In Italia, per tradizione, la madre è importante. Ma a patto che non lavori. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Mobbing riportati in una inchiesta dell’Espresso, negli ultimi cinque anni i casi di mobbing contro le madri sul posto di lavoro sarebbero aumentati del 30%. Quattro madri su dieci, inoltre, sarebbero vittime del “mobbing post-partum”, che le costringe a licenziarsi dopo aver avuto il figlio. Tornare al lavoro spesso si traduce in demansionamento, riduzione di stipendio, isolamento e difficoltà maggiori.
Le donne con figli hanno un tasso di occupazione inferiore di 14 punti rispetto a chi non ne ha. Non si tratta, nella maggior parte dei casi, di scelte personali. Vengono viste come un problema o, al massimo, come una scelta non conveniente dal datore di lavoro. E questa convinzione è tanto pervasiva da essere interiorizzata, spesso, anche dalle donne stesse. Peccato, però, che sia sbagliata.
Secondo Riccarda Zazza, fondatrice di PianoC, uno spazio di coworking e cobaby, ex manager per aziende italiane e straniere, la verità sarebbe proprio il contrario. «Essere madre non è una esperienza che penalizza la donna. La rende, invece, molto più preparata e pronta ad affrontare i problemi sul posto di lavoro». Per dimostrarlo ha creato, insieme ad Andrea Vitullo, il progetto Maam, acronimo di “Maternity as a Master”, in cui la maternità viene equiparata, per utilizzare concetti e linguaggi comprensibili anche in azienda, a un master. L’idea, a prima vista bizzarra, si basa su ricerche scientifiche «neurologiche e di scienza comportamentale», che spiegano come il cervello reagisca, si modifichi e migliori le proprie prestazioni in situazioni «di cura», come di fatto è la maternità. Tutte abilità che possono essere spese bene sul posto di lavoro.
Come è nata l’idea di vedere la maternità come un master?
Da una serie di esperienze personali. In tutte le parti del mondo in cui ho lavorato ho potuto constatare come, a livelli diversi (ad esempio, molto poco in Finlandia, molto di più in Italia), la maternità sia un momento di vulnerabilità della donna. L’assenza dal posto di lavoro spesso si traduce in un “contare di meno”, nel migliore dei casi. Oppure si assiste a un ridimensionamento che, da parte del datore di lavoro, si traduce in un “favore”, una cosa “che si fa per il tuo bene”. Ecco, serve un cambio di paradigma alla base di tutto. La maternità non è una cosa che va protetta: è una cosa che va premiata. Perché è un periodo di crescita umana e soprattutto, professionale. Proprio come lo è, o come viene considerato, un master.
Si può essere dipendente, moglie, madre, figlia, e tante altre cose. E tutte queste andranno in armonia con le altre, non in conflitto
In che senso si ha una crescita professionale? Come è possibile?
Lo dimostra una serie di studi scientifici che, insieme a Vitullo, o consultato per diversi mesi. Nei periodi “di cura”, quando cioè ci si occupa di assistenza e cura di un altro essere umano, si registra, a livello neurologico, uno sviluppo. È uno dei pochi momenti della vita in cui il cervello si modifica. Si ha un aumento della capacità di concentrazione e di focalizzare l’attenzione sui dettagli Oltre che, ed è l’essenziale, la capacità di capire ed entrare in contatto con una persona, stabilendo un nuovo tipo di rapporto. E poi c’è anche una questione di psicologia comportamentale.
Cioè?
La teoria dei ruoli è cambiata. Fino a poco tempo fa prevaleva l’idea del “conflitto tra ruoli”, cioè che i diversi ruoli che una persona viveva negli ambiti della sua esistenza (il lavoro, la famiglia, gli amici, la comunità di riferimento) fossero confliggenti. Era meglio averne il meno possibile, per poter dare più spazio e attenzione a ciascuno. Ora la visione si è ribaltata: più ruoli si hanno e meglio è. Si può essere dipendente, moglie, madre, figlia, e tante altre cose. E tutte queste andranno in armonia con le altre, non in conflitto. Oltre a svolgere una funzione di stabilità – se qualcosa non va sul lavoro viene compensata in famiglia, ad esempio – permette di accrescere le proprie competenze relazionali. Va da sé che, sul lavoro, sapere intrattenere rapporti in modo intelligente con i propri colleghi, collaboratori, capi e dipendenti è una marcia in più. Ecco, la maternità – cioè curarsi di un figlio, di una persona, di tutta una rete che si crea (parenti, altre madri, insegnanti, baby sitter, ad esempio) significa sviluppare queste qualità. Oltre che immaginare una nuova forma di leadership.
Puntiamo a insegnare una “leadership generativa”, cioè in grado di creare leader più forti di te, senza averne paura
Che tipo di leadership?
Anche qui, le ricerche scientifiche ci aiutano. È stato dimostrato da alcuni studi compiuti in ambienti americani, dove le donne hanno posizioni di potere da più tempo e non sentono la necessità di imitare la leadership femminile, che si fa strada una nuova forma di comando. In generale, a noi interessa mettere in luce gli aspetti concettuali: nuove metafore, nuove idee, nuove parole per definirla. E poi il fatto che sia una “leadership generativa”, cioè in grado di creare leader più forti di te, senza averne paura. Che è poi quello che fa la madre.
Si potrebbe pensare che sbaglino le donne che non vogliono diventare madri.
Non vogliamo affatto dire questo. Le donne devono poter scegliere, sapendo che diventare madri non sarà una scelta che le penalizzerà e che, anzi, le arricchisce. Intorno, però, deve cambiare tutta la percezione della maternità. Sia a livello aziendale sia a livello personale: anche le donne devono capirlo, altrimenti non mettono a fuoco tutte le possibilità che diventare madri offre loro. Per questo noi di Maam proponiamo dei corsi, sia prima della maternità che dopo. Durante non si può.
Che reazioni avete ricevuto dalle aziende e dalle istituzioni?
Le aziende, soprattutto quelle grandi, sono interessate a capire e saperne di più. Ci hanno chiesto di organizzare workshop sul tema. Anche le istituzioni hanno mostrato di essere attratte dal progetto. Tanto che nel novembre 2014 se ne è parlato anche in un convegno alla Presidenza del Consiglio. Insomma, c’è molta attenzione.