La Corea del Nord cerca una svolta per la sua economia

La Corea del Nord cerca una svolta per la sua economia

Più potere gestionale ai manager dell’industria nelle decisioni su salari, assunzioni e licenziamenti. Più libertà agli agricoltori per quanto riguarda le quote di raccolto a loro disposizione, portata al 60%. La Corea del Nord cerca di rinvigorire i settori chiave della propria economia. Il nuovo corso è stato delineato in un’intervista all’Associated Press dal professore Ri Ki Song, economista all’Accademia per le scienze sociali di Pyongyang.

Non si tratta certo di sposare la causa del capitalismo. La sopravvivenza e la conservazione del regime, scrive l’agenzia statunitense che può vantare un ufficio di corrispondenza nella capitale nordcoreana, rimangono la bussola della dirigenza, mentre l’importanza data all’esercito – che di fatto gestisce un sistema economico parallelo a quello ufficiale – e alla forza militare continua a drenare risorse.

Il nuovo corso, secondo quanto riferisce il professor Ri, punta a favorire la creatività e l’iniziativa di dirigenti d’azienda e agricoltori. L’economista delinea inoltre alcuni degli effetti delle nuove norme e porta l’esempio della Sinuiju Cosmetic Factory, impresa che ha portato il salario mensile da 3.000 won (circa un dollaro) fino a 80mila, con punte anche più elevate, tra gli stipendi più alti del paese.

Le nuove manovre costituiscono il contenuto, non ancora chiarissimo, delle cosiddette “misure del 30 maggio” varate nella primavera dello scorso anno. Si tratta del più rilevante cambio di indirizzo economico registrato negli ultimi anni rispetto alla pianificazione. È un aggiornamento delle decisioni prese il 28 giugno 2012 per incentivare nuove forme di gestione dell’economia e che già in parte avevano permesso ai contadini di trattenere il 30% della produzione, mentre il 70% spettava al governo, riducendo inoltre al nucleo familiare la composizione delle strutture agricole, in precedenza composte da più famiglie.

«Il principale cambiamento è uno slittamento verso i principi di mercato nella gestione delle imprese pubbliche e maggiore semplicità nella formazione di controllate che possano dedicarsi a settori diversi», ha spiegato Andray Abrahamian a colloquio con Linkiesta. Abrahamian è uno dei fondatori di Choson Exchange, organizzazione no profit specializzata nel fornire educazione gestionale, finanziaria ed economica a imprenditori e funzionari nordcoreani. Le prime sperimentazioni della riforma iniziarono tra il 2012 e il 2013, «c’è stato un cambiamento culturale rilevante, la carriera nel mondo degli affari è oggi uno principali desideri tra i giovani», spiega.

La riforma segue in parte trasformazioni già presenti a livello informale nella società, con la diffusione di forme di mercato più o meno tollerate dalle autorità. In un recente articolo sul blog Korea Real Time del Wall Street Journal, lo stesso Abrahamian sottolineava come già all’inizio degli anni Duemila il regime nordcoreano tentò soluzioni simili, costretto però a fare marcia indietro a metà del decennio passato. Il filo sembra essersi riallacciato con l’arrivo al potere del giovane Kim Jong Un, succeduto al padre Kim Jong Il nel 2011.

«Il mondo politico di Pyongyang comprende voci sia conservatrici sia liberali», scrive il direttore di Choson Exchange, «c’è il pericolo che, senza sufficienti risultati per aziende e coltivatori, il nuovo sistema possa essere frenato dalle opposizioni». L’articolo passa poi a elencare di cosa la Corea del Nord avrebbe bisogno affinché l’esperimento riesca, ma che al momento sembra mancare o è per lo meno carente.

Prima di tutto capitali, poi fertilizzanti e altri stimoli all’agricoltura e ancora, infine, formazione. Quest’ultimo punto è il campo di Abrahamian e soci. «I nordcoreani non hanno troppa esperienza nel lanciare un business e farlo crescere», spiega ancora. «A livello macro cerchiamo di insegnare loro le politiche economiche che potranno avere successo. Ma soprattutto spieghiamo la grande importanza di ciò di cui gli investitori stranieri hanno bisogno e di ciò si aspettano tanto dal governo quanto dai partner» .

A inizio gennaio il politologo Moon Chun-in della Yonsei University ha spiegato sull’East Asia Forum il motivo, forse il più improbabile in base al sentire generale, della sopravvivenza del regime: i risultati, per quanto fragili, dell’economia. Dal 2011 al 2013, secondo i dati compilati dalla Bank of Korea, l’istituto centrale sudcoreano, il Pil del Nord ha infatti avuto un’espansione media di poco superiore all’1%. Non è però ancora chiaro l’impatto dei cambiamenti, anche per la cortina di mistero e poca trasparenza che continua ad avvolgere il Paese, sempre meno eremita. «È difficile fare paragoni con l’ultimo anno. I viaggi e il commercio si stanno riprendendo dopo le restrizioni imposte in risposta all’emergenza Ebola», racconta Abrahamian. «C’è un crescente interesse per gli affari, ma persistono problemi sia per quanto riguarda le comunicazioni sia per l’accesso alle informazioni. E questo può allontanare gli investitori. C’è inoltre da affrontare il tema delle infrastrutture».

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