Bill Emmott: «Rischiamo l’uscita dall’Ue, ma il primo problema è la Scozia»

L’intervista

Le elezioni britanniche promettevano sorprese, e sorprese sono state. I conservatori di David Cameron hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi della House of Commons con 330 parlamentari (e il 36,9 per cento dei voti), smentendo i sondaggi della vigilia che li davano ad almeno quaranta seggi di distanza dall’obiettivo.

Se i trionfatori sono i conservatori, un altro risultato clamoroso è quello dello Scottish National Party (Snp), il partito che ha promosso il fallito referendum sull’indipendenza scozzese dello scorso anno. Ha ottenuto 56 seggi dei 59 assegnati nel Paese settentrionale, sottraendone moltissimi a LibDem e Labour.

Proprio il Labour è il grande sconfitto. Dato in un testa a testa con i conservatori, si è fermato a 232 seggi, ventisei in meno che nel parlamento uscente. Ed Miliband ha annunciato le sue dimissioni. Così come ha fatto Nick Clegg, il leader dei LibDem: finora alleati di governo di Cameron, lasciano sul campo 48 seggi su 53.

Anche il partito anti-europeista Ukip ha ben poco da festeggiare: nonostante il 12 per cento a livello nazionale ha ottenuto un solo seggio, penalizzato dalla legge elettorale. Contro cui, non a caso, si è subito scagliato Nigel Farage, il suo leader, che ha perso nel suo seggio di South Tanet e ha annunciato a sua volta che lascerà la guida del partito.

E ora? La riconferma di Cameron apre la strada a un periodo delicato per i rapporti del Regno Unito con l’Unione Europea. Il leader conservatore aveva promesso che, in caso di riconferma, avrebbe aperto negoziati con l’Ue per discutere condizioni più favorevoli per «gli interessi britannici». Se le otterrà, ha promesso che il suo partito avrebbe fatto campagna per il “sì” in un referendum sulla permanenza nell’unione, da tenere nel 2017.

Se l’Europa ha motivi per essere preoccupata, sul fronte interno rimane aperta la questione scozzese. Ne abbiamo parlato con Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, editorialista del Financial Times e autore del film-documentario The Great European Disaster, racconto di un’ipotetica fine dell’Ue con la regia di Annalisa Piras (che, per coincidenza, è in programma questa sera alle 21 su Sky Cinema).

Bill Emmott, qual è la sorpresa più grande di queste elezioni?
Penso che la sorpresa più grande sia l’ottimo risultato dei conservatori e il fatto che così tanti elettori sembrino essere passati ai Tories dal loro stesso partner di coalizione, i LiberalDemocratici.

«Molti elettori hanno avuto paura di una politica britannica dominata dallo Scottish National Party»

Come si spiega?
Credo che ci siano due spiegazioni principali. La prima è la paura che la politica britannica diventasse dominata dallo Scottish National Party. Era ampiamente previsto che lo Snp dominasse in Scozia; non è stata una sorpresa, nonostante abbiano ottenuto un risultato ancora migliore delle attese. Penso che questa previsione abbia spaventato alcuni elettori in Inghilterra, facendo loro pensare che fosse meglio votare per i conservatori e per un governo conservatore piuttosto che avere un governo in qualche modo sotto il dominio dello Snp.

La strategia elettorale dei conservatori era basata proprio su questa paura.
Sì, è una strategia che ha pagato. La seconda spiegazione è che ci fosse una preoccupazione per l’economia. Negli ultimi giorni, alcuni elettori indecisi devono aver pensato che fosse più sicuro e meno rischioso restare attaccati all’attuale governo conservatore piuttosto che scommettere sui laburisti, che naturalmente sono collegati allo Snp. Lo Snp avrebbe potuto chiedere costosi sussidi o trasferimenti di denaro, con conseguenze per le politiche britanniche. Penso che ci sia stata la paura che potesse avere conseguenze per l’economia nel suo complesso.

«La disfatta dei LibDem è la cosa più difficile da capire»

I LibDem hanno perso ovunque: perché questa disfatta?
È la cosa più difficile da capire. L’ipotesi migliore che mi sento di fare è che, poiché erano in coalizione con i conservatori e di gran lunga il partito più piccolo, molti dei loro elettori devono aver pensato che non valesse la pena preoccuparsi di votare LibDem e scegliere piuttosto i conservatori, se erano d’accordo con l’azione di governo, o per i laburisti, se non lo erano. È difficile capire perché i LibDem siano stati così puniti e i conservatori così premiati, a guardare gli ultimi cinque anni di governo.

Questa è la contraddizione: una sconfitta così per i LibDem e una grande vittoria per i conservatori.
Beh, in termini storici è una piccola vittoria per i conservatori, ma rispetto alle attese è davvero ottima. Questo è il punto. E dopo oggi, ci dovremo concentrare sul fatto che sarà un governo conservatore molto debole, perché avranno una maggioranza di pochissimi seggi. Non sarà un governo forte come quello della Thatcher negli anni Novanta.

La questione delle coalizioni post-elettorali, di cui si è parlato tanto prima del voto, resta attuale?
Penso che sia improbabile. Anche se solo di un seggio, i conservatori hanno ottenuto una maggioranza inaspettata. Sarei sorpreso se Cameron cercasse accordi, ad esempio con i nordirlandesi del Dup [che hanno conquistato 8 seggi, ndR]. Potrebbe avere qualche trattativa con loro, ma una coalizione è poco probabile. Penso che proverà a governare con la sua stretta maggioranza.

Passiamo all’altro schieramento. Chi ha le colpe maggiori nella sconfitta del Labour?
Non si può evitare di dare la colpa al leader, Ed Miliband, nonostante abbia migliorato il suo status e la sua reputazione durante la campagna elettorale. Penso che sia partito da così in basso… Ma non è stato abbastanza. I laburisti hanno perso in Scozia perché hanno scelto posizioni probabilmente troppo simili a quelle dei conservatori in materia fiscale. C’erano differenze, ma nonostante tutto volevano continuare con l’austerità, il che ha permesso allo Snp di chiedere: perché votare il Labour? Col senno di poi, dovevano pensare a politiche fiscali diverse, e probabilmente anche prendere più iniziativa in Scozia. Avevano bisogno di un’idea più distintiva, per gli elettori scozzesi, del futuro del Regno Unito, del prossimo processo di riforma costituzionale. Non avevano una proposta costruttiva, lasciando agli scozzesi la tentazione di pensare: beh, anche se non voglio l’indipendenza, avrò più voce in capitolo a Londra se voterò per i nazionalisti scozzesi.

«Cameron è obbligato a continuare con il suo piano: referendum e negoziato con l’Unione Europea

Il resto d’Europa ha seguito queste elezioni con grande apprensione. Cameron ha promesso di aprire un negoziato con l’Ue e un referendum sull’adesione britannica. Visti i risultati, Cameron continuerà per questa strada, o si trattava di promesse fatte solo per tenere a bada l’Ukip?
Penso che per il governo Cameron continuare con il percorso che ha promesso sia inevitabile. Oggi è obbligato al cento per cento a proseguire con questo piano. Dal punto di vista europeo, la conseguenza principale del risultato britannico è che ci sarà un referendum – non sappiamo quando, ma probabilmente nel 2017 – e prima di esso ci sarà qualche tipo di negoziato guidato da Cameron a proposito di riforme dell’Unione Europea.

Pensa che, a livello europeo, si tratti di negoziati e discussioni possibili, vista la grande autonomia che ha già il Regno Unito all’interno dell’unione?
Penso che se ne possa discutere. Ma non sappiamo che cosa davvero si aspetti da questi negoziati. In altre parole, Cameron ha tenuto abbastanza per sé quanto vuole ottenere. Penso che la sua vittoria elettorale lo rafforzerà nei negoziati con Angela Merkel – che rispetterà la sua vittoria come ha rispettato quella di Matteo Renzi alle europee. La questione per Cameron è se può ottenere o meno alleanze con altri Paesi europei, per esempio con l’Olanda, la Svezia o la Polonia (e naturalmente con la Germania) per progettare qualche riforma che poi possa presentare come un guadagno per i britannici. Sarebbe un grande errore, e probabilmente una garanzia di fallimento, se seguirà la strada greca di “negoziazione e isolamento”: porla cioè come una discussione sull’appartenenza britannica all’Unione Europea. Penso che debba presentarla come un’iniziativa britannica per migliorare l’Europa nell’interesse di tutti. Naturalmente, tutto questo mi preoccupa.

Come mai?
Perché il tempo è poco, e il suo stesso partito farà pressione perché Cameron sia ambizioso. La campagna elettorale è stata un grande fallimento per l’Ukip, ma hanno ottenuto comunque molti voti. Nel partito conservatore c’è una forte minoranza – diciamo tra i cinquanta e i cento parlamentari, sui 330 eletti – che è euroscettica. Quindi, con la sua stretta maggioranza, avrà molta pressione da parte loro. Lo stesso Ukip, cosciente del loro 10-12 per cento, sentirà di dover ottenere qualcosa di significativo, e questo è quello che mi preoccupa. Così poco tempo e circostanze così difficili per l’Europa. Molti paesi europei vogliono cambiamenti nei trattati europei, a causa delle loro situazioni politiche. È una situazione molto difficile in cui ottenere risultati e riforme.

A livello nazionale e internazionale, quindi, quali saranno le conseguenze principali del voto?
Questa elezione ha due conseguenze: una internazionale, ed è il referendum sull’Unione Europea che ora si dovrà tenere per forza, e una nazionale, riguardo la Scozia. Bisognerà trovare qualche nuova formula, qualche nuovo sistema per gestire le autonomie regionali, probabilmente un sistema più federale.

Nigel Farage ha dato la colpa del risultato al sistema elettorale, che è un tema molto caldo anche in Italia anche in questi giorni. Bisogna aspettarsi una discussione a riguardo anche nel Regno Unito?
Una discussione sul sistema elettorale ci sarà, ma non sarà molto urgente. Penso che i conservatori non siano molto interessati, e davvero più urgente sarà la Scozia e qualche tipo di azione verso un sistema federale. Potrà tornare ad essere in discussione, certo, ma come questione secondaria, su come avere un diverso bilanciamento dei poteri tra le diverse regioni del Regno Unito. Abbiamo avuto un referendum su un nuovo sistema elettorale quattro anni fa, che è stato sconfitto e con un’affluenza molto bassa.

I britannici non sono così interessati a cambiarlo, dunque.
No, e il partito che premeva di più per un cambiamento erano i LibDem, che in queste elezioni sono stati spazzati via.

Quale sarà il primo provvedimento su cui si concentrerà il nuovo governo Cameron?
Per prima cosa, Cameron si muoverà sulle relazioni con la Scozia e i rapporti di forza tra le regioni britanniche. Aveva già proposto maggiori poteri per la Scozia e di trasferire in particolare più potere di tassazione. Potrebbe semplicemente accelerare quel processo o potrebbe aprire una discussione con i partiti scozzesi, gallesi e nordirlandesi per cercare di ottenere una soluzione più di lungo termine. Questa è la prima cosa su cui lavorerà; oppure saranno provvedimenti economici, ma credo di più in iniziative sul federalismo.

«Per noi c’è, sfortunatamente, la possibilità di lasciare l’Unione Europea»

Come vede il ruolo del Regno Unito nell’Unione Europea, nel 2020?
Questo mi preoccupa. Sembriamo andare verso la Grexit, una crisi dell’adesione all’Unione Europea della Grecia, nell’arco di settimane, e questo potrebbe causare una situazione economica e un’atmosfera politica molto negative per l’iniziativa britannica di riforma. Penso che si possa evitare, ma questo è lo scenario che abbiamo messo sullo sfondo anche del nostro film Il grande disastro europeo. Lì si può vedere dove può portare questa situazione, perché la concomitanza della crisi greca e dei negoziati britannici è piuttosto pericolosa. Penso che si possa risolvere questo problema, in particolare con un accordo tra Angela Merkel e David Cameron per rilanciare l’Europa, estendere il mercato unico, avere un grande programma di investimenti pubblici e compensare il colpo che verrebbe da un’uscita greca. Penso che Cameron sarebbe molto saggio a sfruttare la situazione per i suoi obbiettivi di riforma, ma non posso sapere se lo farà.

Quindi vede anche una “Brexit” tra le possibilità del futuro?
Sì, sicuramente. I sondaggi mostrano ora una forte maggioranza dei britannici a favore di restare nell’Ue, ma le elezioni di ieri ci dicono che i sondaggi non sono sempre accurati. Quindi per noi c’è, sfortunatamente, la possibilità di lasciare l’Unione Europea.

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