La mostra temporanea Leonardo 1452-1519. Il disegno del mondo, aperta a Milano a Palazzo Reale dal 16 aprile al 19 luglio ha due grandi meriti: il primo è quello di proporre una figura così famigerata senza adagiarsi sulla vuota celebrazione del “genio totale”, mostrandoci invece un Leonardo in tutto e per tutto figlio del suo tempo; il secondo è di aver spostato il focus sul disegno, proponendo dagli schizzi preparatori ai lavori autonomi, dagli studi del panneggio alle mirabolanti progettazioni di qualche macchinario di gusto steampunk.
Le mostre di grandi pittori imbastite sui disegni danno spesso l’idea di essere andate al risparmio, accontentandosi di opere minori, non rappresentative (dove la rappresentatività è uno dei principali criteri di successo di un’opera d’arte), di aver insomma giocato (sporco) sulla firma di richiamo. In questo caso però, nonostante i disegni siano gran parte del materiale esposto, queste obiezioni non trovano fondamento. Anche perché, nel caso di Leonardo, i disegni sono forse quanto di più rappresentativo possiamo osservare. Naturalmente nessuno vuole sminuire un’icona come la Gioconda o capolavori qui esposti come la Madonna Dreyfus o la Belle Ferronière, ma è proprio attraverso i suoi schizzi – elaboratissimi, maniacali e densi di appunti – che si può davvero intuire l’ingegno davinciano all’opera. Ancor più che nel quadro finito.
«La più grande e importante esposizione dedicata a Leonardo mai realizzata in Italia»
La mostra di Leonardo a Palazzo Reale è definita «la più grande e importante esposizione dedicata a Leonardo mai realizzata in Italia». Unica rivale: l’ambiziosa mostra del 1939, sempre milanese, questa sì grondante retorica sul genio italico (e visti i tempi c’era da aspettarselo).
Da più parti acclamata come «la più rilevante offerta culturale di Milano durante il semestre Expo», è stata però ideata, organizzata e finanziata da un soggetto privato, Skira editore, che ha affidato la curatela a Pietro C. Marani, professore al Politecnico e presidente dell’Ente Raccolta Vinciana di Milano, e a Maria Teresa Fiorio, vice presidente dello stesso ente.
L’allestimento comprende 225 opere, recuperate da un centinaio di musei e collezioni internazionali. Niente Gioconda e nienteVergine della Rocce, del tutto inamovibili dal Louvre, che ha però concesso la Belle Ferronière, il San Giovanni Battista e la Piccola Annunciazione. Ben trenta disegni autografi provengono direttamente dalla Royal Collection di Elisabetta II, mentre la Pinacoteca Ambrosiana, la “casa milanese” di Leonardo, presta il Ritratto di musico e ben trentotto disegni del Codice Atlantico.
Leonardo da Vinci Scenario architettonico e rissa di cavalieri (Studio prospettico per l’Adorazione dei Magi)
L’importanza del disegno: la natura, il corpo e la macchina
Il disegno è lo strumento conoscitivo privilegiato da Leonardo per scoprire il mondo
Il concept, dicevamo, è il disegno: fondamento pedagogico nelle botteghe fiorentine ma anche, e soprattutto, strumento conoscitivo privilegiato di Leonardo per la sua lunga, complessa scoperta del mondo. Scettico nei confronti della scrittura, egli considerava invece la pittura alla stregua di una vera scienza, in quanto «sola imitatrice di tutte le opere evidenti in natura».
Il disegno in particolare ha per lui un valore euristico: disegnando i fiumi indaga sul loro moto, così simile ai suoi occhi a quello del sangue nelle vene; schizzando cavalieri, cavalli e battaglie nei disegni preparatori (come lo studio prospettico per l’Adorazione dei magi) analizza le anatomie, i volumi e le dinamiche di movimento. Il disegno poi è terreno fertile per i suoi studi di carattere scientifico, in virtù di quell’approccio interdisciplinare (dalla fisiologia alla meccanica alla cosmologia) che è poi una delle sue grandi peculiarità: quella che gli è valsa la fama, così radicata, di genio versatile. O, come si usava dire allora, di polimata, di uomo universale.
Ma i disegni, spesso corredati dalla sua celebre scrittura speculare (che secondo teorie più recenti non era una tecnica per cifrare le proprie ricerche ma un’abitudine tipica di alcuni mancini non corretti) erano anche il banco di prova per studiare ciò che forse, più di ogni altro aspetto, ha reso memorabili i suoi quadri: l’espressività dei volti.
Leonardo da Vinci, Madonna col Bambino e un gatto British Museum
Dai “moti dell’anima” alla fredda anatomia, che per Leonardo, a ben guardare, di freddo ha ben poco. C’è un rapporto strettissimo tra il disegno d’anatomia e il disegno di architettura. Ne sono un esempio le sezioni orizzontali, che permettono di mostrare ossa e fasci muscolari: la stessa tecnica adottata per illustrare come si organizzano le difese di una torre. «L’uomo e l’architettura – spiegano i curatori – sono considerati involucri trasparenti che permettono di osservare, opportunamente collocati, gli organi umani, e le relazioni tra essi intercorrenti, o le strutture di cui l’architettura si compone».
Il corpo, come la macchina, è un meccanismo da scomporre in tutte le sue componenti. E per Leonardo dall’osservazione all’invenzione il passo è breve. L’arte del disegno, da strumento di analisi del vero e conoscenza scientifica tende a travalicare, a diventare indagine del sogno e del futuribile. A diventare invenzione.
La meccanica del volo: Leonardo transumanista
Vasari li definiva “capricci” o “pazzie”, ma hanno contribuito in modo decisivo alla fama di Leonardo come genio visionario
Superare i limiti della condizione umana: camminare sull’acqua (o sott’acqua), volare come gli uccelli, potenziare l’essere umano attraverso ausili meccanici. Addirittura sembra che, nel 1500, Leonardo avesse realizzato una sorta di androide meccanico dall’aspetto di cavaliere corazzato e che nel 1515, in occasione dell’ingresso a Lione di re Francesco I, avesse invece presentato un leone meccanico semovente in metallo dorato come omaggio al nuovo re, in grado anche di offrire al sovrano un mazzo di gigli.
Leonardo da Vinci, Studi di carri falcati
A Palazzo Reale, più semplicemente, sono esposti i suoi schizzi sulla meccanica del volo, quelli delle fantasiose macchine da guerra (sono esposti anche due modelli di macchine messi a disposizione dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia), fino all’attrezzatura da palombaro e al progetto di un meccanismo per camminare sull’acqua. Questi sono gli studi che Vasari definiva “capricci” o “pazzie”, ma che hanno contribuito in modo decisivo alla fama di Leonardo come genio visionario. Anche in questo caso però la mostra ha il grande pregio di contestualizzare, e le fonti ci mettono davanti a progetti precedenti che illustrano proprio strumentazioni da palombaro e attrezzature per il volo.
Un uomo del suo tempo
Non si tratta di sminuire, ma di sfatare il luogo comune che vede Leonardo come un genio avulso dal suo tempo
Non si tratta di sminuire, ma di sfatare qualche luogo comune che vede Leonardo come un genio avulso dal suo tempo (o per i più complottari una sorta di alieno), con il quale egli era invece tutto sommato in sintonia. L’esposizione fa dunque continuo richiamo alle fonti di riferimento, sia in rapporto ai modelli artistici, sia sul versante dei precedenti tecnologici.
Accanto alle opere vinciane troviamo quindi lavori di artisti come Antonello da Messina, Botticelli, Paolo Uccello, Ghirlandaio e Andrea Verrocchio (presso il quale Da Vinci si è formato a bottega tra il 1464-1472 circa), di cui è esposta ad esempio la Dama col mazzolino, che fa il paio con la Belle Ferronnière. Aldialogo con i contemporanei (e con gli allievi) si accompagna quello con gli antichi, cui Leonardo fa riferimento non solo in termini pittorici ma anche come spunti teorici (a lui accessibili solo attraverso mediazioni, perché non conosceva il latino). E qui ritroviamo esposto (e riprodotto in grande con una proiezione luminosa) il celeberrimo Uomo vitruviano, che per ragioni conservative resterà in mostra solo per un mese.
L’allestimento
E a proposito di riproduzioni luminose, bisogna riconoscere un ulteriore pregio alla mostra di Palazzo Reale: l’allestimento è infatti molto curato, soprattutto sul versante illuminazione. Si è riusciti in modo efficace ad annullare un contesto importante come quello di Palazzo Reale e costruire un percorso intimo e sobrio che aiuta la concentrazione, con le opere esibite su pannelli di misura proporzionata, oppure inserite in vetrine e apposite nicchie luminose.
La fruizione della mostra è aiutata da un percorso tematico coerente, improntato su alcuni temi centrali, come appunto i moti dell’animo, l’utopia, l’automazione meccanica, il confronto con l’antico. Che giustamente si conclude con le riproduzioni dissacranti di artisti come Enrico Baj, Andy Warhol e Duchamp, interpreti a modo loro del “mito della Gioconda”.
L’ultimo dei maghi
Un Leonardo era un uomo profondamente legato alle proprie radici culturali: un uomo del Rinascimento.
L’aspetto più importante però è ciò cui si accennava all’inizio: a differenza della fascistissima mostra del ’39 infatti, che per ragioni ideologiche aveva accentuato il mito in direzione antistorica e fuorviante, il Leonardo qui presentato è un uomo profondamente legato alle proprie radici culturali: un uomo del Rinascimento.
Lord Keynes, dopo aver studiato a lungo il carteggio privato di Newton, scrisse che a partire dal diciottesimo secolo egli era stato considerato il primo e maggiore scienziato dell’età moderna, un razionalista, «un uomo che ci insegnò a pensare lungo le direttrici di una ragione fredda e pura». Keynes però non lo vedeva in questa luce: «Newton non fu il primo rappresentante dell’età della ragione. Egli fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei babilonesi e dei sumeri». E questo perché la nuova fisica di Newton nasce sì in opposizione alla metafisica del Rinascimento, a quel misto di razionalità e magia che caratterizza il sapere dell’epoca e che oggi noi chiamiamo “pseudoscienza”; eppure c’è ancora molto di magico in Newton e nella meccanica newtoniana, come c’è tanto di magico in Leonardo, che vuole comprendere le leggi del mondo ma anche sovvertirle.
Leonardo da Vinci, Cavaliere in lotta con un dragone