La notizia è arrivata intorno alle 19.30 del 31 marzo, ora italiana. Il comitato elettorale di Muhammadu Buhari, candidato alle presidenziali nigeriane, ha annunciato che l’uscente Goodluck Jonathan aveva ammesso la sconfitta. E così il generale in pensione Buhari, 72 anni, negli anni Ottanta dittatore militare dello stato più popoloso dell’Africa, ritorna sulla scena vincendo un’elezione delicata e incerta. È il primo candidato presidenziale nigeriano dell’opposizione a prendere il posto del capo dello stato in carica passando dalle urne.
Buhari ha vinto con ampio margine: 15,4 milioni di voti contro 12,8 milioni, secondo i dati annunciati da Attahiru Jega, presidente della commissione elettorale nigeriana (Inec) e un altro degli artefici del sostanziale successo del voto. Parlando al quartier generale del suo partito ad Abuja, la capitale nigeriana, Muhammadu Buhari ha descritto il risultato come «storico» e un «trionfo» per la democrazia nigeriana.
Ha anche ringraziato Jonathan per aver garantito una transizione pacifica, un passaggio tutt’altro che scontato. Fin dall’indipendenza dal Regno Unito nel 1960, la Nigeria è passata attraverso una serie di dittature militari e di elezioni pesantemente condizionate, compresa quella del 2011.
Le accuse di brogli non sono mancate neppure questa volta da una parte e dall’altra, ma l’ampia differenza tra i due candidati e l’ammissione della sconfitta da parte di Goodluck Jonathan fanno ben sperare per una transizione pacifica del potere, la prima nella storia del paese.
Buhari e la “Guerra all’indisciplina”
Muhammadu Buhari conosce bene il turbolento passato del paese e ne è stato per molti tratti un protagonista. Alla fine degli anni Settanta, l’allora dittatore militare Olusegun Obasanjo guidò un tentativo sfortunato di transizione verso la democrazia, la cosiddetta Seconda Repubblica nigeriana. Dopo soli quattro anni, l’esperimento finì nel caos, e i militari ritornarono al potere con un colpo di stato il 31 dicembre 1983 (successivamente Obasanjo è stato presidente della Nigeria, dal 1999 al 2007).
Il generale Buhari – già ministro del Petrolio sotto Obasanjo – riportò l’ordine nel paese lanciando la “Guerra all’indisciplina”, al prezzo di pesanti abusi dei diritti umani e mostrando il pugno di ferro contro i militari del Ciad che avevano annesso alcune isole sul lago Ciad al confine tra i due paesi.
Riuscì anche a costruirsi un’immagine di uomo onesto, caso assai raro nella politica nigeriana, mettendo in carcere centinaia di persone in una battaglia alla corruzione che secondo alcuni non era altro che una maschera delle repressione del regime militare. Ma in campo economico le sue misure si dimostrarono inefficaci e il 27 agosto 1985 venne messo da parte da altri ufficiali delle forze armate. Buhari fu imprigionato per più di tre anni.
Il ritorno a un qualche tipo di democrazia in Nigeria avvenne solo nel 1999, con l’adozione di una nuova costituzione. Da allora, il partito dominante è stato il People’s Democratic Party (Pdp), l’unica forza politica in grado di superare in qualche modo le profonde divisioni etniche e religiose del paese.
Jonathan fa parte del Pdp, per lo più una macchina da elezioni dominata dalla corruzione, che aveva messo in piedi un’informale pratica dell’alternanza ai vertici dello stato tra i musulmani – maggioranza nel nord del paese – e i cristiani del sud come il presidente uscente.
Alle precedenti tornate elettorali l’opposizione si era presentata divisa. In ben tre elezioni presidenziali prima di questa – nel 2003, 2007 e 2011 – Buhari, un musulmano settentrionale, si è presentato con diversi partiti che hanno provato senza successo a scalzare il Pdp.
Questa volta, le forze dell’opposizione sono riuscite a trovare un accordo per formare l’All Progressive Congress (Apc). La campagna elettorale ha avuto toni molto accesi, ma gli scandali che hanno colpito il Pdp negli ultimi anni e le preoccupazioni per la sicurezza sono stati decisivi per la mancata rielezione di Jonathan, sotto pressione anche da parte dell’establishment militare.
Buhari si è presentato come il candidato del cambiamento (lo slogan della sua campagna era “Change”). Ha detto che investirà tutto sulla lotta alla corruzione, sulla sicurezza e sul miglioramento dell’economia, che sta passando un periodo di difficoltà anche per la diminuzione del prezzo del petrolio.
L’insurrezione di Boko Haram
La campagna terroristica di Boko Haram, attivo nel nordest del paese, è stato infatti un altro tema chiave. Nonostante il presidente uscente avesse promesso poco prima del voto che il gruppo sarebbe stato stroncato entro poche settimane – e l’intervento militare con il sostegno degli stati africani vicini stesse dando risultati – le elezioni sono state rimandate di oltre un mese anche per le preoccupazioni sulla sicurezza.
L’esercito nigeriano ha una pessima fama nel campo dei diritti umani e i generali hanno chiesto con insistenza agli Stati Uniti nuovi armamenti pesanti per contrastare l’insurrezione. Con il suo passato militare, Buhari deve essere sembrato a molti nigeriani la persona giusta per risolvere una situazione in rapido peggioramento negli ultimi mesi.
Nello stato di Borno, il più colpito, Buhari ha ottenuto il 94 per cento dei voti (anche se influisce molto il fatto che il generale sia musulmano, contro il cristiano meridionale Jonathan). In diversi altri stati, come quelli di Kano e Katsina (di dove è originario Buhari), poliziotti e militari in servizio si sono uniti alla folla che festeggiava per le strade la sua vittoria elettorale.
La Nigeria, con oltre 170 milioni di abitanti, è il paese più popoloso dell’Africa. È da poco la prima economia del continente, dopo aver superato il Sudafrica, nonché il primo produttore di petrolio. Rimane un paese profondamente diviso lungo la linea che, con qualche semplificazione, viene tracciata tra il nord – a maggioranza musulmana – e il sud – a maggioranza cristiana e animista.
Ma a questa divisione se ne sovrappone un’altra altrettanto importante di carattere etnico. Al nord l’etnia dominante è quella degli Haussa, mentre al sud i due gruppi principali sono gli Ibo a est e gli Yoruba a ovest. Queste divisioni hanno giocato un ruolo fondamentale nei decenni di instabilità del paese, insieme alle insufficienze della sua classe politica. Le ultime elezioni sono un segnale di speranza per il futuro della democrazia in Nigeria – e per tutta l’Africa.