Lo svedese Björn Larsson è uno dei più grandi scrittori contemporanei, ma non solo. Larsson è anche un marinaio, e molto esperto, uno di quelli che sulla nave ci passa dei periodi lunghi, anche a scrivere i suoi libri. Non è un caso che, proprio sul mare, Larsson abbia ambientato alcuni dei suoi migliori romanzi, da quel capolavoro de La vera storia del pirata Long John Silver, un vero classico contemporaneo della letteratura d’avventura e di mare, a Il porto dei sogni incrociati o Il cerchio celtico.
Anche il suo ultimo libro è dedicato al mare, anche se non è un romanzo. Si intitola Raccontare il mare, è edito da Iperborea, e raccoglie una serie di prefazioni e scritti d’occasione che al centro hanno proprio il mare. Larsson è anche uno degli ospiti di Iperborea per il ciclo de I Boreali, festival che aprirà stasera insieme all’islandese Jón Kalman Stefánsson, e parteciperà anche alla Grande Invasione, festival della lettura di Ivrea che si svolgerà tra il 30 maggio e il 2 giugno prossimi. Noi l’abbiamo intervistato al Salone del Libro di Torino.
«C’è una spinta fondamentale nella letteratura di immaginazione, la spinta verso la libertà»
Partiamo da una frase che hai scritto in uno dei testi che compongono il tuo ultimo libro: «La letteratura non deve collaborare a costruire nazioni, deve incitare a disfarle». Cosa significa?
La letteratura è sempre stata usata dal potere, dalle nazioni, dai gruppi sociali dominanti con l’obiettivo di giustificare il proprio esistere, costruire la propria identità, guadagnare la gloria agli occhi di chi il potere non ce l’ha. Si dice spesso, e non è un caso, che non esiste una nazione senza una letteratura nazionale. Io però sono convinto che ci sia una spinta fondamentale nella letteratura di immaginazione, la spinta verso la libertà. È interessante guardare indietro, alla storia della letteratura, perché vediamo come il Potere, gli stati, i governi e anche i dittatori ne hanno sempre avuto paura. Hanno sempre temuto l’arte, l’immaginazione, ma nello stesso tempo, l’hanno sempre voluta avere sotto controllo. E questo per vantarsi, per giustificare la propria esistenza.
Perché la temono?
Se ne hanno paura è perché la letteratura e l’immaginazione fanno resistenza a questo tentativo di essere messe in catene. La letteratura di immaginazione ha sempre al suo interno una spinta in qualche modo anarchica, una costante messa in discussione dello statu quo, delle tradizioni, delle frontiere, deve sempre un po’ litigare con la realtà, deve andarle un passo avanti, altrimenti non è immaginazione, è obliterazione della realtà e del Potere. E invece la letteratura deve sempre interrogare il Potere, tutti i poteri, non soltanto quello politico.
«La letteratura e l’immaginazione fanno resistenza a questo tentativo di essere messe in catene»
Che poteri ci sono in gioco, oltre a quello politico?
In Italia mi sembra ci sia un’insistenza esagerata sulla politica. Non per caso quando uno apre un giornale ci sono tre o quattro pagine di politica, senza peraltro che si parli mai veramente di politica, ma soltanto parlando di persone, traffici, retroscena. Però il potere non è solo lì, anzi direi che il potere non è lì.
E dov’è?
È soprattutto nelle imprese, nelle industrie, nelle banche, il potere è dove ci sono i soldi. E la letteratura deve interrogare e mettere in discussione tutto ciò. È sbagliato per me definirlo un ruolo politico, una questione di rosso o nero, di schieramenti. E infatti quella frase che mi hai citato all’inizio finiva proprio così: «La letteratura non deve collaborare a costruire nazioni, deve incitare a disfarle, il che non vuol dire navigare sotto bandiera di comodo, tanto meno bandiera bianca, ma navigare senza nessuna bandiera».
«La letteratura deve forzare gli schemi, rompere le frontiere, cercare di vedere come potrebbe andare il mondo cambiando alcuni dettagli, proporre all’immaginazione delle alternative»
Questa indipendenza totale è un dovere solo della letteratura?
No, è un dovere dell’arte in generale, un dovere costante e assolutamente libero dagli schemi di quella che noi intendiamo quando parliamo di “politica”, quella dei partiti intendo. La letteratura deve forzare gli schemi, rompere le frontiere, cercare di vedere come potrebbe andare il mondo cambiando alcuni dettagli, proporre all’immaginazione delle alternative. Non dimentichiamoci che tutte le grandi evoluzioni del pensiero e quindi della società nascono proprio nell’immaginario, prima del singolo e poi della società, l’immaginario collettivo. È quello il territorio dove si muove la letteratura e dove essa ha un grande e fondamentale ruolo “politico”.
«Dobbiamo ricordarci chi siamo, ma soprattutto che una volta eravamo noi quelli che scappavamo»
Come ti poni di fronte alla tragedia dei migranti che naufragano nel Mediterraneo?
Bisogna dire una cosa che è fondamentale: tutto quello che sta succedendo in questi mesi non è assolutamente un fenomeno nuovo e, tra l’altro, non sta avvenendo solo qui vicino a noi, perché non è soltanto il Mediterraneo ad essere un cimitero. Le questioni in generale dell’immigrazione non sono fenomeni per niente nuovi, è la storia dell’Uomo che ce lo insegna. Ho letto da qualche parte che tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento circa sedici milioni di italiani sono fuggiti dall’Italia. Non per le guerre, ma per cercare lavoro, e chissà quanti ne saranno morti di malattie, di povertà, e non parlo certo solo degli italiani. Sono tantissimi gli europei che nei secoli scorsi hanno cercato fortuna altrove. Ora mi sembra veramente grottesco che proprio noi europei ci chiudiamo di fronte a tutto ciò, che facciamo dell’Europa una frontiera. Dobbiamo ricordarci chi siamo, ma soprattutto che una volta eravamo noi quelli che scappavamo.
«Quando sei in mare hai il dovere — il Dovere — di salvare chi è in difficoltà. Non è un’opzione, è un dovere morale»
Oltre ad essere uno scrittore sei anche un marinaio. Come ti poni di fronte a quel che sta succedendo in questi mesi, tra i barconi che affondano e i discorsi sul respingimento?
Come uomo di mare ti dico una cosa che è veramente molto semplice: quando sei in mare hai il dovere — il Dovere — di salvare chi è in difficoltà. Non è un’opzione, è un dovere morale. Questa idea che qualche politico ha proposto in Italia, in Francia e anche altrove di respingere in mare questa gente, lasciandoli quindi in balia del destino, che in mare significa morte certa, be’ questo è assolutamente immorale, è inammissibile. E i politici che dicono questo, tra l’altro, non sarebbero nemmeno loro fare il lavoro sporco. Perché non è la Lega che respinge fisicamente questa gente, che si trova di fronte una donna incinta con due bimbi su una barca, gente che magari non aveva mai visto il mare, che non sa nuotare e che sta scappando. No, sono altri che lo devono fare, sono marinai. E non si può chiedere una cosa del genere a un uomo di mare. Non si può.
Cosa pensi che si possa fare?
Bisogna accoglierli, salvarli, portarli a terra. Poi se vogliamo possiamo discutere di come gestire questa gente a terra, pensando a come si può smistarli tra gli Stati, magari anche rimandando indietro via aereo chi a casa propria non rischia la vita. Su queste cose si può discutere politicamente, ma con il mare non si tratta: non si lascia nessuno a morire tra le onde.
«Che in un mondo ormai globalizzato in cui le merci e i soldi possono andare dove vogliono, le persone non possano muoversi liberamente è un paradosso»
Pensi che le frontiere per gli esseri umani esisteranno ancora a lungo?
No, perché il fatto che in un mondo ormai globalizzato, in cui le merci e i soldi possono andare dove vogliono, le persone non possano muoversi liberamente è un paradosso. E forse qualcuno potrà pensare che sia una cosa naturale, che sia sempre stato così, e invece si sbaglia, le frontiere per gli uomini sono un fenomeno molto recente nella storia d’Europa. Le frontiere sono nate per le merci, per i soldi, per difendere dei mercati, non per non fare muovere le persone da una parte all’altra del mondo, anche perché il movimento è sempre stata una delle caratteristiche fondamentale dell’Umanità, che se sta ferma muore.
Da dove viene questo attaccamento così forte al concetto di frontiera?
Non saprei bene, non ci ho mai riflettuto troppo, però è una cosa che in Europa esiste da meno di cento anni. In ogni caso credo che sarà una cosa che non durerà a lungo, la Storia va da un’altra parte. Ti faccio un esempio che è un po’ tragicomico, secondo me: una delle prime cose che dice la costituzione francese è che la Francia è una e indivisibile e la sua lingua è il francese. Molto bene. Ora, c’è stato un politico — non ricordo chi fosse, ma poco importa — che, estrapolando questa frase, è riuscito a dire che la Francia esisterà per sempre, il che è una cosa ridicola. Per sempre non esiste niente, tutto passa, anche la Francia, che non c’è sempre stata, anche l’Italia, anche l’Europa, le frontiere e tutto il resto. E non è una cosa difficile da accettare, semplicemente perché è così, non dobbiamo accettare nulla, è il mondo che funziona in questo modo.
«La cosa bella delle letteratura è che queste cose le può anticipare, le può inventare e metterle alla prova dell’immaginario umano»
E la letteratura cosa può fare in questo caso?
La cosa bella delle letteratura è che queste cose le può anticipare, le può inventare e metterle alla prova dell’immaginario umano. Il compito della letteratura è proprio questo, sperimentare, portare il mondo avanti di un passo. Se noi come scrittori ci limitiamo a prendere la realtà e rimetterla in parole così come ce l’abbiamo davanti, è un peccato, non aggiungiamo nulla.