«I vestiti sono generalmente capi basilari dal disegno molto semplice, pezzi standard della moda internazionale privi di decorazioni o la cui unica decorazione è data dalla trama stessa del tessuto come pure dagli abbinamenti dei capi fra loro; gli abiti sono generalmente monocromi o caratterizzati da pattern elementari». Stiamo parlando di Benetton o di Uniqlo? La risposta è qui. Se però avete esitato a dare una risposta, è perché tra i due marchi, quello di Ponzano Veneto che ha fatto furore soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, e quello giapponese che sta conquistando il mondo, dei punti di contatto ci sono. Forse anche per questo, come è trapelato nei giorni scorsi sulla stampa, gli advisor di Boston Consulting Group hanno consigliato al management di Benetton (a partire dall’ad Marco Airoldi, che da Bcg è arrivato lo scorso anno) di considerare l’ingresso come socio con il profilo di Fast Retail, il gruppo che possiede il marchio Uniqlo.
Per la società trevigiana sarebbe il segnale di un ritorno all’attacco sui mercati mondiali, dopo dieci anni di difesa
Per la società trevigiana sarebbe il segnale di un ritorno all’attacco sui mercati mondiali, dopo dieci anni di difesa. Un cambio di passo è cominciato dopo l’uscita dalla Borsa nel 2012, quando alla fine del 2013 fu approvato un programma triennale di rifocalizzazione del business. Sono state create tre società distinte: una focalizzata direttamente sui brand, una manifatturiera e una per la gestione immobiliare. Scopo del riassetto è stato quello di tornare alla struttura originale e riposizionare la società sul «core business» e ridare vigore ai marchi Benetton e Sisley, sempre più sotto assedio da parte dei concorrenti fast fashion.
Come ha ricordato Il Sole 24 Ore, i partner che si stanno cercando sarebbero due: uno per Benetton Group (per la quale si è fatta l’ipotesi di Uniqlo) e uno per Olimpias, la società manifatturiera creata dalla suddivisione appena ricordata.
Nonostante le smentite, c’è da credere che il consiglio di Bcg sia ascoltato, perché la società di consulenza ha curato la riorganizzazione del gruppo nel 2012
«Non c’è nulla in corso, ma sono tanti a offrirsi. Questa è una fase in cui serve lavorare», ha detto nei giorni scorsi alla stampa Gianni Mion, presidente di Benetton Group, dove ha sostituito un anno fa Alessandro Benetton, 50enne figlio di Luciano. La società «al momento non ha bisogno di capitali», ha detto, aggiungendo che l’azienda deve rilanciarsi. Nonostante il tentativo di gettare acqua sul fuoco, c’è da credere che il consiglio di Bcg sia ascoltato, perché la società di consulenza ha curato la riorganizzazione del gruppo nel 2012, con l’attuale ad di Benetton Marco Airoldi.
Vantaggi e svantaggi
Solca, Exane Bnp Paribas: «Mi domando se il retail rimanga un business strategico per la famiglia Benetton o meno. Se non lo fosse, fare entrare Uniqlo (per poi vendere il tutto) mi sembrerebbe logico»
Ma quanto è realistica questa alleanza, e quali sarebbero i vantaggi per la società di Ponzano Veneto? «Potrebbe essere realistica – commenta a Linkiesta Luca Solca, analista a capo della divisione Global Luxury Goods di Exane Bnp Paribas -. Uniqlo è alla ricerca di opportunità di espansione, anche al di là dei suoi format esistenti». D’altra parte, aggiunge, «Benetton continua, per quanto vedo, a faticare. Mi domando se il retail rimanga un business strategico per la famiglia Benetton o meno. Se non lo fosse, fare entrare Uniqlo (per poi vendere il tutto) mi sembrerebbe logico».
Quanto ai vantaggi per Benetton, sarebbero diversi, e hanno a che fare soprattutto con le dimensioni globali di Fast Retailing. Uno dei problemi principali di Benetton è che è rimasta una catena relativamente piccola, che si è trovata a combattere con operatori del fast fashion, a partire da Zara e H&M, negli anni diventati 7-8 volte più grandi. Dato che la competizione avviene sempre più sui costi, la lotta diventa impari.
I vantaggi per Benetton, sarebbero diversi, e hanno a che fare soprattutto con le dimensioni globali di Fast Retailing
Il successo di una partnership tra Benetton e Uniqlo è però tutt’altro che scontato: «Le aziende di retail che sono state capaci di sviluppare in maniera efficace diversi formati di negozio sono molto poche – commenta Solca -. Mi viene in mente Inditex, per esempio, che ha saputo creare successi con Zara, Massimo Dutti, Bershka e gli altri marchi. Onestamente non mi sembra che Uniqlo sia tra queste, almeno se guardo il (poco) successo che hanno avuto con Comptoir des Cotonniers (uno dei marchi acquistati dal gruppo, assieme a Theory, Princesse Tam.tam, J Brand, ndr)». «Detto questo – continua Solca – credo che le operation e le capacità di approvvigionamento globali di Uniqlo potrebbero fare comodo a Benetton. Anche se Uniqlo non sembra avere, al contrario di Inditex, la capacità di incrementare la efficacia, ossia le vendite al metro quadrato, dei formati che acquisisce».
Solca: «Se l’operazione alla fine è una cessione, di fatto è la rinuncia di avere un campione italiano nel retail abbigliamento»
Al di là dei rischi di non riuscire a valorizzare adeguatamente il marchio, nella visione di Solca lo svantaggio potrebbe riguardare il sistema Paese. «Se l’operazione alla fine è una cessione, di fatto [lo svantaggio è] la rinuncia di avere un campione italiano nel retail abbigliamento. Un po’ come fu fatto a suo tempo con GS, con la vendita ai francesi, nel campo della distribuzione alimentare».
Mire italiane
Uniqlo sta espandendo la sua rete in Europa e ha da tempo annunciato che Milano è una delle città nel mirino. «A Milano stiamo cercando da tempo una location centrale che ci soddisfi», ha detto Tadashi Yanai, numero uno di Fast Retailing. Dopo il Regno Unito e la Francia (a Parigi è presente dal 2007), Uniqlo si è espansa in altre parti d’Europa, a partire da Berlino e mira, oltre all’Italia, al Belgio e alla Spagna. Le due aree di espansione maggiori sono però gli Stati Uniti e l’Asia. Negli Usa a fine febbraio i negozi erano 39, rispetto ai 22 di un anno prima. Gli States non sono però un mercato semplice, per la concorrenza di molti marchi “locali”, con il risultato che la prima parte dell’anno fiscale 2015 ha visto delle perdite operative nella regione.
«A Milano stiamo cercando da tempo una location centrale che ci soddisfi», ha detto Tadashi Yanai, numero uno di Fast Retailing
Prosegue invece fortissima l’espansione in Asia e in particolare in Cina, Taiwan, Hong Kong e Corea del Sud. È grazie a questi mercati che la divisione internazionale del gruppo è cresciuta del 48,9% in termini di ricavi e del 63% in termini di profitti. Fuori dal Giappone nell’ultimo anno sono stati inaugurati 183 negozi, portanto il numero di punti vendita all’estero a 700 unità, poco meno degli 830 in Giappone. Entro il 2020, ricorda Il Sole 24 Ore, il patron di Fast Retailing intende più che triplicare il giro d’affari a 5mila miliardi di yen (pari a circa 36 miliardi di euro).
Proprio questa presenza in Asia può fare gola a Benetton, che nell’area non ha mai sfondato. L’ultimo grande investimento all’estero di Benetton è l’apertura di 40 punti vendita in Russia, lo scorso ottobre. Una scelta che per tempismo non ha brillato.