Da una parte due umani, dall’altra un robot. Nella partita a biliardino che si disputa nello stand della Pilz la partita è quasi in pareggio: 5 a 3 per il robot. Ma è solo un’illusione. «Lo abbiamo programmato al livello due su sei», ci spiegano dall’azienda tedesca, una delle star della fiera dell’automazione Sps, a Parma. «Quando siamo saliti al livello 5, abbiamo sfidato la nazionale tedesca di biliardino e ha stravinto il robot». È solo l’immagine più spettacolare dei progressi di visione, elaborazione di informazioni, e abilità tecnica che ha raggiunto l’automazione applicata alle fabbriche. Tutto attorno, sui due padiglioni della fiera, si vedono macchine che impacchettano, afferrano, avvitano, contano. Poi ci sono le star, per fare colore: il canguro robot che salta, l’androide che suona il piano (costruito a mano da un ragazzo italiano, in realtà la semplice evoluzione dei vecchi pianoforti a rullo) e Yumi, il robot con due braccia della Abb, che in fiera avvita e che nel supermercato del futuro dell’Expo prende la frutta e le scatole dagli scaffali.
Yumi, il robot multiuso della Abb, presente anche nel “supermercato del futuro” di Expo 2015 (Fabrizio Patti / Linkiesta)
Le imprese italiane del settore hanno visto il fatturato complessivo crescere del 5% nel 2014, grazie all’export. Nel 2015 cresceranno del 5-10%
La buona notizia che viene dalla fiera (organizzata da Messe Frankfurt e che quest’anno registra un +11% di visitatori, giunti a 23.450) è che l’Italia è pienamente parte del boom dell’automazione. Le imprese italiane del settore hanno visto il fatturato complessivo crescere del 5% nel 2014. Dalla federazione Anie di Confindustria dicono che il primo trimestre del 2015 è iniziato molto bene e che le previsioni per l’anno in corso sono di chiudere con una salita del 5-10 per cento.
Questa crescita, ci dice Roberto Maietti, presidente della società di consulenza Masai e direttore del magazine sull’automazione City Life, è stata anticiclica grazie all’80% di export e grazie alla capacità delle imprese italiane di integrare la meccanica e la parte elettronica ed elettromeccanica. Giusto per dare un’idea, questa capacità ci pone al secondo posto nel mondo per livello di export nel settore dell’automazione industriale, subito dopo la Germania, che peraltro è il nostro primo mercato.
Macchina impacchettatrice a Sps Parma (Fabrizio Patti / Linkiesta)
L’industrie 4.0 si basa su macchinari che dialogano tra loro e con il cloud. Le conseguenze: produzioni su misura, reshoring, trasformazione del lavoro
Proprio il confronto con la Germania deve, tuttavia, accendere qualche campanello d’allarme e non farci sedere troppo sugli allori. La parola chiave è “Industrie 4.0”: con essa si intende la definizione che a Berlino hanno dato della nuova industria fatta di macchinari che dialogano tra loro, si aggiornano e ricevono informazioni da remoto, spesso attraverso sistemi cloud. Un tipo di connettività che permette una maggiore flessibilità, tempi di reazione minimi, minori sprechi e una produzione sempre più su misura. Le conseguenze sono dirompenti e vanno dalla possibilità di un ritorno in Occidente delle fabbriche grazie all’aumento del tasso di automazione (ma anche, al contrario, una più semplice delocalizzazione) alla trasformazione radicale del lavoro degli operai.
Oggi la consapevolezza delle imprese italiane sui temi dell’Industria 4.0 non è paragonabile a quella delle imprese tedesche, che, come documentato alla fiera Techtextil-Texprocess di Francoforte, è elevatissima e parte centrale della comunicazione dei gruppi maggiori. «È vero, c’è meno consapevolezza – dice a Linkiesta Donald Wich, amministratore delegato di Messe Frankfurt Italia -. Noi come fiera cerchiamo di essere un ponte tra le due realtà economiche». Il comitato scientifico di Sps Parma, guidato da Carlo Marchisio, vicepresidente di Anipla, così come la federazione di categoria Anie, stanno cominciando a fare formazione.
Donald Wich, ad di Messe Frankfurt Italia, organizzatrice di Sps Parma (Fabrizio Patti / Linkiesta)
Wich, Messe Frankfurt Italia: «Le imprese italiane hanno tutte le caratteristiche per questa nuova produzione C2B, dove è il consumatore che determina le caratteristiche del prodotto»
«La cosa che deve essere chiara – dice Wich – è che le imprese italiane hanno tutte le caratteristiche per questa nuova produzione C2B (dal consumatore all’azienda, ndr), dove è il consumatore che determina le caratteristiche del prodotto. Questo anche perché la nuova industria si applica anche alle Pmi, che hanno la flessibilità necessaria per introdurre le novità all’interno».
La Germania questo fenomeno ha invece scelto di governarlo. «Il termine Industrie 4.0 nasce in Germania ed è un sistema che si è creato attraverso la collaborazione tra il governo, le industrie e i centri di ricerca», spiega Wich. «Lo scopo è stato quello di capire gli scenari futuri e far sì che tra 20 anni l’industria tedesca sia competitiva nei confronti di quella cinese e americana. I processi sono d’altra parte irreversibili: se non si investe nelle nuove tecnologie è inevitabile che la produzione si sposti verso Paesi terzi». Per arrivare all’obiettivo sono stati creati dei gruppi di concertazione, in cui alcune informazioni vengono condivise tra i soggetti. Tra i temi affrontati dal gruppo, aggiunge Maietti, ci sono stati i cambiamenti nell’offerta formativa e nei contratti di lavoro, sia dal punto di vista della sicurezza sia da quelli della privacy, visto il sempre maggiore ricorso a sistemi di visione avanzata da parte delle macchine.
Teo Tronico, robot suonatore di pianoforte ideato e costruito da Matteo Suzzi, specializzato in meccanica da intrattenimento (Fabrizio Patti / Linkiesta)
Marco Vecchio, Anie: «Ormai siamo abituati al disinteresse del governo verso il nostro settore»
Se cercate qualcosa di simile in Italia, non la troverete. «Ormai siamo abituati al disinteresse del governo verso il nostro settore – dice Marco Vecchio, segretario di Anie Automazione, associazione di Confindutria all’interno della federazione delle imprese elettrotecniche ed elettroniche -. L’unica cosa che chiediamo è che non ci mettano bastoni tra le ruote». La lontananza del governo è lamentata da diversi interlocutori, a taccuini aperti e ancor di più chiusi.
Quello che le imprese chiedono è soprattutto che le istituzioni ripensino all’istruzione e alla formazione continua di tipo tecnico. «Non è vero che l’automazione porti via il lavoro, lo dico da 20 anni – aggiunge Maietti -. Ma è indubbio che cambia completamente il profilo del lavoratore».
Monoposto realizzata dagli studenti del Politecnico di Milano (Fabrizio Patti / Linkiesta)
Un confronto tra i sistemi tedesco e italiano viene da Luca Bogo, amministratore di Pilz Italia, una società che in Germania è stata una delle più coinvolte nei tavoli con il governo di Berlino e con gli istituti di ricerca. «È sbagliato pensare che le novità dell’Industria 4.0 siano solo di carattere tecnico. Il cambiamento principale è di tipo socio-demografico. Ci sarà un’evoluzione della tipologia di lavoratore e sono necessarie nuove figure». In Germania, aggiunge, «le università stanno cambiando pelle, a costo di andare contro la loro forza tradizionale: quella di essere molto pratiche e creare dei garzoni di bottega pronti per le aziende. Ora stanno diventando più simili alle università americane». In Italia, nota, «si sente molto la mancata vicinanza tra il mondo accademico e quello del lavoro. Questo anche in atenei di eccellenza come i politecnici di Milano e Torino e università come quelle di Padova e Bologna».
Roberto Maietti: «Non è vero che l’automazione porti via il lavoro. Ma è indubbio che cambi completamente il profilo del lavoratore».
Secondo Anie e le altre sigle del settore bisogna insistere più sugli Its, gli Istituti tecnici superiori. Mutuati da un’esperienza simile tedesca, sono stati introdotti dal governo italiano nel 2013, dopo essere nati sulla carta nel 2008. Si sono affiancati agli Ifts, che durano un anno (dopo il diploma) e che, essendo soggetti a bando, nascono e muoino. La differenza con gli Its la spiega Raffaele Crippa, direttore dell’Its Lombardia Meccatronica, un istituto gestito dai salesiani specializzato in automazione industriale. «Gli Its durano due anni e richiedono, per nascere, delle fondazioni. La nostra comprende 40 partner, tra le migliore scuole superiori tecniche di Milano e della Lombardia, università, aziende, tra cui figurano Abb, Bosch, Mitsubishi e Alstom» e varie associazioni confindustriali lombarde. Per ora ci sono due classi, una a Sesto San Giovanni e una a Bergamo, con 45 allievi (selezionati tra 80 aspiranti). Il costo per il biennio, spiega Crippa, è di 1.500 euro, ma ci sono delle agevolazioni che permettono di non pagare il secondo anno.
Raffaele Crippa, direttore dell’Its Lombardia Meccatronica (Fabrizio Patti / Linkiesta)
La “Buona scuola” prevede il potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale
«Il pregio della nostra formazione è che sono previste almeno 600 ore di tirocini nelle aziende e che almeno il 50% delle lezioni siano tenute da rappresentanti di imprese o delle libere professioni. Abbiamo un tasso di occupazione dell’80%, con uno stipendio iniziale di 1.100-1.200 euro e prospettive di sviluppo buono». Per Crippa «qualcosa si sta muovendo, dal 2013. Questo anche perché tra gli Its abbiamo scelto di avere un atteggiamento di collaborazione: abbiamo creato una rete di 7-8 Its della meccanica, con l’obiettivo di fare massa critica nei confronti degli interlocutori istituzionali».
Negli articoli della “Buona scuola” del governo Renzi votati alla Camera è previsto il potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale anche con piani nazionali e regionali di alternanza scuola-lavoro. La sfida è far sì che non rimanga sulla carta.