C’è stato un momento in cui la mafia nella presunta “capitale morale” d’Italia è sparita. Sparita però dai radar di chi amministrava la città e doveva prendere decisioni. In realtà la mafia, o per meglio dire, le mafie a Milano da quando sono arrivate non se ne sono mai andate e progressivamente si sono aperte anche tante porte, alcune delle quali inaspettate.
Cinquantadue anni fa, nel maggio 1963, avviene il ferimento e la cattura di Angelo La Barbera in viale Regina Giovanna. Arrivano i mafiosi mandati al confino da una legge che la classe politica di allora pensava risolutiva per allontanare dai territori d’origine gli appartenenti a cosa nostra nella convinzione che non sarebbero più riusciti a ricreare una rete criminale su un altro territorio, e arrivano anche quelli in fuga dalla prima e forse unica vera guerra di mafia in seno a cosa nostra.
Scrive lo storico e giornalista Alfio Caruso: “Nel 1963, in pieno boom economico, con la città ancora stordita dall’ebbrezza della prima coppa campioni, appena vinta dal Milan a Wembley contro il Benfica, nessuno aveva voglia di raccontare che dietro il luccichio del benessere s’intrecciavano ambigue amicizie, si allacciavano oscuri rapporti fra i re di denari e i rappresentanti dell’Antistato. Il luogo d’incontro era l’attico nel palazzo all’inizio di via Albricci: da alcuni anni ospitava Joe Adonis, cioè l’avellinese Giuseppe Doto, il compagno di malaffare di Charlie Luciano, di Frank Costello, di Meyer Lansky espulso dagli Stati Uniti. In mezzo secolo non sono cambiati lo stupore dell’opinione pubblica e l’arrancare degli inquirenti dietro la manifestazione nuova del fenomeno antico”.
Nel 1974 Luciano Leggio, “leggenda vivente del pericolo pubblico numero uno”, viene arrestato a Milano nella sua casa di via Ripamonti dove viveva con la moglie sotto falsa identità. Fu lui a importare i rapimenti al nord, famosi quelli di Torelli, Rossi di Montelera e Baroni. Da questi e da altri casi meno noti arrivano miliardi da investire nel traffico di eroina.
In mezzo secolo non sono cambiati lo stupore dell’opinione pubblica e l’arrancare degli inquirenti dietro la manifestazione nuova del fenomeno antico
“Nell’agendina personale di Leggio – conclude Caruso nella sua prefazione all’eBook edito da Linkiesta “Virus mafia; il contagio al nord” del 2012 – spiccava il numero riservato del dottor Ugo De Luca, direttore generale del Banco di Milano. De Luca era un siciliano con un piede nella curia e un altro nella massoneria. Aveva conosciuto Sindona e l’aveva seguito alla Banca Unione prima di mettersi in proprio. A De Luca furono trovati diversi libretti al portatore con decine di miliardi, ma lui mai svelò i titolari. Fu l’ennesima occasione persa, che poi costringerà a ricominciare daccapo”.
E tutto daccapo ricomincia Milano negli anni ’80, ’90 e seguenti: il tema periodicamente torna agli onori della cronaca salvo poi inabissarsi tra le parole di sindaci e prefetti. Nei primi anni ’90 l’operazione Nord-Sud coordinata dalla procura di Milano porta a compimento duemila arresti. Allora come oggi nella città di Milano e soprattutto nell’hinterland si decidono le partite di giro più importanti. Si va a comporre la prima commissione antimafia a livello comunale guidata da Carlo Smuraglia: «da varie settimane – si legge sulla delibera definitiva votata dal Consiglio Comunale l’8 novembre 1990 – si sta dibattendo in sede politica, istituzionale e sulla stampa cittadine e nazionale, il problema della possibile presenza in Milano di infiltrazioni mafiose nel mondo degli affari».
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I riti filmati per la prima volta in una delle inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano
Tangentopoli non è ancora completamente esplosa, ma le inchieste sull’autoparco di Milano e una parte di quell’inchiesta palermitana affossata che fu “mafia e appalti” affondavano le radici: tanti appalti distribuiti lungo lo stivale avevano regia nei salotti di costruttori milanesi più o meno emergenti.
Il comitato Smuraglia fu l’ultimo vagito di antimafia amministrativa partorito dal comune di Milano, dopo solo minimizzazioni e silenzi perché dire che la mafia è a Milano «infanga il buon nome della città» e «non è nel dna dei milanesi», Letizia Moratti dixit. A mancare non è solo una antimafia per così dire formale come può essere una commissione comunale ad hoc, ma è anche il latitare di buone pratiche amministrative che permettono alle cosche di infilarsi negli appalti, in particolare tramite i subappalti.
Così la mafia a Milano durante tutti gli anni ’90 non fa notizia, così come nella prima decade del 2000, nonostante le indagini di polizia e magistratura dimostrino che la presenza c’è e c’è in luoghi importanti, su tutti l’ortomercato, che non è hinterland, ma ricade ancora sotto il comune di Milano. Il 2010 fa da spartiacque: a inizio anno, l’ex prefetto Gian Valerio Lombardi rassicura «a Milano sono presenti alcune famiglie, ciò non vuole dire che in Lombardia esistano le mafie». Il prefetto ha subito spiegato che a Milano le organizzazioni mafiose non si servono di sistemi “tipici” come il pizzo, il racket e gli omicidi, ma instaurano rapporti con strutture ed uomini di potere e danno vita ad aziende e cooperative.
Il fatto è che pizzo racket e omicidi c’erano, e ci sono, così come l’incedere a braccetto tra le stessi, in particolare la ‘ndrangheta e alcuni settori dell’imprenditoria, come emerso dalle indagini. Quel 2010 però è un periodo clou per Expo e di lì a poco ci saranno le elezioni per il nuovo sindaco di Milano, quindi non c’è da sporcare.
Il 13 giugno 2010 arriva la maxi-operazione “Infinito-Crimine” che scivola sull’asse Reggio Calabria-Milano: 300 arresti tra la Lombardia e Calabria, più della proprio in Lombardia. Coinvolti oltre ai presunti affiliati alle cosche anche politici locali lombardi, imprenditore e l’ex direttore dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco. L’epilogo del processo dà sostanzialmente ragione all’impianto accusatorio dei pm di Milano coordinati da Ilda Boccassini e fa emergere che ad aprire le porte alla criminalità organizzata sono anche imprenditori e politici dall’accento lombardissimo. Prima di allora sempre agli onori delle cronache balzava all’occhio il caso emblematico di Buccinasco, definita “la Platì del nord”
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L’audio è stato registrato all’interno dell’aula bunker di Piazza Filangieri, a Milano, nei momenti successivi la lettura della sentenza di primo grado nell’ambito del processo ordinario scaturito dall’operazione “Infinito”
In questi cinque anni però le indagini sono andate avanti e Milano non ha visto la ‘ndrangheta “infiltrarsi”, ma letteralmente “radicarsi”. Prova ne sono le oltre 30 aziende allontanate dai cantieri Expo e, dicono i ben informati «probabilmente il bello arriverà dopo l’esposizione». L’appalto della piastra e le bonifiche d’altronde hanno sempre destato più di un dubbio in questo senso.
Nei cinque anni da quel 2010 chi ha osservato la mafia agire a Milano l’ha potuta vedere in tutte le sue sfaccettature: dal pizzo e l’imposizione delle security nei locali della movida, alle società che hanno tentato di accaparrarsi il catering a San Siro, passando per gli studi di noti professionisti intenti a tirare le fila tra criminalità organizzata, politica e massoneria e la gestione di bar anche nelle vie centralissime della Milano da bere. Ancora da non dimenticare in questi anni l’affare del gioco d’azzardo che aveva trovato i ras della città nel clan Valle, e le opportune entrature quando necessario nelle stesse Forze dell’Ordine. Allo stesso modo i contatti nel mondo politico e le entrature anche nelle società pubbliche sono emerse nell’ambito dell’operazione che portò in manette l’ex assessore alla casa in quota Formigoni, Domenico Zambetti.
Dal pizzo e l’imposizione delle security nei locali della movida, alle società che hanno tentato di accaparrarsi il catering a San Siro, passando per gli studi di noti professionisti intenti a tirare le fila tra criminalità organizzata, politica e massoneria e la gestione di locali aperti al pubblico
L’attenzione ha ripreso quota, complice anche la brutale fine di Lea Garofalo, bruciata dal marito Carlo Cosco alle porte della civilissima Milano. Alcuni mesi dopo l’insediamento del sindaco Giuliano Pisapia si forma la commissione consiliare antimafia guidata dal consigliere Pd David Gentili, mentre a stretto contatto col sindaco lavora il comitato degli “esperti” con Nando dalla Chiesa.
INTERVISTA
a David Gentili, presidente della Commissione Consiliare Antimafia del Comune di Milano e a Giuseppe Gennari, Giudice per le Indagini Preliminari del tribunale di Milano, in seguito all’operazione Platino che portò alla luce i rapporti tra alcuni esponenti delle cosche e il giro della security nei locali della movida milanese
Tuttavia i tentacoli si rigenerano e la ‘ndrangheta a Milano non può sparire con una indagine, e i suoi uomini si muovono, alcuni da uomini liberi dal curriculum criminale corposo. Alcuni di questi hanno infatti scontato la pena, ma i loro nomi compaiono ancora tra le carte delle indagini più recenti dell’antimafia meneghina.