TaccolaIl turismo per Expo? Un affare per Airbnb

Il turismo per Expo? Un affare per Airbnb

Milano ha scoperto, qualche giorno fa, che nei giorni dell’inaugurazione di Expo 2015 solo il 40% degli alberghi registrava il tutto esaurito. La rilevazione, da parte di Trivago, mette in luce che se a Milano il 60% degli hotel ha posti disponibili, a Firenze la percentuale si fermava negli stessi giorni al 38%, a Roma al 34% e a Venezia al 23 per cento. Prima di parlare, però, di un flop del turismo legato all’esposizione, bisognerebbe guardarsi questo grafico: 

Fonte: Master in Economia del Turismo – Università Bocconi. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

A elaborarlo è stata una ricerca dell’Osservatorio Assolombarda Bocconi sul tema dell’Ospitalità alternativa. Il significato è chiarissimo: non c’è un problema di domanda, semplicemente l’offerta è cambiata ed è sempre più quella della sharing economy. Un confronto con altre città europee mostra come ci sia ancora margine per aumenti. Barcellona conta il doppio delle camere di Airbnb e più del quadruplo di quelle pubblicate su Wimdu, che in Italia è ancora relativamente poco presente.

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Gli alloggi su Airbnb a Milano sono 7.600, il doppio di un anno fa. Il numero di prenotazioni è quasi quadruplicato (+293%)

La ricerca è di gennaio e un comunicato stampa di Airbnb dice che l’offerta nei quattro mesi successivi si è allargata di altri mille spazi disponibili: oggi sono più di 7.600, con una crescita anno su anno del 107 per cento. «Il numero di prenotazioni su Airbnb a Milano durante l’Expo – spiega la nota – è quasi quadruplicato (+293%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 84% è la percentuale di alloggi prenotati al di fuori del centro storico: in questo modo, Airbnb porterà i turisti a visitare mete tradizionalmente fuori dal circuito turistico. Il 50% di alloggi disponibili su Airbnb a Milano si trova al di fuori della zona 1».

Anche se si prendono in considerazione i 621 di alloggi “alternativi” agli alberghi presenti su Booking, la gran parte non risulta negli elenchi della Provincia di Milano. Oltre il 70% degli affittacamere (32 su 41) e dei B&B (52 su 73) promossi sul portale, spiega la ricerca Assolombarda-Bocconi, è effettivamente presente anche negli elenchi ufficiali. Per gli appartamenti, il rapporto si inverte: quasi il 76% (381 su 502) degli appartamenti presenti su Booking non risulta infatti presente negli elenchi della Provincia.

Fonte: Master in Economia del Turismo – Università Bocconi. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

Per capire l’esplosione dei servizi di sharing economy, basta vedere altri due risultati della ricerca, sui prezzi e la soddisfazione degli ospiti. 

Fonte: Master in Economia del Turismo – Università Bocconi. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

A Milano con Airbnb si può dormire con meno di 100 euro nel’83% delle stanze private e nel 42% degli appartamenti

A Milano con Airbnbn si può dormire con meno di 100 euro a notte nel’83% delle stanze private e nel 42% degli appartamenti. L’ospitalità alternativa non è però una soluzione ricettiva solo per turisti low budget e a dimostrarlo è il prezzo medio che non è proprio basso: 93 euro per le stanze e 132 euro per gli appartamenti.  «Si tratta quindi di un’offerta molto variegata che si rivolge a soggetti con capacità di spesa diversa (e, quindi, a segmenti diversi di turisti, sia leisure che business) – nota la ricerca -. Tale aspetto emerge anche dagli incontri con gli operatori che sottolineano come l’ospitalità alternativa a Milano sia capace di intercettare ‐ proprio per la sua eterogeneità ‐ tanto le esigenze dei turisti low budget quanto quelle dei turisti high spender».

Dal punto di vista della domanda, è evidente il livello di soddisfazione degli utenti di queste formule ricettive: il giudizio medio è di 4,7 su 5 per il campione di alloggi analizzato su Airbnb.

Fonte: Master in Economia del Turismo – Università Bocconi. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

L’ultimo aspetto che esce dalla ricerca è quello che più fa parlare gli industriali di Assolombarda di concorrenza sleale: «l’offerta di forme di ospitalità alternativa a Milano – si legge – sembra configurarsi come parte di un progetto di investimento immobiliare o come un’attività economica a tutti gli effetti più che come una forma di integrazione di redditi». 

Quasi il 4% degli host propone in affitto almeno 10 alloggi su Airbnb a Milano o in un’altra località

Degli alloggi proposti a Milano su Airbnb, l’84% sono proprietà intere e solo nel 16% dei casi sono locazioni di uno spazio all’interno della propria abitazione. Inoltre, quattro host (persone ospitanti) su dieci propongono in affitto su Airbnb almeno due proprietà; quasi due host su dieci (18,5%) propongono in affitto su Airbnb proprietà sia a Milano che altrove; quasi il 4% degli host propone in affitto almeno 10 alloggi su Airbnb a Milano o in un’altra località. Si arriva a casi di host che gestiscono, complessivamente, fino a 144 alloggi sull’intera città di Milano.

La concorrenza viene considerata sleale perché per gli albergatori e per chi gestisce le strutture extra-alberghiere finali la lista degli obblighi da adempiere è lunga, e va dall’obbligo di registrazione e comunicazione delle presenze all’autorità di pubblica sicurezza al rispetto della normativa sulla sicurezza e sulla somministrazione di cibi e bevande. Ma la questione principale riguarda le tasse: secondo i gestori di hotel e bed & breakfast gli host «amatoriali» di Airbnb non hanno gli stessi obblighi fiscali e legali imposti alle imprese alberghiere e, salvo accordi in alcune città, non pagano la tassa di soggiorno. 

Come per Uber a Blablacar è arrivato il momento di una regolazione che prenda atto che la realtà è lontana anni luce da quella esistente al tempo delle norme 

Airbnb, raccontava Mauro Ravarino su Linkiesta, addebita agli host un costo del servizio per ogni prenotazione completata tramite il loro sito, che la ricerca della Bocconi quantifica tra il 6 e il 12 per cento. Tocca, poi, alle parti (host e ospiti) sbrigare i dettagli dell’accordo. L’host ha la possibilità di fare firmare un contratto, ma solo se precisato prima della prenotazione. Sarà suo dovere inserire i ricavi nella dichiarazione dei redditi. Non sempre capita. La questione è complessa, anche nel discrimine tra attività imprenditoriale e occasionale. Mancano, poi, norme fiscali chiare che vengano incontro agli operatori economici onesti e al fisco stesso. Come negli altri casi della sharing economy, da Uber a Blablacar, è arrivato il momento di una regolazione che non sia punitiva ma che prenda atto che la realtà è lontana anni luce da quella esistente al tempo delle norme.