Caserta sta vivendo ore di disperazione e protesta, dopo l’annuncio arrivato a sorpresa da parte della Whirlpool di chiudere lo stabilimento di Carinaro, comune di 7mila abitanti a 20 chilometri dal capoluogo della provincia. Gli oltre 800 lavoratori, di cui metà oggi sono in cassa integrazione, saranno lasciati a casa. Il precedente Piano Italia, siglato dalla Indesit (poi acquisita dalla Whirlpool) con il ministero dello Sviluppo economico nel dicembre 2013, preveva il mantenimento dello stabilimento. Mentre sono in corso i blocchi stradali nella città, l’amministratore delegato di Whirlpool Emea (area che comprende Europa, Medio Oriente e Africa), Davide Castiglioni, a Linkiesta difende la scelta: «i piani industriali di due aziende che si sono unite non possono essere gli stessi di quelli di due società “stand alone”». Aggiunge che «il piano è sostenibile nel lungo termine» e che «i principi del Piano Italia sono stati rispettati e superati», per il livello di investimenti e volumi. Ma l’impatto sociale di questa scelta è enorme e l’ad della multinazionale apre a interventi: «Saranno fatte le discussioni con sindacati e governo. Non abbiamo preclusioni sugli strumenti che potranno vedere l’azienda coinvolta per minimizzare l’impatto sociale». Ma sui dettagli bisognerà aspettare l’inizio del tavolo sindacale, a partire dal prossimo 20 aprile.
Dottor Castiglioni, i sindacati che abbiamo sentito danno un giudizio articolato del vostro piano. Sono disposti a riconoscere che il piano industriale ha degli elementi di razionalità. Ci sono delle operazioni di reshoring, con parti della produzione riportata in Italia da Turchia, Cina e Polonia, e c’è un rafforzamento della ricerca e sviluppo. Ma quello che ha spiazzato i sindacati e ottenuto la “forte contrarietà” del governo è la chiusura dello stabilimento di Carinaro (Ce), non prevista dal precedente accordo, oltre a quella del sito di None (To). Viene visto come l’abbandono del Sud Italia. A che cosa si deve questa scelta? È un problema di risorse umane, di qualità degli impianti, di logistica o di economie di scala?
Castiglioni: «L’obiettivo è stato di non lasciare scoperta nessuna delle aree geografiche. Continueremo a operare in tutte le precedenti regioni, compresa la Campania»
Vorrei intanto ribadire che l’obiettivo del piano è di essere sostenibile. È supportato da 500 milioni di euro di investimenti. È stato pensato fin dall’inizio per durare nel lungo termine. Non vogliamo essere costretti a tornare indietro tra due anni perché il piano era stato basato su scelte di compromesso. Se una multinazionale investe così tanto è perché crede nel Paese. L’obiettivo che ci siamo dati all’inizio è stato di non lasciare scoperta nessuna delle aree geografiche. Continueremo a operare in tutte le regioni coperte, compresa la Campania. Il tema è come far crescere il business, ma ribadisco che non usciremo dal Sud e dalla Campania.
Cominciamo dai motivi della scelta di chiudere lo stabilimento di Carinaro.
«La scelta non dipende dalle performance degli stabilimenti, ma dalle descisioni sulle piattaforme produttive»
La scelta non dipende dalle performance degli stabilimenti. Le performance sono simili, perché gli standard applicati sono gli stessi. La scelta ha a che fare con altri elementi, in particolare con le piattaforme produttive. Abbiamo lavorato per integrarle e ottimizzarle il più velocemente possibile. Il piano parte dai prodotti di due aziende distinte, con piattaforme simili, che si sono unite. Abbiamo voluto prendere il meglio del meglio dalle due realtà. A Caserta si producono 350mila frigoriferi a incasso. La decisione è stata di puntare sulla piattaforma di Cassinetta (Varese), che produce anch’essa frigoriferi a incasso e che avrà tre volte tanto la produzione di Carinaro, con circa un milione di pezzi, e delle conseguenti forti economie di scala. A Carinaro ci sono anche i piani cottura e questo non poteva essere sostenibile e compatibile con la decisione di creare nei pressi di Fabriano il più grande polo d’Europa dei piani cottura, con la produzione che si sposta dalla Polonia e anche da Cassinetta. Siamo quindi partiti dalle linee di prodotto e abbiamo voluto delineare degli stabilimenti con una chiara vocazione produttiva. Vorrei anche ricordare che Carinaro ha a oggi un livello di utilizzo bassissimo, solo il 50% degli lavoratori sta effettivamente lavorando.
In Campania dove rimarrete?
Nello stabilimento di Napoli, dove si costruiscono lavatrici a carica frontale. La sfida sarà come farlo crescere. Abbiamo fatto un investimento di 30 milioni per rilanciarlo, con una piattaforma di lavatrici con 12 chilogrammi di capacità, che è molto, e un motore silenziosissimo. Whirlpool ha deciso di rimanere al Sud, investendo su quello che può avere valenza strategica.
Quante persone lavorano a Napoli?
Sono 540.
In prospettiva si potranno spostare persone da Carinaro a Napoli?
Il 20 aprile si aprirà il tavolo sindacale. Saranno fatte le discussioni. Non abbiamo preclusioni sugli strumenti che potranno vedere l’azienda coinvolta per minimizzare l’impatto sociale.
Che tipo di interventi sono possibili per l’area di Carinaro?
«Non abbiamo preclusioni sugli strumenti che potranno vedere l’azienda coinvolta per minimizzare l’impatto sociale di Carinaro»
Il tema degli investimenti è un argomento dell’incontro sindacale. Non possiamo in questa fase dire di più. Posso dire che fin dall’inizio eravamo consci dell’impatto sociale che questo piano avrebbe comportato. C’è la massima apertura a discutere con i sindacati e le istituzioni, non su un singolo strumento ma su una serie di strumenti applicati in parallelo.
La più grande obiezione è che lo stabilimento di Carinaro doveva rimanere aperto, secondo il Piano Italia di Indesit sottoscritto con il governo.
«È impensabile che quando due aziende si mettono assieme, valgano per entrambe le aziende i piani industriali pensati per società “stand alone”»
Riguardo al Piano Italia, la nostra obiezione è che è impensabile che quando due aziende si mettono assieme, valgano per entrambe i piani industriali pensati per società “stand alone”. Dal punto di vista del contenuto dei piani, le cose sono cambiate. Ma i principi che hanno ispirato il Piano Italia sono rimasti. Gli investimenti in Italia sono rimasti, e anzi sono aumentati da 83 a 500 milioni. I volumi sono rimasti e li facciamo crescere. Il terzo punto era di non procedere con licenziamenti unilaterali fino al 2018. Fin da ieri (giovedì 16 aprile, ndr) abbiamo detto che l’azienda è aperta a prendere in considerazione questo aspetto. Pensiamo quindi che il Piano Italia sia stato rispettato e per alcuni versi superato.
Riguardo a Carinaro non c’è quindi un problema di qualificazione delle risorse umane?
«Penso che alcune persone di Carinaro potrebbero essere reimpiegate altrove»
Non c’è alcun problema di questo tipo. Nel mio team ci sono molte persone che provengono da Indesit. Togliamo dal tavolo il tema della qualità delle persone e delle performance delle fabbriche. Penso che alcune persone di Carinaro potrebbero essere reimpiegate altrove.
Rispetto al Piano Italia, gli esuberi non sono 900 ma 1.350. Può confermare che i 400 esuberi in più, 150 tra gli impiegati e 250 tra gli operai, sono considerati, come hanno detto i sindacati, riassorbibili?
Lo confermo. Gli esuberi che consideriamo veramente strutturali sono quelli degli stabilimenti di Carinaro e di None. Gli altri non li definirei esuberi. È sufficiente una minima reazione del mercato perché siano riassorbiti. È nostro interesse discutere al tavolo sindacale di strumenti di flessibilità per questi lavoratori.
Quanta parte di questo piano industriale è stato deciso in Italia e quanto negli Stati Uniti, dove la Whirlpool ha la sede centrale?
Ricordo che a Cassinetta c’è la sede europea di Whirlpool. L’area Emea (Europa, Medio Oriente, Africa) fa la sua strategia, che poi viene discussa con la corporation e viene approvata, ma su input del ramo europeo.