Un’italiana tra le file del Labour Party inglese

Un’italiana tra le file del Labour Party inglese

Ivana viaggia di notte sui mezzi pubblici che da Hackney scendono nella City di Londra. Lo fa per incontrare e osservare le decine di donne invisibili – tutte parte delle minoranze britanniche – che a quell’ora vanno a pulire gli uffici dei palazzoni della City. Prima che arrivino i trader. «Possiamo parlare di emancipazione quando permettiamo a poche donne di lavorare 10 ore al giorno grazie ad altre donne che per loro fanno le pulizie, cucinano e curano i loro figli?», si chiede.

Trentacinque anni, un figlio – Ettore – di dieci, Ivana si è trasferita a Londra sei anni fa. Era il 2008 e il Partito Democratico stava nascendo. La laurea in Scienze politiche, un master in Confindustria, il passato da Presidente nazionale di Studenti.it, la nomina, a soli 26 anni, di Responsabile nazionale dei diritti civili per i DS di Piero Fassino, e infine nel 2005 la partecipazione al comitato per la promozione della fecondazione assistita. Niente di tutto ciò è servito a far sì che il segretario del partito nascente, Walter Veltroni, la coinvolgesse nel progetto Pd. «L’Italia non mi offriva più nulla di interessante», racconta oggi. «E sono partita».

Oggi Bartoletti lavora per il Servizio Sanitario Nazionale, la Asl inglese, per intenderci. È Capo del Dipartimento Informazioni del settore Antifrode. Ma non solo. A Londra Ivana ha rincominciato a fare politica. E alle Europee 2014 ha corso per il Partito Laburista, dopo due anni di campagna elettorale sul territorio. Bartoletti è diventata anche Chair delle Fabian Women, l’ala femminile della Fabian Society, lo storico think tank che da sempre formula la policy del Labour Party.

«Ero arrivata da poco a Londra. Ho scritto una mail a Diane Abbott, la parlamentare rappresentante di Hackney, il quartiere di Londra in cui abito. È stata la prima donna di colore ad entrare nella House of Commons. Ci siamo incontrate in Parlamento, a Westminster. Fin da subito mi ha incoraggiata a fare politica. E io ho ripercorso la strada da capo. Dopo l’attività a Roma a livello nazionale, sono tornata a distribuire volantini nelle strade. Ho rincominciato da tre, come Troisi».

Ivana Bartoletti fa politica nelle strade di Hackney, Londra (Foto ivanabartoletti.co.uk)

Ivana è stata delegata della circoscrizione Hackney, controllando che i candidati del Labour eletti in Parlamento rispettassero gli impegni presi in campagna elettorale. Nel frattempo, mentre lavorava, e faceva politica, Ivana ha preso una seconda laurea in Diritti Umani e il tema dell’emancipazione femminile, insieme a quello della promozione dell’Unione Europea, è diventato uno dei punti chiave della sua attività politica. «Diane Abbott mi ha coinvolta nell’attività delle Fabian Women e sono poi diventata Chair».

Bartoletti si batte perché nei board delle società ci sia un 50 per cento di presenza femminile, e perché il numero di donne nei settori dell’Innovazione e Tecnologia cresca. «Non ci sarà mai un uomo che rinuncerà al suo posto di comando per lasciare spazio a una donna», spiega. «Non possiamo aspettare che gli uomini cambino mentalità e atteggiamento verso le donne», dice a difesa delle quote rosa.

Ma l’Inghilterra per Ivana è soprattutto il campo di battaglia ideale per correggere gli errori del «capitalismo sfrenato», e le disuguaglianze che questo comporta. Disuguaglianze, spiega, cresciute negli ultimi anni di governo conservatore e accentuate dalla crisi economica. «La gente ha iniziato a vedere negli immigrati la causa di tutti i mali. Ma non si accorgeva che il problema nasceva nella City, a 10 metri da casa loro. Nigel Farage, il leader del partito anti-immigrazione Ukip, è lui stesso un prodotto della finanza, è un ex broker figlio di una famiglia benestante inglese». E, neanche a dirlo, sposato con una tedesca.

«La qualità della vita della gente qui è si abbassata notevolmente. La ripresa economica di cui tanto si parla ha riguardato poche persone e non ha migliorato né i salari minimi né il costo della vita. I nuovi lavori creati dopo i tagli al sistema pubblico e la riduzione della spesa pubblica fatti da Cameron sono per lo più temporanei».

Austerity e precarietà sono temi centrali nel dibattito elettorale britannico iniziato ufficialmente da meno di una settimana. «Negli ultimi anni c’è stato un aumento spropositato dei contratti a zero ore». Simili ai nostri contratti a chiamata, prevedono che il datore possa chiamarti solo quando ne ha bisogno. E guadagni solo se lavori. Utili per gli studenti o per chi vuole arrotondare, diventano illeciti quando sono usati per nascondere lavoro dipendente e continuato. «Insieme ai contratti a zero ore è aumentato il lavoro part-time o il self-employment, che però ha reso instabili e più poveri i lavoratori». Nigel Farage, continua Ivana, sta cavalcando questo malcontento additando l’immigrazione europea come la causa di tutti i mali. «Gli immigrati in realtà sono vittime di questo. L’Inghilterra rischia di diventare una low pay economy, un Paese che si basa sullo sfruttamento della manodopera a basso costo», una manna per le catene della ristorazione e non solo. Tra il 2013 e il 2014, spiega Bartoletti, non c’è stata una sola condanna per quegli imprenditori che hanno violato la legge sul salario minimo pagando i dipendenti meno del minimo legale. «E intanto i finanzieri della City continuano a prendere bonus spropositati».

Di fronte a un mercato immobiliare sempre più inaccessibile alle giovani generazioni, e a servizi alle famiglie sempre più cari (il «child care» costa fino a 1000 sterline al mese») non si può più parlare di Minimum wage. «Il Labor Party propone ora di passare al “living standard”: dal garantire la sussistenza a fare in modo che il lavoro paghi il necessario per vivere una vita decente».

«Londra è due città che vivono parallelamente, commenta Ivana. Scorrono una accanto all’altra senza nemmeno sfiorarsi». Come le signore delle pulizie con i broker della city: lasciano gli uffici prima che loro arrivino ad accendere i computer.

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