Negli ultimi anni espressioni come “fuga dei cervelli” o “bassa attrattività del Sistema Italia” sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo nazionale, molto spesso associate a immagini dense di rassegnazione tipiche di un Paese, l’Italia, in cui la lamentela fine a se stessa ha quasi sostituito il calcio come sport nazionale. Abbiamo ritenuto dunque interessante, provare ad indagare la realtà italiana con occhi diversi dai nostri, ovvero quelli di alcuni expats che nonostante l’assenza di un network famigliare consolidato o la non eccellente conoscenza della lingua, hanno dimostrato che anche in Italia si possono creare aziende che rispondano efficacemente a determinati bisogni. Con questo intento nasce “La sostenibile leggerezza degli Expats. Storie di chi ce l’ha fatta, nonostante uno Stato pesante”.
Le tasse si pagano dappertutto, non sono alte solo in Italia e non possono diventare una scusa per non provare a fare qualcosa
«Le tasse si pagano dappertutto, non sono alte solo in Italia e non possono diventare una scusa per non provare a fare qualcosa. Un altro discorso, semmai, sono le modalità con cui lo Stato impiega quei soldi per cui è sacrosanto esigere maggior efficienza da parte della sua burocrazia», esordisce così Damien O’Farrel, 50 anni, irlandese. Residente a Roma dal 1988 dove ha fondato la Principal Relocation Company, una società di relocation che assiste grandi aziende internazionali nel semplificare il trasferimento dei propri dipendenti stranieri in Italia, Ticino e Malta.
Quasi 30 anni fa Damien si è trovato catapultato a Roma da Los Angeles per aiutare un amico in difficoltà. Col passare degli anni è diventato un punto di riferimento all’interno della comunità expats capitolina, gettando così solide fondamenta per sviluppare in seguito la sua Relocation Company. «Dopo alcuni anni lavorando in un’azienda del settore, ho deciso di aprire la mia società per fare le cose meglio e come volevo io» aggiunge Damien prima di affermare con sicurezza che l’Italia di oggi può essere paragonata agli Stati Uniti degli anni ‘40, ovvero ad una terra ricca di opportunità nascoste che aspettano solo di essere scoperte.
«In Italia esistono opportunità che faticano ad emergere anche per via della bassa propensione di molti vostri connazionali verso l’imprenditoria, in troppi sono mentalmente abituati alla certezza del posto fisso anche se palesemente malpagato» – ci spiega Damien – il quale ritiene necessario un maggiore impegno da parte del governo nel promuovere l’imprenditorialità ,non solo semplificando gli iter burocratici ma rivoluzionando la cultura del Paese. «Bisognerebbe cominciare fin da piccoli, gli stimoli della scuola e della famiglia sono fondamentali nel plasmare l’individuo adulto. In Irlanda già a 7- 8 anni i miei genitori mi abituavano a creare e gestire i miei risparmi in autonomia, accordandomi la paghetta solo in cambio del mio aiuto nelle faccende domestiche».
Se si vuole creare anche in Italia un ambiente realmente business friendly, la politica deve coinvolgere esperti
La cultura gioca un ruolo chiave nell’alimentare o rallentare determinate spinte che vengono dalla parte più dinamica del Paese, tuttavia, le cause del nostro ritardo, secondo Damien, sono anche di altra natura. Infatti, l’eccessiva anzianità all’interno della classe dirigente è causa di un impasse negli ingranaggi vitali del paese. Ciò appesantisce così i tentativi della nostra società nello stare al passo coi tempi che corrono altrove. Per questo motivo, argomenta Damien, invece che personaggi di dubbia qualità e provenienza, è necessario che la politica sappia coinvolgere quelle personalità che vantano curriculum di tutto rispetto, se si vuole creare anche in Italia un ambiente realmente business friendly. «In Italia avete diversi straordinari imprenditori, uno su tutti, a Bologna, il patron di Technogym [Nerio Alessandri, nda], mi domando perché il governo non istituisca un Dream Team con cui consultarsi per ispirare e finanziare azioni concrete volte a trasmettere nuovi stimoli nella società?». A questo punto, meglio sorvolare sull’argomento perché non sarebbe semplice spiegare ad un irlandese l’autoreferenzialità della nostra classe politica e l’esigenza di riciclare perennemente, anche all’interno di incarichi fondamentali, inetti professionisti della politica che nella propria vita non hanno mai fatto altro.
L’immagine romantica dell’Italia si scontra con una realtà di scioperi selvaggi e poca professionalità
Giunti alla domanda su cosa colpisca dell’Italia, in positivo e negativo, gli expats che Damien aiuta a stabilirsi da noi, la sua testimonianza è interessante: «sicuramente esiste un problema di percezione tra l’immagine quasi romantica, tutta buon vino, eleganza e cultura, vecchio retaggio della Dolce Vita, che molti stranieri hanno in testa prima di trasferirsi in Italia. Un’idea che regolarmente si scontra con l’amara realtà fatta di scioperi selvaggi, poca professionalità nella gestione dei servizi essenziali (luce, gas, utilities in generale) e la difficoltà, ad esempio, per i propri partner, di trovare un lavoro che si possa definire tale. In positivo invece l’imparagonabile bellezza dell’Italia, l’enogastronomia di qualità e una più alta percezione della sicurezza personale, visto che ad esempio il consumo di alcool è più responsabile ed il controllo sociale maggiore». Dunque su col morale Renzi, esiste di default un ottimo marketing per attrarre risorse dall’estero, ora si tratta di lavorare sodo sulla qualità del prodotto Italia.
La nostra piacevole chiacchierata si conclude con una domanda da tipico italiano che con un pizzico di esterofilia cerca di sput***are il proprio Paese: «qual è la più assurda situazione con la Pubblica Amministrazione che hai sperimentato solo qui e non altrove?», stuzzicato sull’argomento la sua risposta è diretta: «sicuramente il fatto che non esistano procedure velocizzate per il rilascio di permessi di soggiorno a top managers, esperti professionisti o investitori extracomunitari. È assurdo, infatti, che si tratti il capitale umano di cui l’economia italiana ha enormemente bisogno, con le stesse bizantine procedure di chi viene invece a fare la colf o a raccogliere pomodori. In Svizzera gli high qualified individuals ottengono il permesso in 5 giorni, mentre ricordo un caso a Treviso in cui sono stati necessari 9 mesi perché l’ufficio non era informato sulle recenti modifiche legislative».
Densa del pragmatismo tipico della cultura anglosassone, l’ultima frase di Damien, logica come l’algoritmo di Google, non lascia campo ai dubbi su cosa sia più intelligente scegliere di fare: «anche perché se non sarete voi stessi a facilitare l’ingresso di individui e risorse necessarie alla vostra fragile economia, state pur certi che nell’economia globale ci sarà sempre un altro Stato pronto ad accoglierli al posto vostro». And that’s competition, baby!