«Anche i detenuti ergastolani ostativi che non collaborano con la giustizia hanno diritto ai benefici e alle misure alternative alla detenzione». È destinata a far discutere la proposta di legge firmata dalla deputata del Pd e membro della Commissione antimafia Enza Bruno Bossio, che in poco più di dieci giorni ha ricevuto l’adesione di 23 parlamentari tra Partito democratico, Partito socialista e Sinistra ecologia e libertà.
L’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, introdotto all’inizio degli anni Novanta dopo le stragi di mafia, stabilisce che i condannati per alcuni reati gravi definiti “ostativi” non possano accedere alle misure di rieducazione e reinserimento nella società in caso di mancata collaborazione con la giustizia. «Divieto che, nel caso dei condannati all’ergastolo, si traduce in una “pena di morte occulta”, come l’ha definita di recente Papa Francesco», dice Emilio Quintieri, esponente dei Radicali e collaboratore di Enza Bruno Bossio.
A fine 2014 i condannati all’ergastolo in Italia erano 1.584, di cui 86 stranieri, molti dei quali reclusi da oltre 26 anni, altri da più di 30. Tra di loro, i cosiddetti “ostativi”, molti dei quali coinvolti in reati legati all’associazione mafiosa, sono circa un migliaio. «Secondo l’ordinamento penitenziario se l’ergastolano ostativo non collabora, non avrà più accesso ai permessi premio né tantomeno alla detenzione domiciliare, affidamento in prova o libertà condizionale di cui godono invece gli altri ergastolani dopo 26 anni», spiega Quintieri. Se sei condannato per un reato grave che “osta” all’accesso di alcuni benefici, puoi accedere ai benefici, ai percorsi di rieducazione e alle misure alternative al carcere solo se collabori e fai i nomi dei tuoi complici.
Nel 2008 ben 700 ergastolani ostativi chiesero al presidente della Repubblica la sostituzione della loro pena con la pena di morte. Carmelo Musumeci, ergastolano del carcere di Spoleto, la chiama “pena di morte viva”. Oltre ai boss di mafia come Totò Riina e Bernardo Provenzano, tra gli ergastolani c’è chi è in carcere dal 1979, finito dietro le sbarre all’età di 18 anni. «Va detto», ricorda Quintieri, «che molti degli ergastolani ostativi non sono dentro per omicidio. A Catanzaro, ad esempio, Giovanni Farina è recluso da 35 anni per due sequestri di persona, ma non ha mai ucciso nessuno. In molti casi tra l’altro l’associazione mafiosa è presunta, non certa. Molti ergastolani per crimini efferati riescono invece ad accedere ai benefici perché non hanno il 4 bis, anche se sono molto peggio».
La domanda che viene da porsi: perché non collaborare con la giustizia? «Molti rifiutano di collaborare», risponde Quintieri, «perché, come mi ha detto un detenuto, “sarei il mandante dell’omicidio dei miei figli e dei miei familiari”. Il problema è che il diritto al silenzio riconosciuto in fase di procedimento non viene però concesso dopo».
La proposta di legge prevede di modificare l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario allargando i benefici anche in caso di mancata collaborazione purché ci siano i requisiti per accedere ai benefici e “siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”, oltre che l’assenza della pericolosità sociale. «È assolutamente necessario che dopo un lungo periodo di detenzione debbano prevalere le esigenze umanitarie ponendo un limite temporale assoluto alla pena dell’ergastolo che, in caso di reato ostativo ai sensi dell’articolo 4-bis della legge n.354 del 1975, la rende ineluttabilmente perpetua», ha detto Enza Bruno Bossio in aula.
L’8 maggio la proposta di legge è stata assegnata in sede referente alla Commissione Giustizia, dove si sta discutendo il disegno di legge anticorruzione, che contiene anche misure sul sistema penitenziario in linea con quanto chiesto dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che più volte ha condannato l’Italia. Il testo è approdato anche in Commissione affari costituzionali e affari sociali per un parere.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, durante un convegno a Roma, si è dichiarato favorevole. Ma tutto andrà calibrato, soprattutto davanti a una opinione pubblica solitamente giustizialista. «Non può e non deve essere smantellato l’articolo 4 bis dell’ordinamento giudiziario», ha precisato Orlando. «La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella decisione del 25 novembre 2014 sul caso Vasilescu contro il Belgio, ha affermato che, quando manca una prospettiva di liberazione anticipata per l’ergastolano, il trattamento è inumano e viola l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Se è vero che attualmente l’ordinamento contempla dei correttivi che permettono anche ai condannati all’ergastolo, a determinate condizioni, di poter uscire dal carcere e rientrare nella collettività – quali la semilibertà o la liberazione condizionale – sono moltissimi i casi di detenuti in espiazione della pena dell’ergastolo per reati ostativi; è indispensabile sul punto una adeguata riflessione, che assicuri il raccordo di tutte le istanze complessivamente coinvolte».