Quanti conoscevano rue Nicolas Appert prima del 7 Gennaio 2015? Pochi, pochissimi. Solo gli addetti ai lavori ed i postini che consegnavano distrattamente i pacchi alla redazione. Neppure gli assassini visto che quella mattina pare si fossero sbagliati pure di civico. Quattro mesi dopo i sanguinosi attentati che hanno spazzato via un’intera redazione di giornalisti e caricaturisti, anche la strada dove sorgeva Charlie Hebdo è tornata nel dimenticatoio e si è trasformata in un grande e abbandonato memoriale alla (defunta) libertà d’espressione.
Rue Nicolas Appert è una metafora di ciò che è diventato oggi Charlie Hebdo: un giornale in declino in cui le lotte intestine hanno preso il sopravvento sulle minacce jihadiste
Avvicinandosi ai luoghi della sparatoria, e confrontando la visione con i ricordi di quel grigio 7 gennaio si ha la netta percezione di visitare una scenografia abbandonata, un vecchio teatro che ha offerto la sua ultima rappresentazione con le luci di scena improvvisamente spente e gli attori della compagnia che se ne sono andati via, inghiottiti dal buio dietro le quinte. Tra transenne che rendono ancora più angusta la strada ed improvvisate ‘cappelle laiche’ che celebrano, attraverso messaggi di cordoglio, di speranza e di rabbia, gli eroi della Francia laica e dello spirito irriverente di Voltaire, rue Nicolas Appert è una metafora di ciò che è diventato oggi Charlie Hebdo: un giornale in pieno declino in cui le lotte intestine hanno preso il sopravvento anche sulle minacce jihadiste. Vendite a picco e, come ultimo colpo di scena, l’annunciato addio di Luz, superstite della redazione storica del giornale. Ma cosa è successo in questi quattro mesi?
Pioggia di soldi e pratiche opache: il burrascoso periodo post-attentati
Passa appena una settimana dalla terribile sparatoria che spazza via quasi l’integralità della redazione di Charlie Hebdo. Ciò che resta della redazione lavora alacremente nonostante le enormi pressioni. Anticipato da un clamore mediatico senza precedenti finalmente esce il numero speciale del giornale, il numero 1178, quello dei “sopravvissuti di Charlie” ed è subito cifra record di vendite: otto milioni di esemplari venduti.
Parallelamente iniziano a fioccare donazioni dal resto del globo. Mecenati, istituzioni, privati. Si parla di 4,3 milioni di euro in totale ricevuti da circa trentaseimila donatori di ottantaquattro paesi diversi. Una somma cospicua che il settimanale devolve però in favore delle vittime degli attentati con la mediazione di una commissione designata addirittura dal ministero di grazia e giustizia francese. Le vendite record continuano con i numeri successivi: si mantiene la media di circa 200.000 copie vendute rispetto alle 30.000 di prima dell’attentato ed anche gli abbonamenti schizzano alle stelle (dai 7.000 passano ai 270.000). I ricavi delle vendite parallelamente aumentano in maniera esponenziale.
La pioggia di soldi del post attentato ha provocato contrasti, dissidi interni e addirittura la denuncia, neanche troppo velata, di “pratiche poco trasparenti” da parte della direzione
In Francia alcuni media parlano di guadagni dell’ordine di 30 milioni di euro. Una montagna di soldi per quello che era un giornale che navigava in acque difficili e rischiava la chiusura nel Novembre del 2014. E qui, paradossalmente, iniziano i problemi per il giornale. Perché la pioggia di soldi provoca contrasti, dissidi interni e addirittura la denuncia, neanche troppo velata, di “pratiche poco trasparenti” da parte della direzione.
Il giornale, all’indomani dell’attentato, è infatti detenuto da tre azionisti di maggioranza: gli eredi dell’oramai defunto direttore Charb, Riss ed Eric Porthealut. Ma la montagna di soldi ricevuti avvelena la vita del giornale provocando gelosie e rancori. Il 20 Marzo quindici dipendenti del giornale, tra i quali lo stesso Luz, chiedono alla direzione una rifondazione dell’assetto societario del giornale attraverso la ripartizione “egualitaria” delle azioni tra tutti i dipendenti del giornale. Troppi soldi in mano a pochissimi mentre i giornalisti sono mal pagati. Su Le Monde il collettivo di giornalisti denuncia salari inadeguati e “pratiche opache” da parte della direzione. Nella redazione del giornale simbolo della libertà di espressione aleggiano paurosi fantasmi: le epurazioni e la censura.
Zineb El Rhazoui, minacciata di morte e poi di licenziamento
Zineb El Rhazoui, la giornalista franco-marocchina della redazione di Charlie Hebdo, era in vacanza in Marocco quando i fratelli Kouachi facevano irruzione nella sala centrale della redazione di Charlie al grido di “Allahu Akbar”. Altrimenti forse chissà, anche lei ci avrebbe lasciato la vita. Ma l’essere involontariamente sopravvissuta a quella sparatoria per puro caso e l’essere una giornalista araba non l’aiuta di certo.
Su twitter la giornalista viene minacciata di morte, in rete circola addirittura una mappa, con relativa geo-localizzazione, dei luoghi frequentati abitualmente dalla giornalista “apostata” ed “empia” e consigli su come assassinarla. Il lavoro si fa difficile per Zineb, la pressione aumenta e le minacce anche. Le viene assegnata una scorta, i suoi movimenti sono sempre più difficili. Eppure Zineb non si deve guardare solo dalle minacce jihadiste ma anche dai colpi bassi della direzione.
Dov’è lo spirito di Charlie Hebdo e la libertà d’espressione se si vuole licenziare e dunque censurare una giornalista minacciata della redazione?
Dopo la pubblicazione di un editoriale su Le Monde, la giornalista viene convocata d’urgenza dal giornale. Nella lettera di convocazione la sorpresa per la giornalista è totale: si parla di licenziamento per ‘condotta grave’. La notizia fa il giro della rete e solleva un vespaio di polemiche. Dov’è lo spirito di Charlie Hebdo e la libertà d’espressione se si vuole licenziare e dunque censurare una giornalista minacciata della redazione?
La direzione si difende dicendo di volere semplicemente richiamarla all’ordine dato che non adempie ai suoi obblighi contrattuali in maniera soddisfacente ed evoca le sue difficoltà ad essere presente alle conferenze di redazione e a rispettare le scadenze degli articoli. Dimentica forse che su di lei pende la spada di Damocle di una minaccia di morte, il fatto che abbia un scorta imponente (ben sei poliziotti), che i suoi movimenti siano studiati nel dettaglio e che sia obbligata a dormire in un posto diverso ogni sera.
Dettagli non da poco. La reazione della giornalista dà la misura di ciò che sia diventato oggi Charlie Hebdo. Dalle colonne di Le Monde la giornalista accusa: «Sono scioccata e scandalizzata che una direzione che ha ricevuto tanto aiuto dopo gli attentati mostri così scarso sostegno ad un suo dipendente che vive sotto pressione e minacce. Charlie vuole licenziare la giornalista più minacciata di Francia continuando a paventarsi del titolo di paladino della libertà d’espressione? Con tutti i soldi ricevuti l’urgenza è davvero quella di risparmiare sul mio stipendio?»
Anche Luz, figure emblematica del giornale, lascia
Era entrato nel giornale nel lontano 1992. Era sopravvissuto per caso perché giunto in ritardo in redazione. Aveva iniziato anche lui a sfogarsi sulla condotta della direzione dalle colonne di Le Monde. La notizia che Luz lascia il giornale lascia gli estimatori storici di questo giornale interdetti. Charlie Hebdo o almeno il suo spirito, pare definitivamente morto.
Con l’annunciato addio di Luz, Charlie Hebdo o almeno il suo spirito, pare definitivamente morto
In un’intervista al quotidiano Libération, che ospita ciò che resta della redazione di Charlie Hebdo, lo storico vignettista, che in questi giorni presenta anche un nuovo libro di fumetti sull’attentato dal titolo Catarsi, spiega le sue ragioni: «Se me ne vado è perché è oramai difficile per me lavorare sull’attualità. Dopo gli attentati abbiamo dovuto ricominciare molto velocemente. Fare il numero verde (il numero speciale ndr) è stato positivo. Dopo c’è stata una volontà collettiva di continuare rapidamente. Ma io avevo bisogno di tempo, ho proseguito per solidarietà per non abbandonare nessuno. Ma tutto cio’ ora è diventato troppo pesante da portare. Non c’è più molta gente a disegnare. Mi sono ritrovato a fare quattro prime pagine su tre. Ogni volta per chiudere il giornale è una tortura perché gli altri non ci sono più. Passare delle notti insonni a convocare i dispersi, a chiedersi cosa avrebbero fatto Charb, Cabu, Honoré e Tignous è diventato insostenibile».
Luz lascia dunque e con il picco delle vendite (scese del 90%) sembra che il destino di Charlie Hebdo sia oramai compiuto. Li dove non hanno potuto gli assassini ha potuto invece l’ingordigia umana, la prevaricazione, la mancanza di trasparenza. Altro che libertà di espressione. Oggi nessuno più è Charlie.