otto, ma il fuso orario fa sì che gli orologi segnino rispettivamente le due del pomeriggio e le nove di sera. L’orario di inizio del lavoro, la mattina, resta però quasi sempre alle nove secondo gli orologi, il che porta a mattine troppo lunghe e a inframmezzare la giornata con le pause.
Negli ultimi anni, molte associazioni hanno provato a cambiare la situazione anche al di fuori della Catalogna, come l’ Ahoe, l’“associazione per la razionalizzazione degli orari spagnoli”. Il Partito Popolare di centrodestra al governo si è impegnato a studiare un provvedimento per dare più flessibilità agli orari, con l’obiettivo di ridurre la pausa di metà giornata, già alla fine del 2013, ma da allora non ci sono stati grandi cambiamenti.
La fine della siesta
Un’altra conseguenza della giornata spostata in avanti è che gli spagnoli dormono mediamente meno rispetto al resto d’Europa, perché la giornata lavorativa comincia intorno alle nove nonostante le lunghe serate. I medici esperti in disturbi del sonno hanno raccomandato a metà marzo che si cambi il fuso orario e che la Spagna torni a un orario più adatto al ciclo della luce.
La questione ha anche risvolti politici per il governo indipendentista di Mas
D’altra parte, se la siesta è uno dei luoghi comuni che fanno parte dell’immagine del paese, non tutti utilizzano realmente la pausa di metà giornata per andare a dormire, dato che questo richiederebbe un altro spostamento tra casa e il luogo di lavoro.
Il governo catalano ha fatto un primo passo e se la sua proposta riuscirà davvero a modificare le abitudini della regione potrebbe portare benefici. Ma la questione non è priva di risvolti politici: la Generalitat (il governo di Barcellona) è guidata dal 2012 da Artur Mas, leader che ha messo la questione della sovranità catalana al centro del suo programma (la proposta di Mas di un referendum sull’indipendenza è stata bocciata lo scorso anno dalle autorità spagnole).
«Penso che l’idea del governo sugli orari di lavoro vada insieme al processo di sempre maggiore autonomia della Catalogna», dice Camarena. Gli orari di lavoro e gli spazi per la vita familiare sono molto legati alla tradizione e alla cultura, e un cambiamento a Barcellona potrebbe, col tempo, contribuire ad aumentare la distanza che già oggi separa la Catalogna dal resto della Spagna.