Aggiornamento, 15 luglio: il tribunale di Lüneburg ha condannato Oskar Gröning per concorso in omicidio. La pena è stata fissata in quattro anni di carcere.
Martedì 21 aprile, in un’aula di tribunale ricavata da una piccola sala per le riunioni a Lüneburg, nel nord della Germania, un uomo di 93 anni di nome Oskar Gröning ha fatto nuovamente rivivere gli orrori dei campi di sterminio nazisti. Gröning ha deposto in un processo che, a settant’anni dalla liberazione di Auschwitz, lo vede imputato per il suo ruolo di guardia nel campo tra il 1942 e il 1944.
Per mere ragioni anagrafiche, Gröning è di sicuro tra le ultime persone che saranno chiamate in tribunale a rispondere dello sterminio nazista durante la Seconda guerra mondiale. Per oltre un’ora, ha letto in aula una lunga dichiarazione. Tra le altre cose, ha descritto l’orrenda uccisione di un bambino, per mano di un’altra guardia, sulla famigerata “rampa” del campo, dove arrivarono i treni con i deportati e avveniva la prima selezione tra quanti erano destinati al “lavoro” e quanti invece alle camere a gas – principalmente vecchi, donne e bambini. Ha detto di non aver commesso alcun crimine ma di sentirsi «moralmente complice» di quanto avvenuto ad Auschwitz.
L’uomo è formalmente imputato per complicità nell’omicidio di 300 mila ebrei ungheresi nel campo di sterminio durante l’estate del 1944. La giustizia tedesca ha stabilito che Gröning, che è entrato in aula aiutandosi con un sostegno mobile, è abbastanza in salute da poter prendere parte al processo.
Durante la sua deposizione erano presenti due anziane donne sopravvissute ad Auschwitz e una ventina di parenti delle vittime, alcune delle quali arrivate dagli Stati Uniti e dal Canada.
Fuori dall’aula, fin dalle prime ore del mattino, hanno fatto la fila per entrare un gruppo di sopravvissuti all’Olocausto, alcune decine di militanti antifascisti e anche qualche neonazista, che secondo quanto riporta Deutsche Welle hanno discusso animatamente definendo Gröning «una vittima del sistema giudiziario tedesco». I neonazisti – tenuti separati dagli altri spettatori dalla polizia – hanno anche distribuito un pamphlet negazionista, un’azione vietata in Germania.
La storia di Oskar Gröning
Oskar Gröning, nato nel 1921 a Brema, entrò a far parte delle SS naziste quando aveva vent’anni, nei primi mesi della Seconda guerra mondiale. Ha detto al giudice di non sapere che cosa avveniva al campo prima di esservi assegnato nel 1942 e di essersi arruolato per far parte di un’unità militare che veniva esaltata come l’élite delle forze armate tedesche. Ha riconosciuto di essere cresciuto in un’atmosfera nazionalista e imbevuta di antisemitismo.
Poiché aveva lavorato in precedenza in una banca, il suo compito ad Auschwitz era quello di gestire i beni tolti ai deportati prima che questi venissero uccisi, in particolare il denaro: per questo è stato chiamato “il contabile di Auschwitz” («ho visto tutte le valute del mondo», ha dichiarato). Gröning dice di non aver mai colpito un prigioniero di persona e di essere stato segnato a vita dalla sua esperienza nel campo.
Gröning si rese conto molto presto, ha detto durante la sua deposizione, degli orrori che vi venivano commessi. Ha dichiarato di aver chiesto diverse volte il trasferimento, che gli venne concesso solo negli ultimi mesi della guerra. «A causa del mio lavoro ad Auschwitz, sono senza dubbio moralmente complice nell’uccisione di milione di persone, la gran parte delle quali erano ebree. Chiedo loro perdono. Se sono legalmente colpevole è materia di decisione di questa corte», ha detto Gröning, secondo quanto riporta la stampa tedesca.
Il caso di Gröning parte da lontano. Dopo la guerra, Gröning tornò nella sua regione di provenienza nel nord della Germania, si sposò, ebbe figli e lavorò in una vetreria. Ma a differenza di molti altri membri delle SS coinvolti in inchieste delle autorità tedesche, l’uomo non ha mai negato la sua presenza ad Auschwitz e di aver visto le atrocità che vi furono commesse.
Quando parlò pubblicamente della sua esperienza, a metà degli anni Ottanta, fu per smentire gli argomenti dei negazionisti, che negano o ridimensionano la portata della tragedia dello sterminio nazista.
Nel 1985, le autorità di Francoforte indagarono una prima volta a proposito delle sue azioni, ma conclusero che esse non avevano contribuito direttamente «al successo delle operazioni di sterminio». Nel 2003 Gröning comparve in un documentario di BBC e rilasciò dichiarazioni alla stampa tedesca, parlando in tutti i casi della sua esperienza personale nel campo. Due anni più tardi rilasciò una lunga intervista al periodico Der Spiegel.
Un caso storico
Nel 2014, la pubblica accusa di Amburgo riaprì la vicenda giustiziaria, in disaccordo con la decisione precedente. Per decenni le indagini contro persone coinvolte nei crimini di guerra nazisti sono finite in un nulla di fatto – delle oltre 120 mila avviate, poco più di 500 si sono risolte in condanne.
Questo in parte per una politica di “ripartenza da zero” nei confronti del passato, portata avanti in particolare dal cancelliere Adenauer, e in parte perché gli strumenti legali in mano all’accusa non erano adeguati a perseguire i crimini nazisti. Una legge sui reati connessi al genocidio venne approvata negli anni Cinquanta, ma il suo valore non era retroattivo: per questo motivo, gli imputati potevano essere perseguiti solo per omicidio e reati strettamente connessi, per i quali è indispensabile provare la responsabilità personale, ad esempio attraverso testimonianze oculari.
Un caso che ha cambiato le carte in tavola è arrivato solo nel 2012, con la condanna da parte di un tribunale di Monaco di una guardia di Sobibor di origine ucraina, John Demjanjuk. Per la prima volta, i giudici stabilirono che la sua presenza nel campo di concentramento – in cui tutti i prigionieri vennero uccisi – era sufficiente per una condanna per il reato di concorso in genocidio, nonostante l’assenza di testimoni diretti. Il processo ad Oskar Gröning potrebbe essere un altro passaggio importante nella verità giudiziaria sui crimini nazisti.