La mattanza degli speculatori sulla Grecia

La mattanza degli speculatori sulla Grecia

Gli scenari possibili della finanza globale raccontati dai personaggi de I diavoli, romanzo di Guido Brera, cofondatore di Kairos, la più importante società di gestione del risparmio in Italia.

La puntata precedente:

***

[…] Sul tavolo il BlackBerry inizia a vibrare. Massimo lo ignora. «Una volta dovresti assistere a una tonnara. È un raffinato meccanismo di annientamento in cui non è possibile sbagliare nulla. Dopo che hanno individuato un branco, i pescatori lo circondano con delle enormi reti e lo sospingono verso la riva. Ci vuole maestria perché gli animali non si accorgano di niente…»

«È quello che stanno facendo di là, non è vero?» lo interrompe Giorgio anticipandolo. «Stanno stendendo le reti. Comprano gli asset sicuri e vendono tutta la periferia d’Europa.»

«Sì, ma altri molto più grossi di noi lo stanno facendo da mesi.» Massimo si immagina Derek alle cene a Manhattan di cui gli aveva parlato Bruno. Lo vede salire al tredicesimo piano del grattacielo, pensa ai lunghi silenzi e alle parole giuste, scelte con cura, grazie alle quali riusciva a catturare l’attenzione, ottenere la reverenza dei più giovani, influenzare le decisioni dei più scafati, orientare le politiche monetarie. Del resto, quell’uomo era Derek Morgan. Aveva alzato milioni e milioni di dollari in più di vent’anni. Bolle erano scoppiate, palazzi erano stati rasi al suolo, guerre erano state combattute. Regimi crollavano, mentre statue di dittatori cadevano nella polvere. La Storia proseguiva la propria corsa sanguinaria, ma Derek era ancora lì, a tessere un progetto di governo del tempo e del mondo. «Andranno avanti per settimane, forse per mesi, senza fare rumore e senza spaccare i prezzi. Meno gente se ne accorge sulla street, più tempo c’è per far soldi. Sono fiumi di denaro in uscita dal Sud del continente e subito convertiti in titoli tedeschi o americani. Una manna per gli Stati Uniti che si finanzieranno a tassi bassissimi e una nuova cavalcata delle valchirie per i tedeschi.» Eccola, la trappola scientifica. Ecco il massacro da mettere in scena, il cono di luce che illumina l’Europa, l’inganno rovinoso con cui distogliere l’attenzione dalla sponda occidentale dell’Atlantico. Un brivido gli percorre la schiena, ma non è un fremito involontario. Quella è paura.

«E poi li uccidono?» domanda Giorgio dopo alcuni attimi di silenzio, riportandolo ai tonni.

Massimo apprezza il modo con cui il ragazzo asseconda il gioco della metafora. «Sì, ma non è così semplice. Li sospingono verso la riva. I tonni cercano di superare l’ostacolo e si smarriscono in una struttura di reti ancorate al fondale, divisa in comparti. L’ultimo, quello della mattanza, si chiama camera della morte. Ci vuole grande abilità per costruire quelle trame fatali di nodi.»

Il quant tace, mentre il pesce compie una rapida torsione arrestandosi davanti al vetro, a pochi centimetri dal volto di Massimo. «Gli equipaggi dei barconi sono agli ordini di una specie di comandante. Un uomo saggio, che conosce i nodi, le correnti e i fondali. Lo chiamano il rais. Oggi il nostro rais è un genio della matematica.»

«Kalim?» domanda Giorgio incredulo.

L’altro annuisce senza staccare gli occhi dal pesce.

«Perché non tu? Hai paura di sporcarti le mani?» lo incalza il ragazzo.

Io sono nauseato da questa mattanza, e vorrei solo scappare.

«Le mie mani sono già sporche.» Stringe i palmi intorno alla boccia di vetro. «Ora tocca a lui mettere insieme i rischi o scomporli. Questo trade è una correlazione di elementi, ed è molto diverso dall’altro. Stavolta faremo all in. Ricordati che i rigori si battono forte.»

«Tu ne parli con leggerezza, ma le reti che stanno tirando davanti a quei computer non imprigionano tonni, catturano uomini.»

Massimo fa un gesto di assenso col capo. «Sì, è una tonnara di carne umana. Non lo senti il fascino sinistro della carneficina?»

E non lo senti quell’odore a malapena coperto da dopobarba e lozioni? È un odore freddo che punge. Un odore di ruggine. È l’odore del sangue.

«Ora descrivimi quello che vedi oltre il vetro» aggiunge Massimo senza voltarsi.

«Non puoi guardare da solo?»

«No, non posso. Sto facendo altro.»

«Sono quindici minuti che fissi quel pesce.»

Massimo annuisce.

«Appunto, sto facendo altro.»

Ancora silenzio.

Poi il rumore della sedia e lo stridio di suole in gomma sul pavimento.

«Sono tutti tranquilli. Sembra che non stia succedendo niente. Kalim è in maniche di camicia.»

Massimo conosce bene quella quiete. È la calma metodica di un gruppo di scassinatori che scivolano nel buio, il silenzio che accompagna l’abbuffata più vorace.

Può rimanere lì, seduto, a guardare un pesce rosso in una boccia di vetro. Può farlo, perché sa già tutto. Non ha bisogno di aggirarsi per le postazioni o chiedere a Kalim un rapporto sul trade. In quel preciso momento è certo che Matthias sta comprando debito tedesco vendendogli contro titoli spagnoli, mentre Guy shorta banche italiane imbottite di BTP. Per un attimo si figura il godimento animale di René. È probabile che il trader abbia avuto perfino qualche imbeccata, forse Larry gli ha fatto arrivare l’informazione giusta. O magari sono stati i suoi amici a Parigi. Oppure ha capito da solo e si è riempito il book di titoli francesi per poi mettersi “corto” di Portogallo e Spagna.

«Come parlano?» chiede scacciando quei pensieri.

«A bassa voce, più che altro si guardano.»

«Secondo te perché?»

«Perché sanno cosa fare.»

«Esatto.»

«E non hanno scrupoli» considera Giorgio a mezza bocca. Ma questa volta nella voce non c’è risentimento, ed è come se la rabbia avesse lasciato il posto all’amarezza.

Scrupoli.

Massimo ha imparato che sei vuoi capire quando un uomo ha messo da parte ogni esitazione, è nel fondo degli occhi che lo devi osservare. Ha passato anni a sondare lo sguardo di quei trader. E in quelle iridi non c’è cattiveria, c’è solo fame.

«Gli scrupoli si devono avere fino a quando non ti siedi la prima volta a uno di quei desk. Poi non servono più a niente. Non si va a caccia se provi pena per la preda.» Avverte un senso di benessere. Le gambe sono indolenzite, ma l’intensità dei tremori è diminuita. Lo sforzo di controllare il respiro allenta il nodo alla gola. La mente è sgombra. Quella mattina, mentre andava in banca, era riuscito anche a leggere per intero l’editoriale del “Times”. «Che fa Kalim?» domanda dopo qualche istante.

«Cammina per il floor. Ogni tanto dice qualcosa. Sembra serio, e non fa battute.»

Massimo sorride. «Devi stargli accanto nei prossimi mesi. Vedrai cose che hanno visto in pochi. Book strapieni e asset che si muovono in modo anomalo. Tira fuori i tuoi modelli sui flussi, ne avremo bisogno. Poi, però, le correlazioni salteranno di botto. E tu dovrai capirlo…» Si blocca, sforzandosi di trovare un termine più adeguato. «No, non capirlo… dovrai sentirlo un attimo prima, altrimenti ti ritroverai con dei numeri totalmente sballati.»

Percepisce il suono dei passi, quindi di un corpo che torna sulla sedia.

«Come finisce la mattanza?» chiede Giorgio.

Quella domanda gli ricorda le sere con Roby e il dialogo con cui avevano seguito il viaggio dei tonni attraverso l’Atlantico. Ciò di cui sta parlando è una cosa che ha scelto di non dire a suo figlio. Ha preferito raccontargli una danza di vita, omettendo i rituali di morte.

Ora può farlo.

Ha imparato a raccontare, Massimo. C’è voluto tempo, sofferenza, per vincere il silenzio e scoprire la forza delle storie. Ma ora sa che le parole sono armi e balsamo. Feriscono o curano, saldano legami o separano irreparabilmente. Sono meno oggettive dei numeri, ma quando si trovano quelle giuste, disponendole una di seguito all’altra nella sequenza esatta, allora è come creare una forma di vita. Perché le storie persuadono, ispirano, dettano l’azione, causano dolore o regalano piacere. E le storie sono di tutti, perché non hanno padroni.

«Quando arriva il momento, il Rais raggiunge le acque della mattanza, poco prima dell’alba, e spinge gli ultimi esemplari nella camera della morte lasciando cadere in mare un pugno di sabbia.» Chiude la mano destra a coppa e mima lentamente il gesto del capo-pescatore. «Basta una manciata di granelli per terrorizzare gli animali. Il resto devi vederlo con i tuoi occhi. Non sono capace di descriverti la frenesia degli uomini sui barconi, il luccicare delle fiocine e il rosso che colora le acque accompagnando l’agonia del branco.»

«Te lo riconosco: come storia funziona bene, e anche l’ambientazione mediterranea ci sta…» considera Giorgio. «Perché anche la nostra tonnara si consuma lì, dico bene?»

«Per adesso.»

«In Grecia?»

Massimo si stringe nelle spalle.

«La Grecia è una roba piccola rispetto a quello che sta montando. È il pugno di sabbia tra le onde, la prima crepa in un muro destinato a crollare. Immagina tanti rais all’opera… La mattanza sarà gigantesca. Spaccheranno i prezzi, shorteranno come se non ci fosse domani e il mercato andrà no bid: tutto in mano agli stessi, un vero e proprio monopolio. A quel punto inizierà la grande farsa del senno di poi. Arriveranno i media, gli economisti, gli uomini delle agenzie di rating. E si scoprirà che il problema non è la Grecia, ma l’Europa. Si dice che i mercati hanno un modo infallibile per prevedere il futuro: causarlo…»

«Ed è allora che si faranno i soldi veri» conclude Giorgio interrompendolo.

In quel momento un trillo risuona nella stanza. Massimo chiude gli occhi, ruota la testa per allentare i residui di tensione sul collo. Quindi apre le palpebre e controlla il timer del BlackBerry. Il countdown è a zero.

Alza lo sguardo.

Seduto di fronte a lui, Giorgio tiene i gomiti sul tavolo, la fronte poggiata su un palmo. L’incertezza è il pallore del viso magro, la ruga che gli attraversa la fronte, la cupezza che gli vela lo sguardo.

«Ma c’è qualcosa di ancora più perverso nel modo in cui tutto questo accade» aggiunge Massimo. «La Grecia è un simbolo, attacchi lì per infrangere il tabù dell’inviolabilità del debito sovrano d’un Paese occidentale. Così scoperchi il vaso di Pandora, e semini il panico. La puoi considerare una forma di terrorismo.»

Si alza e ripone il cellulare nella tasca interna della giacca. «Ci sarà un giorno in cui diranno che tutto questo era inevitabile. Diranno che la Grecia se l’è cercata, che ha truccato i bilanci e attuato politiche insostenibili. Diranno che gli speculatori si sono limitati ad attaccare l’anello debole. Del resto il sangue attira gli squali. È così che funziona. Be’, quel giorno ricordati che niente era scritto, e che sarebbe bastato pochissimo per bloccare il massacro. Sarebbe stato sufficiente coprire una parte del debito e dimostrarsi compatti nel garantire la solvibilità di Atene. Ma qualcuno a Francoforte preferisce difendere posizioni di principio e combattere guerre di religione in nome dell’affidabilità tedesca.» Si ferma mentre sulle labbra affiora un sorriso amaro.

Giorgio si passa una mano nella barba lanciando un’occhiata distratta al pesce nella boccia di vetro. «Volevo dedicarmi alla ricerca, Massimo. Adesso sono qui e mi ci hai portato tu. Che faresti al posto mio?»

«Pochi minuti fa, quando sei entrato in questa stanza, eri una furia. Adesso è cambiato qualcosa. Sbaglio?»

L’altro annuisce.

«Sembri affascinato.»

«La violenza ha un fascino particolare.»

Massimo socchiude gli occhi. «Fatale. Ha un fascino fatale. Conoscere le cose, comprenderle per davvero a volte significa cedere a una seduzione.»

Il quant fissa il pesce. «È strano» considera con voce lontana. «È come quando t’innamori di una donna che ti fa paura, o di cui ti eri fatto un’idea pessima.»

Attraverso la vetrata lo sguardo di Massimo incrocia quello di Cheryl.

Lei solleva una bottiglietta d’acqua con un’espressione interrogativa. Le lunghe ciglia le velano gli occhi. Alcuni ricci le carezzano la fronte.

È bellissima.

Lui sorride e scuote la testa.

Lei sillaba qualcosa col dito all’insù. Non piove più.

Lui allarga le braccia in un gesto ironico di afflizione.

«Non so se hai capito quello che voglio dire. Forse sono stato un po’ confuso» mormora Giorgio.

Massimo rimane immobile per qualche istante, ma non riesce a staccare gli occhi da Cheryl.

«Sì, sei stato chiarissimo» risponde alla fine, mentre si volta rapido per lasciare la stanza.

***

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