Per secoli le discussioni sulla politica e sul potere hanno riguardato i migliori dispositivi per contenerlo e renderlo virtuoso. Se si discuteva sulle persone al potere, il dibattito riguardava le qualità che un capo avrebbe dovuto avere. Insomma, si cercava di delineare un modello ideale cui, nel male o nel bene, il condottiero avrebbe dovuto adeguarsi, per quanto gli fosse possibile. Questo vale per Platone e vale per Machiavelli. Non vale, però, per questa nostra epoca decaduta e iperindividualizzata, in cui se mai succede che si discuta su queste cose, lo si fa agendo ex post. Per capirsi, si parte dallo studio dei leader che si incontrano nella realtà e si cerca di estrarre dalla loro personalità la formula chimica della “leadership”, nuova pietra filosofale per chi non si accontenta dei soldi ma vuole anche il potere.
Tra questi profili del leader è interessante quello proposto dalle pagine del New York Times: il vero leader deve essere una persona con “conoscenza”, “vision” e “agilità mentale” (libera traduzione di smarts), senza dubbio. Ma non basta: serve anche la capacità di “leggere e identificare le emozioni – le proprie e quelle degli altri – e “gestire i rapporti con gli altri”. Quest’ultima, forse, è quella più importante di tutti.
Cosa significa? Serve avere una sicurezza di sé “realistica”, cioè fondata su dati reali e una conoscenza delle proprie virtù e dei propri limiti reale. Niente fantasie, niente smanie: se non si sa fare una cosa, occorre essere sempre pronti a rivolgersi a chi la sa fare, senza per questo sentirsi sminuiti. Al tempo stesso, occorre avere coscienza delle proprie emozioni. Cosa si prova? Cosa si sente? È importante non ignorare mai quello che ti rende nervoso, ciò che ti fa arrabbiare, ciò che ti crea cortocircuiti mentali. Una volta che si capisce questo, si capisce tutto.
Nei confronti degli altri, serve “empatia”. Una parola. Capire i punti di vista altrui non è uno slogan: è un’impresa, e va fatta sempre. Non solo quando si cerca di capire i problemi delle altre persone, ma anche quando si cerca di porre una questione. Capire cosa pensa e cosa vuole un altro significa anche sapere come prenderlo e richiede anche molto tempo per ascoltarlo. In un’azienda che vuole creare un buon clima per lavorare sembra una caratteristica necessaria. E tutto sommato lo è.
Ma basta questo per creare il leader? Basta sapere cosa fare e come prendere gli altri? A giudicare dalla storia, sembra di sì. Aggiungeremmo anche il pelo sullo stomaco, da italiani. Cioè cose che il New York Times, un po’ edulcorato, sembra non voler ricordare.