Invalsi, gli insegnanti sono allergici alle valutazioni

Il boicottaggio

«Per te studiare è come…». «Farsi una doccia fredda in Norvegia» è una delle risposte alle prove Invalsi somministrate il 12 maggio agli studenti di seconda superiore. La rilevazione dell’apprendimento quest’anno si è inserita nel clima infuocato dello scontro tra governo e sindacati sul ddl della Buona scuola dopo lo sciopero generale del 5 maggio. E il boicottaggio dei test, che prima sfiorava al massimo il 2%, quest’anno ha toccato quota 20% nelle classi campione e 23% in tutte le altre. Coinvolgendo gli studenti, ma anche gli insegnanti, che in alcuni casi si sono rifiutati di correggere le prove o addirittura hanno spinto i ragazzi a boicottare il test. Ma perché questo polverone per un test?

Cosa sono i test Invalsi e come funzionano

«Prima dell’arrivo dei test Invalsi elaborati dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione, l’Italia non aveva un sistema di valutazione oggettivo delle competenze degli studenti», spiega Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net, il primo sito a pubblicare le foto degli sberleffi degli studenti sulle prove Invalsi.

Dal 2007 in poi i test sono stati inseriti prima in via sperimentale, poi obbligatoria. Il 7 maggio di quest’anno si è svolta la prova per le classi seconde e quinte delle scuole elementari con una partecipazione alta, tra l’89 e il 90 per cento, ma di 9 punti più bassa rispetto agli scorsi anni. La seconda tornata è stata quella delle scuole superiori del 12 maggio. La terza sarà quella delle scuole medie, che si svolgerà il 19 giugno in concomitanza con gli esami e avrà un peso nella valutazione finale degli studenti. La previsione è che, proprio per questo motivo, l’astensionismo sarà molto più basso.

I test per le scuole superiori sono composti da due prove: una prova di italiano di comprensione linguistica, e una prova di matematica per la comprensione logico-matematica. In più c’è un questionario che contiene domande per la profilazione socio-economico-culturale dello studente, in modo da fare un matching con i risultati delle altre due prove. Tutto avviene in forma anonima, i test sono identificati tramite un codice a barre.

“L’origine del boicottaggio da parte degli studenti è che non c’è una valutazione automatica del test. Solo il 30-40% dei docenti usa le prove Invalsi anche come valutazione dello studente”

L’origine del boicottaggio e i motivi delle proteste

«L’origine del boicottaggio da parte degli studenti», spiega Grassucci, «è che non c’è una valutazione automatica del test. Solo il 30-40% dei docenti usa le prove Invalsi anche come valutazione dello studente. Ma è una scelta a discrezionale». E se i test non prevedono un voto, prendere in giro Renzi, Salvini o Lorenzo Fragola su un foglio ufficiale risulta molto più semplice. Tanto più se i tuoi insegnanti sono tutto sommato d’accordo.

Da parte degli studenti, la principale motivazione di protesta contro i test Invalsi è la «paura di essere schedati», dice Grassucci. Lo slogan del 12 maggio, non a caso, è stato: “Valutati, non schedati”. «È vero che i test sono anonimi», spiega il direttore di Skuola.net, «ma alcuni prof mettono il voto ai test Invalsi e quindi il codice a barre deve corrispondere a un nome». Se ne fa un problema di privacy, insomma. «Ma c’è anche un problema di cosa viene valutato. I test Invalsi valutano le competenze, non le conoscenze, con una modalità diversa da quella che i ragazzi sono abituati a vedere nelle prove di verifica a scuola». Si valuta cioè come le nozioni imparate vengono applicate nella vita reale. Per questo i test possono essere somministrati in qualsiasi momento dell’anno. «Soprattutto in passato, non essendoci precedenti, non era possibile prepararsi. Adesso che si sa come sono fatti, in alcuni casi c’è una preparazione specifica per i test Invalsi, soprattutto in terza media, dove il test vale per il voto finale dell’esame».

Un esempio di prova? Tre anni fa in una prova diedero il facsimile di un biglietto ferroviario e di un bugiardino di un farmaco. La richiesta era di leggere dati e di interpretarli. «Viene chiesto di prendere le nozioni imparate e applicarle su un problema pratico». La scuola italiana è lontana da tutto questo. «I test Invalsi riprendono i protocolli internazionali di valutazione, che la nostra scuola, basata molto sull’esposizione orale, non segue».

Il metodo di valutazione

Le domande a crocette dei test non lasciano via di fuga. Sono standardizzati, uguali per tutti. «È imprescindibile pensare che in una valutazione oggettiva non ci sia un dato numerico», dice Grassucci. «Non si possono mandare gli ispettori ministeriali nelle scuole per una valutazione, che poi sarebbe soggettiva. Abbiamo bisogno di oggettività. E l’oggettività ha i suoi limiti». Per compilare il test non serve l’esposizione brillante di una interrogazione. E in alcuni casi, è vero, sono fatti anche male. «Di certo sono perfettibili», dice Grassucci, «ma non si può pensare di non avere un metodo di valutazione oggettivo».

E invece i primi a contestare il metodo sono proprio gli insegnanti, e con loro i sindacati della scuola. Perché se valuti gli studenti, di base valuti anche gli insegnanti. E questo a loro non piace. «La domanda da farsi è se gli insegnanti contestino il metodo di valutazione o il merito», dice Grassucci. E mentre sul fronte Buona Scuola criticano la troppa soggettività del giudizio del super preside, sul fronte Invalsi a esser presa di mira è l’eccessiva oggettività. Tant’è che attraverso i risultati dei test, gli esaminatori Invalsi rilevano non poche classi in cui gli insegnanti hanno dato un aiutino agli studenti o hanno permesso loro di copiare. 

“La domanda da farsi è se gli insegnanti contestino il metodo di valutazione o il merito. Sono valutatori che si oppongono alla valutazione”

«Basti pensare alla consultazione sulla Buona scuola», commenta Daniele Grassucci. «All’85% è stata fatta da over 25, che quindi erano insegnanti o genitori. Se si guardano i dati, i ragazzi erano favorevoli a far sì che gli insegnanti avessero un sistema di scatti stipendiali in base al merito, gli insegnanti no. Sono valutatori che si oppongono alla valutazione, e tutto questo ha una matrice sindacale».

Come vengono usati i dati

Il problema resta su come vengono usati i risultati dei test. Una volta corretti dai docenti sulla base di una griglia standard di valutazione, i risultati vengono inviati all’Invalsi. Da una parte ci sono le classi campione che svolgono le prove alla presenza di un esaminatore Invalsi, e in questo caso i risultati vengono usati per il report annuale sulla valutazione degli studenti italiani. I dati sulle classi non campione vengono usati invece per monitorare l’andamento delle singole classi e scuole. L’Invalsi consegna la rilevazione al ministero dell’Istruzione e alle scuole. Rilevazioni che le scuole, non a caso, non rendono pubbliche. Esser valutati non piace per niente. 

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