La Chiesa e i cristiani sono convinti che Gesù fosse il Messia tanto atteso dagli ebrei. Per loro, dopo il suo arrivo e, soprattutto, la sua resurrezione, la storia è archiviata. Nessun dubbio. Altri invece i dubbi ce li hanno ancora, anche perché di Messia auto-proclamati, dopo Gesù, ce ne sono stati tanti. Chissà. Beato chi crederà senza aver visto.
Secondo Wikipedia, fonte autorevolissima, si contano almeno una ventina di Messia post-Cristo di estrazione ebraica (quelli che invece impersonano il ritorno di Gesù, la “seconda venuta”, li tralasciamo, altrimenti non si finisce più). Ma nessuno sembra aver lasciato un grande segno e tantomeno aver creato una delle religioni più importanti del mondo che dura da circa duemila anni. In questo, bisogna riconoscere a Gesù che ha fatto un buon lavoro.
Premessa importante: all’inizio, nell’epoca antica, per essere il Messia era fondamentale avere carisma militare. Del resto, le scritture lasciavano pensare a un capo politico in grado di risollevare le sorti del popolo ebraico e condurlo alla gloria e al ruolo che merita: un regno al di sopra di tutti gli altri sulla Terra. Questo spiega perché, insieme a Gesù, che pure qualche tratto del rivoltoso lo aveva, figurano molti ribelli, a capo di gruppi di guerriglieri contro il dominio di Roma. Per loro, il Regno era di questa terra. I romani, però, si sono dimostrati ossi molto duri.
In seguito sarà la conoscenza della cabala e dei testi sacri a definire il Messia. Posate le armi e dispersi in tutto il mondo, gli ebrei sperano sempre in una riunificazione politica, ma la guida – chissà perché – deve avere connotati più spirituali. Ma cominciamo dall’inizio.
Atronge
Più o meno contemporaneo di Gesù, si è presentato in scena un certo Atronge, un pastore dal carattere molto duro. Secondo la descrizione di Giuseppe Flavio, era “molto alto e aveva mani molto forti”. Questo è bastato (all’epoca bastava) perché si proclamasse re di Israele. Aveva quattro fratelli, anche loro molto alti e molto forti. Si era posto a capo di un gruppo di ribelli, si è proclamato anche Messia, ha guidato una sollevazione popolare contro il re Erode Archelao, ha avuto la meglio, poi ha avuto la peggio. I suoi fratelli sono morti e lui è scomparso nel nulla.
Menachem
Secondo Giuseppe Flavio era figlio di Giuda di Galilea. Anche lui si era posto a capo di una rivolta contro Agrippa II, rivolta che stava anche avendo successo. Poi, però, le cose sono precipitate: dopo una marcia inutile su Gerusalemme alla guida di un gruppo molto combattivo, e la successiva presa della fortezza Antonia, comincia a montarsi la testa. Anche lui si proclama re di Israele e, di conseguenza Messia. Una scorrettezza, che provoca la reazione di Eleazar, un leader zelota rivale, che organizza una congiura per ucciderlo. Ci riesce.
Simone, figlio di Kokhba
Lui era un gigante (in senso metaforico, si intende). Fondò perfino uno Stato nel 132 d.C. Riuscì a regnare solo per tre anni, prima di venire sconfitto, anche lui, dai Romani. La sua storia è raccontata da Eusebio, che lo descrive come malvagio e fortissimo. La sua definizione come Messia è, in realtà, una ricostruzione successiva: il suo nome era Simone figlio di Kosevah, e venne chiamato dal rabbino Akiva, un saggio dell’epoca, Simone figlio di Kokhba, che vuol dire “figlio della Stella” – un modo per indicare il Messia. Non lasciò molto dietro di sé, se non un sistema di fare domande la cui risposta può essere solo “sì” o “no”. Il verbo kibarkochbázni verbo ungherese vuol dire, appunto, “estrarre risposte in modo molto noioso”.
MEDIOEVO
Mosè di Creta
Con lui ci spostiamo nel quinto secolo dopo Cristo. Dopo il fallimento di bar Kokhba erano pochi quelli che speravano ancora nell’arrivo di un nuovo Salvatore. Tra questi c’erano i seguaci di Mosè. Secondo una delle tante interpretazioni del Talmud, il Messia sarebbe arrivato nel 440 d.C, o nel 471. E allora si leva il movimento di Mosè di Creta (in realtà pare che si chiamasse Fiskis). Come il suo omonimo biblico, avrebbe condotto gli ebrei alla Terra promessa attraversando il mare. I seguaci abbandonarono tutto e lo raggiunsero in cima a un promontorio, a Creta, da dove egli ordinò di gettarsi. Dio li avrebbe condotti in salvo. Non andò così: molti morirono nello schianto, altri affogati. Di lui non ci sono state più notizie.
Isaac figlio di Jacoob Obadiah Abu Isa al-Isfahani (684-705)
Come si intuisce dal nome siamo in ambito persiano. Abu Isa (d’ora in poi lo chiameremo così) fondò una setta ebraica in opposizione al califfato umayyade di Abd al-Malik Ibn Marwan. Abu Isa era di umili origini: un sarto che non sapeva leggere e non sapeva scrivere. Ma questo non gli impedì di scrivere un libro, come sostenevano i suoi seguaci (nonostante non rimangano indizi di suoi testi). Decise di autoproclamarsi ultimo dei cinque messaggeri, in ordine di tempo, prima del Messia. Poi si autoproclamò Messia, con la missione di dare agli ebrei una nazione indipendente dal regno persiano. A capo di un piccolo gruppo di ebrei, si lanciò contro il califfo, che con un pugno di uomini lo sconfisse. Altre leggende narrano invece che Abu Isa vinse la battaglia (le cose erano abbastanza confuse all’epoca) e che guidò la sua sparuta guarnigione per il mondo. I suoi seguaci, gli Issawiti, si astenevano dal cibo e dalla carne.
Yudghan di Hamadan
Siamo sempre nella stessa epoca, e nella stessa zona: dopo la sconfitta di Abu Isa il giovane Yudghan decise di assumere su di sé l’eredità della battaglia e fondò, con altri sopravvissuti della setta di Abu Isa, un nuovo movimento. Imparata la lezione di Abu Isa, fu più prudente e non si autoproclamò Messia (lo faranno i suoi seguaci), ma solo “profeta” e “maestro”, rinunciò a fare nuovi stati e visse in isolamento. Ma più a lungo del maestro.
Serene
Siriano, nato nel 703 d.C., sfidò alcune tradizioni rabbiniche su prescrizioni, usi, e abitudini legate alle feste. Si autoproclamò Messia, fece guerra al Talmud, promise la Terra Santa e allora dalla Spagna lo raggiunsero alcuni ebrei affascinati dalla sua predicazione. Fu catturato e portato di fronte al califfo Yazid II. Qui Serene ritrattò tutto: non era un Messia, non aveva nessun progetto contro il califfo e voleva solo prendersi gioco degli ebrei. I suoi seguaci, appreso ciò, tornarono al Paese di origine, un filo scornati.
Davide Alroy
Qui siamo ai tempi delle Crociate, nel 1160. Alroy nasce nell’attuale Kurdistan, ha una profonda conoscenza della cultura ebraica e di quella islamica. Si diffonde la leggenda che sia un mago. Decide di approfittare della debolezza del califfo che, dopo le crociate, ha visto tumulti in tutte le zone dell’impero, con stati autoproclamati e scissioni. Era il momento giusto: decide di levarsi contro il sultano segiuchide Muktafi, fa appello agli ebrei oppressi e si autoproclama Messia, anche lui. Decide di partire all’attacco della cittadella di Amadia, da dove proveniva, e qui finisce la storia. Le cronache non permettono di distinguere i fatti storici dalla leggenda. Sembra però che le cose vadano male e che Alroy, alla fine, venga messo a morte.
Nissim ben Abraham
Anche la Spagna ha avuto i suoi profeti. Ad Avila, intorno al XIII secolo, si aggirava Nissim ben Abraham. Un uomo semplice e abbastanza ignorante, che però riuscì a proclamarsi Messia, anche in una comunità (quella giudaica dell’epoca) in cui il Messia veniva identificato con un sapiente, esperto nella Cabala e nelle Scritture. Tutto accadde in una notte. Nissim cambiò personalità perché, diceva, un angelo gli aveva fatto molte rivelazioni importanti. Cominciò allora a scrivere testi colti di cabala e commenti al Talmud, insieme a profezie penetranti. La comunità si divise: alcuni lo rifiutarono. Altri, invece, lo seguirono. Le cose andarono abbastanza bene finché non arrivò il giorno fatidico della proclamazione del Messia. Come è noto, nessuno può definirsi da sé Messia (è un requisito, ma molti non lo rispettano): è un titolo che deve essere riconosciuto dagli altri. Nissim aveva previsto che il Messia sarebbe stato rivelato in un giorno spcifico del 1295, nella sinagoga di Avila. La gente accorse, tutti erano curiosi, ma lo spettacolo fu soprendente: nella sinagoga apparvero delle croci. Uno scherzo dei cristiani? Un’allucinazione collettiva? Fatto sta che in molti si scandalizzarono, altri decisero di convertirsi al cristianesimo. E Nissim venne subito dimenticato.
EPOCA MODERNA
Moses Botarel
Anche lui proviene da ambienti ispanici, a cavallo tra il XIV e il XV secolo. A differenza di Nissim ben Abraham, Moses Botarel aveva avuto un’istruzione religiosa raffinatissima. Aveva studiato anche medicina e filosofia. Fu un mago (sosteneva di saper combinare i nomi di Dio – tradizione della Cabbala – per scopi magici), era attaccato agli amuleti e sosteneva che con il digiuno, un uso attento della Cabbala e le abluzioni, si potesse raggiungere una vicinanza a Dio sufficiente per diventare profeti. Da qui, il passaggio era quasi obbligato: dichiarò che, in uno di questi momenti di vicinanza a Dio, Elia lo aveva indicato come Messia. Chi, se non lui? Comunicò la cosa a tutti gli altri rabbini, con una circolare. Avrebbe risolto tutti i loro dubbi, dirimato le questioni più imbrogliate. Alcuni lo accettarono, altri lo ignorarono. Ma, a differenza di molti dei suoi predecessori, Botarel non fece una brutta fine.
Asher Laemmlein
Fu un ebreo di origine tedesca che divenne noto in Istria nel 1502. Convinto, dopo la lettura dei libri di Isaac Abrabanel, di essere il precursore del Messia, decise di cominciare a predicarne la prossima venuta. Gli ebrei si sarebbero dovuti pentire dei loro peccati, praticare la carità e nel giro di sei mesi il Messia sarebbe apparso. Alcuni (ci sono sempre) hanno cominciato a seguirlo nei suoi viaggi in Italia e in Germania. Il suo messaggio conobbe tanta diffusione che quell’anno divenne noto come “l’anno del pentimento”. Il problema è che, al momento del dunque, il Messia non apparve. Non solo: anche Lammlein scomparve in modi misteriosi. Forse morì. Con lui, svanirono tutte le speranze dei suoi seguaci.
David Reubeni
Attivista politico ebreo, agì tra il XV e il XVI secolo. Descritto come “mezzo mistico e mezzo avventuriero”, fu un personaggio che, raccontato oggi, sembra incredibile. Girò per l’Italia e per il Portogallo. La sua origine era misteriosa: parlava solo ebraico e arabo, proveniva da un regno sconosciuto di fede ebraica – il Regno di Habor (almeno così diceva) – e sosteneva di essere, laggiù, il ministro della guerra. Era partito per l’Europa per riunire, in una spedizione, i tre grandi imperi cristiani (quello francese, quello etiope e il Sacro Romano Impero) insieme al suo regno di Habor (forse identificato con un’oasi in Arabia abitata da ebrei) per liberare il popolo israeliano dagli invasori turchi. Riuscì addirittura a ottenere udienza dal Papa, Clemente VII, che lo indirizzò al re di Portogallo Joao. Anche quest’ultimo gli diede udienza e per un certo periodo anche retta: le sue pretese messianiche erano affascinanti. L’idea di Joao era di dargli delle armi e combattere i marrani, ma poi ci ripensò. Meglio evitare.
Reubeni, nel frattempo, non era rimasto fermo: aveva acceso le speranze dei conversos, cioè ebrei forzati a diventare cattolici, che cominciarono a levarsi in armi contro l’Inquisizione. Era un problema grave, da affrontare con decisione: e così Joao lo cacciò subito. Reubeni tornò in Italia, passò da Avignone, si femò a Milano e raggiunse Venezia. Con la sua eloquenza, le sue pretese messianiche, il suo seguito, era sempre pericoloso. Infine venne allontanato anche dalla Serenissima. Allora si diresse a nord e andò a Ratisbona per convincere l’imperatore Carlo V ad allearsi contro i turchi. Non andò bene nemmeno lì, anzi: fu arrestato, portato a Mantova e affidato all’Inquisizione spagnola. Di lui non si seppe più nulla.
Sabbatai Zevi
Un tipo in gamba: di famiglia sefardita, viveva a Smirne. Fin da giovane era considerato un portento della cabala. A 22 anni, nel 1648, decise che era giunto il momento di proclamarsi Messia. La cosa non piacque alla comunità, che dopo qualche titubanza decise di cacciarlo. Trovò rifugiò a Costantinopoli, dove un anziano rabbino confermò il suo status di Messia (non mancano mai) e decise di andare a Salonicco, dove predicò moltissimo e venne cacciato di nuovo. Lo si ritrova al Cairo e poi a Gerusalemme, dove ingrossò il gruppo dei suoi seguaci e cominciò a diventare noto in tutto il mondo ebraico. Era un periodo pieno di tensione, e adatto alla predicazione: si avvicinava il 1666, anno in cui sarebbe dovuta avere luogo, per i cristiani, l’Apocalisse.
C’era agitazione, i sommovimenti erano sempre più scoperti e interi gruppi cominciarono a muoversi per seguirlo. In poco tempo divenne una star. Forte del suo seguito, si convinse di essere sulla strada giusta e decise di partire per Costantinopoli, dove il Sultano – si predicava – avrebbe consegnato a lui la corona. Si sbagliava. Il sultano lo arrestò, lo mandò in galera e lo obbligò a convertirsi all’Islam. Una disfatta. Morì a Dulcigno, in Montenegro. I suoi insegnamenti turbarono molto a lungo il mondo ebraico: alcuni seguaci restarono fedeli (e ne esistono anche oggi) e tentarono di svilupparli; altri rabbini, invece, cercarono di limitare gli studi della materia. La cosa più interessante è che in tanti decisero di raccogliere la sua eredità e proclamarsi, a loro volta, Messia.
Barukhia Russo
Di Salonicco, ma di origine spagnola, fu uno dei successori di Sabbatai Zevi – o meglio, uno dei pretendenti successori. Aveva ricevuto e accettato un secondo nome, quello di Senor Santo insieme a un terzo, Elohi Israel (Dio di Israele). Diceva di avere natura divina e di essere, per questa ragione, il Messia. Sosteneva anche altre cose bizzarre: ad esempio, che Dio aveva sì creato il mondo, ma poi se ne era del tutto disinteressato. E che esistevano due Torah: una era quella nota, ma errata e da emendare e l’altra era quella divina, perfetta, che Dio non aveva voluto condividere con gli uomini. In questa seconda Torah era concesso mangiare carne non kosher e avere rapporti sessuali licenziosi sia fuori dalla famiglia (orge, adulterio) sia dentro (incesto). Morì nel 1720.
Jacob Querido
Soprannominato ”l’amato”, il ”prediletto”, fu anche uno dei pretendenti alla successione di Sabbatai Zevi. Veniva da Alessandria, era figlio di Giuseppe il Filosofo e fratello di Jochebed, ultima moglie di Sabbatai (che con la conversione all’Islam divenne Aisha). Sosteneva di essere la reincarnazione di Sabbatai, per cercare di attirare a sé gli ex seguaci, un po’ delusi, del grande leader. Gli riuscì: creò un largo seguito e poi, come il suo predecessore, nel 1687 si convertì all’Islam per giocare un ruolo di rilievo nella Donmeh (che altro non è che la comunità cripto-giudea convertita all’Islam). Guidò un pellegrinaggio alla Mecca, ma morì sulla strada del ritorno ad Alessandria.
Miguel Cardoso
Era discendente di una antica famiglia di marrani spagnoli. All’inizio viveva la vita del vitellone: durante l’Università, a Salamanca, non gli mancarono donne, amori, serenate. Studiava con il fratello, che al contrario si affaticava sui libri. Poi, arrivò il momento della conversione. Andò a Venezia e lì il fratello (quello di cui sopra) lo obbligò ad abbracciare l’ebraismo. Non con molto entusiasmo accettò. Faceva il medico, si trasferì a Livorno e svolgeva un tranquillo tran tran fino a quando, verso la metà del 1600, non fu raccomandato dal Granduca di Toscana al bey di Tripoli. Ennesimo viaggio, ma stavolta fruttuoso: divenne ricco, sposò due donne e si dedicò alla cabala. Fu qui che gli prese la mania: divenne un seguace di Sabbatai Zevi, ne diffuse le idee, venne perseguitato per questo e cacciato da Tripoli. Vagò per il Nordafrica a lungo e ne approfittò per definirsi “Messia ben Efraim”, con la scusa che il “Messia è colui che spiega Dio alle altre persone”. Dopo molto girovagare si stabilì Cairo, come medico per il pascià. Qui morì ucciso per mere questioni di denaro con suo nipote.
Mordecai Mokia
Nato nel 1650, era noto come “il predicatore”. Era un seguace di Sabbatai, giustificava per ragioni mistiche la di lui conversione all’Islam e sosteneva che non fosse mai morto. Che anzi nel giro di tre anni sarebbe risorto. Non realizzandosi la profezia, Mokia capisce che Sabbatai era solo il Messia Efraitico. Mentre era proprio lui il Messia Davidico, cioè quello finale. Andò a predicare la sua scoperta in Ungheria, in Boemia e in Moravia. Poi anche in Italia, dove però fu denunciato al tribunale dell’Inquisizione. Non erano tempi facili, quelli. Dovete ritornare in Ungheria, dove fu riconosciuto, alla fine, come pazzo.
Jakob Franck
È il fondatore del franckismo (che non è la variante rock del franchismo spagnolo). Di nascita ucraino (1726) durante la giovinezza intrattiene rapporti con il gruppo degli ebrei-finti-musulmani in Turchia. A loro spiega, nella sua modestia, di essere il Messia e la reincarnazione del re Davide. Nonostante le stranezze, riesce a farsi qualche amico e addirittura un discreto seguito. Confortato, torna in Ucraina, nel 1755 e si presenta, stavolta, come la reincarnazione dello spirito di Berechia. Non contento, si fa chiamare “santo senor” anche lui, sostenendo che il Messia – ormai li aveva convinti – era anche un santo re. Nel frattempo, giuravano i suoi adepti, compiva miracoli e lanciava attacchi al giudaismo rabbinico, ma gli va male. Lo cacciano dalla città di Podolia, perseguitano i suoi discepoli. Nel 1759, allora, decide che è meglio per lui e per tutti di convertirsi al cristianesimo. Ma la mancanza di sincerità della conversione sarà scoperta e lui, arrestato come eretico, finirà i suoi giorni in cella.
Menachem Mendel Schneerson
L’ultimo dei Messia, almeno in ordine di tempo. Con lui siamo in pieno novecento: nel fervore del giudaismo hassidico ritorno, puntuale, l’attesa del Messia. Siamo nei mitici anni ’80, appena prima di Tangentopoli. A Milano si beveva e si rubava, mentre in Ucraina, vedendo la fine del comunismo, si pregava e si aspettava il nuovo Cristo. Tutti aspettavano che Menachem Mendel, il loro Rebbe, rivelasse il nome del Messia. E invece morì nel 1994 senza aprire bocca. Perché mai? Secondo i suoi discepoli non volle spiegare che il Messia era proprio lui, e si rivelerà, un giorno, quando il tempo sarà venuto.