È un grande progetto, se ne parla da anni, è stato al centro di polemiche infuocate e ha diviso più o meno a metà le forze politiche: sinistra e M5S contrari, destra favorevole. È costosissimo – non si sa di preciso quanto – e molti si sono chiesti se fosse davvero necessario. No, non stiamo parlando di Expo.
Lo scorso 12 marzo è uscito dall’impianto Faco il primo F-35A assemblato in Italia
Con poca pubblicità, in una cerimonia riservata a un pubblico ristretto, lo scorso 12 marzo è uscito dall’impianto Faco (Final Assembly and Check Out) di Cameri, nei pressi di Novara, l’aereo denominato AL-1, ovvero il primo F-35A assemblato in Italia. Nell’impianto di Cameri si sta lavorando all’assemblaggio di altri sette. AL-1, che sarà destinato all’aeronautica italiana, deve passare per altre verifiche prima del volo inaugurale, previsto entro la fine del 2015. L’anno successivo dovrebbe cominciare l’addestramento dei primi piloti italiani in una base dell’Arizona.
Qualche giorno dopo che a Cameri «si è fatta la storia», nelle parole della Lockheed Martin, sono arrivate dagli Stati Uniti altre due notizie meno ottimiste per il grande progetto internazionale degli F-35. Difficilmente fermeranno il progetto, ormai in fase molto avanzata, ma sono ulteriori indizi dei continui ritardi e aumenti di costo che lo hanno caratterizzato negli ultimi anni.
«Cambiamenti inattesi»
Lunedì 27 aprile l’ufficio dell’ispettore generale del Pentagono ha pubblicato i risultati di una revisione del programma motori del progetto. Ha identificato 61 “non conformità” tecniche con le specifiche richieste dalla Difesa statunitense e con i protocolli di gestione e di sicurezza, dopo una visita agli impianti della Pratt & Whitney, la società che produce gli F135, i motori per l’F-35 (P&W ha fornito i motori anche per molti altri aerei militari statunitensi, come F-15, F-16 e F-22). Le conclusioni del rapporto richiedono, tra le altre cose, maggior supervisione generale del programma e più attenzione ai criteri di selezione dei fornitori.
Molto più critico è stato un rapporto dell’ente indipendente di controllo e valutazione del Congresso americano, il Government Accountability Office (Gao), uscito pochi giorni prima. Il rapporto sottolinea i diversi problemi che hanno portato a ritardi sulla tabella di marcia: «Il programma F-35 Joint Strike Fighter ha dovuto subire cambiamenti inattesi nel corso dello scorso anno», principalmente a causa di un guasto strutturale durante un test di robustezza del modello F-35B (una delle tre varianti principali), un guasto ai motori e problemi al software.
«Allo stesso tempo – continua il rapporto – l’affidabilità del motore è scarsa e deve ancora fare parecchia strada per soddisfare gli obiettivi del programma. Con quasi due anni e il 40 per cento dei test di sviluppo ancora da fare, è probabile che ci siano ulteriori problemi tecnici. Risolvere i nuovi problemi e migliorare l’affidabilità dei motori potrebbe richiedere aggiornamenti [degli aerei già costruiti] e altri cambiamenti al progetto».
Nel 2014 Lockheed Martin ha consegnato 36 velivoli, come da programma: ma l’ufficio del Congresso nota che nessuno di questi sono stati consegnati con capacità operative sul campo. Il Gao sottolinea che restano «sfide sui costi e la sostenibilità» del programma F-35, per il quale il dipartimento della Difesa statunitense dovrà chiedere e ottenere una media di 12,4 miliardi di dollari l’anno per oltre vent’anni. Il Gao valuta «improbabile» che la Difesa riesca ad avere tutti quei soldi.
Con un costo totale stimato in quasi 400 miliardi di dollari, il programma dell’F-35 è il più costoso di sempre
Con un costo totale stimato in quasi 400 miliardi di dollari, il programma dell’F-35 è il più costoso di sempre nel suo genere. Entro il 2038 si prevede che venga consegnato alle forze armate statunitensi un totale di 2.457 aereoplani F-35, cacciabombardieri cosiddetti di “quinta generazione”. Verranno impiegati, a seconda delle varianti, dall’aeronautica militare, dalla marina e dal corpo dei marines.
La partecipazione italiana
Il programma per la costruzione degli F-35 Joint Strike Fighter è nato già ai primi anni Novanta, e di lì a qualche anno l’Italia ha mostrato il suo interesse a partecipare, mantenendo poi l’impegno con governi di ogni schieramento. Due accordi-chiave tra Italia e Stati Uniti sono stati negoziati e firmati tra il 2001 e il 2002.
Il programma è a guida statunitense, ma con una collaborazione rilevante di diversi altri Paesi: l’unico partner di primo livello è il Regno Unito, che contribuisce alle spese per circa il 10 per cento; l’Italia e l’Olanda sono partner di secondo livello, con una partecipazione intorno al 5 per cento. Partecipano anche Canada, Danimarca, Norvegia, Australia, Turchia, Singapore e Israele.
Non è chiaro quale sia il costo complessivo del programma per l’Italia, ma si tratta in ogni caso di una spesa da un lato molto ingente e spalmata su molti anni. Il bilancio di previsione della Difesa per il 2012, presentato all’inizio di quell’anno, stimava i costi complessivi in 12,2 miliardi di euro entro il 2047, più un costo per la «predisposizione» a livello nazionale che non era specificato.
Il costo per velivolo è passato da 70 milioni di dollari a quasi il doppio
Il costo per velivolo, come hanno notato infiniti organi di controllo statunitensi, è aumentato enormemente nel corso degli anni, passando da circa 70 milioni di dollari stimati nel 2001 a più o meno il doppio secondo le stime più recenti.
Per quanto riguarda le forze armate italiane, gli F-35 dovranno sostituire tre modelli in dotazione all’aviazione militare e alla Marina: i Tornado, gli AM-X e gli AV8B. Inizialmente si prevedeva un ordine di 131 aerei, che è stato ridotto a 90 nel febbraio del 2012 – durante il governo Monti – in seguito alle valutazioni sulle spese per il programma e alla polemica politica, che è proseguita comunque particolarmente intensa fino all’inizio del 2013.
C’è poi la questione del ritorno economico per le aziende italiane, che è ugualmente difficile da quantificare. L’Italia ospita oggi l’impianto di Cameri, costruito a partire dal 2011 su una superficie complessiva di 500 mila metri quadrati: si occuperà dell’assemblaggio degli aerei italiani e olandesi ed è al momento l’unico centro di questo tipo a livello europeo.
Sarà anche la base di manutenzione e riparazione degli F-35 americani e di altri paesi in Europa, con l’unica eccezione di quelli britannici. Impiega oltre 600 persone ed è gestito da Alenia Aermacchi in collaborazione con le autorità militari. Oltre ad Alenia, molte altre aziende italiane partecipano al programma F-35 in altre fasi della progettazione e dell’assemblaggio, da Finmeccanica a Selex Galileo e Selex Communications.