TaccolaA Milano la sharing economy mostra i muscoli: “Avanti nonostante i giudici”

A Milano la sharing economy mostra i muscoli: “Avanti nonostante i giudici”

Come se la sentenza non ci fosse stata: «Siamo sempre in cerca di personale. Mandate un curriculum». Maurizio Migliore è “operation manager” di Uber o, in altri termini, «sono quello che deve far funzionare Milano». Parla a un centinaio di ragazzi nel Talent Garden di viale Monza, a Milano, in un evento organizzato da un’altra start up a forte base tecnologica, Fluentify. Titolo dell’incontro: “Fare impresa in Italia e all’estero”, protagoniste tre aziende della sharing economy: Uber, Bla Bla Car e Zomato. I ragazzi, tra i 20 e 30 anni, sono attentissimi. Qualche giorno prima una sentenza del tribunale di Milano ha decretato che Uber Pop, la piattaforma che mette in contatto utenti e “driver” selezionati dalla società californiana, fa concorrenza sleale ai tassisti e deve cessare le attività in tutta Italia

Migliore, Uber: «Nei casi passati in cui abbiamo avuto degli stop temporanei, anche all’estero, non abbiamo mai lasciato a casa nessuno

Con la country manager Benedetta Arese Lucini che non ha commentato la sentenza e la replica della società affidata a Zac De Kievit, legal director di Uber Europa, Migliore diventa la voce della piattaforma. «Andremo avanti per 15 giorni, come prevede la sentenza. C’è il tempo per fare appello. Poi dipenderà da cosa decideranno i giudici. Se dovremo fermare il servizio Uber Pop, rispetteremo la decisione come abbiamo sempre fatto in passato». Tuttavia, secondo Migliore, ingegnere di circa 30 anni con studi a Torino e perfezionamento a Southampton e al Berkley Lab, il lavoro degli impiegati di Uber non subirà conseguenze. «Nei casi passati in cui abbiamo avuto degli stop temporanei, anche all’estero, non abbiamo mai lasciato a casa nessuno. Io avevo un contratto a tempo indeterminato (per la società di ingegneria Comau, con la quale ha curato progetti per Fiat e Ford, ndr) ma mi sento molto più tutelato qui». Gli autisti, invece? «Non sono nostri dipendenti». Inoltre il servizio Uber Black, quello che prevede il ricorso agli autisti di Noleggio con conducente (Ncc) non è stato interessato dalla sentenza. 

Per la società – che rifiuta l’etichetta di azienda di trasporti e accetta solo quella di piattaforma tecnologica – i driver sono semplici cittadini, che girano per le strade con le proprie auto e danno un passaggio a chi ne fa richiesta chiedendo un rimborso spese. Ma il fatto che i guidatori siano selezionati da Uber (ne viene accettato uno su dieci), che le tariffe siano imposte dalla società e che il servizio parta dalla richiesta degli utenti e non da un’offerta da parte dei guidatori, complica le cose. Secondo il giudice del tribunale di Milano, «la richiesta di trasporto trasmessa dall’utente mediante l’app appare di fatto del tutto assimilabile al servizio di radio taxi». 

Andrea Saviane: «Bla Bla Car è davvero condivisione, non solo del servizio ma anche delle spese. Per questo non rientra in alcuna area grigia e non ha mai avuto problemi»

A spiegare la differenza tra i servizi è Andrea Saviane, country manager, anch’egli poco più che trentenne, di Bla Bla Car, il servizio di passaggi tra privati per percorsi di medio-lungo raggio. «Bla Bla Car è davvero condivisione, non solo del servizio ma anche delle spese – dice davanti alla platea – . Nasce dall’offerta di chi ha un passaggio da offrire e per questo non entra in alcuna area grigia e non ha mai avuto problemi. Mettiamo in contatto persone lontane, come una volta sarebbe avvenuto tra amici e conoscenti». Secondo Saviane la sentenza del tribunale di Milano mette al sicuro la società anche per il futuro, perché dà una prima – vaga – definizione di cosa sia sharing economy e cosa sia concorrenza con un sistema regolato. Uber Pop, secondo il tribunale di Milano, «sembra oltrepassare l’ambito di operatività di un mero intermediario e involge aspetti direttamente propulsivi e organizzativi del servizio».    

Il vuoto della politica a un anno dall’annuncio di Renzi

Toccherà però alla politica dare un quadro normativo e non lasciare che siano solo i giudici a decidere se e come i cittadini possano usufruire di servizi che, all’epoca dell’ultima legge sui trasporti, del 1992, non erano neanche immaginabili. «A quell’epoca non erano neanche stati inventati gli Sms» ha reso l’idea Benedetta Arese Lucini in un incontro nella redazione de Linkiesta lo scorso aprile. «Siamo i primi a volere una legge», ha aggiunto Maurizio Migliore all’evento di Fluentify. 

Renzi nel maggio 2014 disse che la regolazione di Uber sarebbe stata affrontata “dalla settimana successiva” e che il servizio era “straordinario”

Un passaggio verso un quadro più preciso a livello nazionale potrebbe arrivare dal lavoro della nuova Autorità dei Trasporti, incaricata dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti di fare delle audizioni e preparare una raccomandazione che dovrebbe portare a una regolazione da parte del governo. Linkiesta ha chiesto all’Autorità dei trasporti informazioni sui tempi e sull’orientamento dell’istituzione con sede a Torino, che però si è trincerata in un no comment. Nel maggio 2014 l’allora neo-premier Matteo Renzi aveva raccontato di aver utilizzato Uber a New York con un amico. Aveva anche promesso che dalla settimana successiva il problema serebbe stato affrontato dal governo e aveva aggiunto di aver trovato Uber «un servizio straordinario»

A dare una prima risposta, davanti ai ragazzi riuniti al Talent Garden, è stata la deputata Pd Veronica Tentori, oggi trentenne, dopo essere stata eletta a 28 anni. «Nel mondo parlamentare c’è discussione – ha detto -. Abbiamo dei modelli di business basati su modelli di vendita tradizionali, che si scontrano con modelli di business che si basano sulla condivisione. Penso che la sfida sia integrare i vecchi e i nuovi modelli. A differenza di altri, penso che possano convivere, perché il mercato si amplia. Il tema è che le regole del gioco devono essere chiare». 

Veronica Tentori, deputata Pd: «Bisogna trovare un criterio per capire quando un’attività nell’ambito della sharing economy viene fatta a livello occasionale o professionale»

Quale sarebbe il punto di approdo? Per la deputata di Lecco «dobbiamo creare una cornice che detti delle regole generali più che occuparci dei singoli casi». «L’idea che lancio è che bisogna trovare un criterio per capire quando un’attività nell’ambito della sharing economy viene fatta a livello occasionale o professionale – spiega -. È diverso se una persona mette a disposizione una stanza occasionalmente oppure se ha un’attività di tipo imprenditoriale. Il secondo punto è la tutela del consumatore: oggi ci sono dei sistemi basati sul rating, bisognerà capire fino a che punto il sistema tutela il consumatore e chi eroga il servizio. Sono qui anche per raccogliere i punti di vista di chi questi servizi li usa e li conosce bene». 

I ragazzi sembrano preoccupati da una regolazione che soffochi l’innovazione. «Sei sicura che i tuoi colleghi parlamentari più anziani sappiano cosa siano Airbnb e Uber?» chiede uno di loro. «I deputati e senatori dell’Intergruppo per l’innovazione conoscono perfettamente la realtà», risponde Tentori, che però non sa dire se ci sarà un’accelerazione dell’attività legislativa dopo la sentenza del tribunale di Milano. «Vorrei dare una risposta, ma non ci siamo ancora riuniti per parlarne». 

Intanto la sharing economy mostra i muscoli, anche con gli altri due servizi, meno noti di Uber (che a livello internazionale ha tremila dipendenti in 350 città, esclusi gli autisti): Bla Bla Car e Zomato. «BlaBlaCar, che è nata a Parigi, oggi ha 300 dipendenti in  12 uffici, uno dei quali è a Milano, dove ci sono 9 dipendenti – ha spiegato Saviane -. A livello internazionale ci sono 100 posizioni aperte e il potenziale di crescita è fortissimo. In Italia avremo bisogno di un paio di persone, sia per eventi che come community manager, già dai prossimi mesi. Più avanti non sappiamo di quanti avremo bisogno: non possiamo fare piani oltre tre mesi. Ogni giorno sembra lungo un anno». Anche Fluentify, che si occupa di servizi di lingua, sta cercando personale, in particolare sviluppatori.

Zomato, che è una piattaforma di recensioni di locali (simile a Tripadvisor e Yelp) ha invece assunto personale negli scorsi mesi, a seguito dell’ingresso in Italia avvenuto con l’acquisizione della start up italiana Cibando, attiva nello stesso settore. Il fondatore di Cibando è oggi country manager di Zomato e lo sarà almeno fino al prossimo dicembre. Si chiama Guk Kim, è nato a Seoul ed è arrivato in Italia nel 1994, al seguito della famiglia. Forte calata romana, è uno startupper seriale di 26 anni che ha creato la sua prima app nel 2005. La sua descrizione della fase della vendita di Cibando a Zomato (società indiana creata nel 2008) rende l’idea della velocità di questi business. «La transizione è stata velocissima, dal giorno dopo (il 18 dicembre 2014, ndr) abbiamo cominciato a lavorare. Abbiamo pensato a selezionare le persone e a cercare uffici, per un mese intero abbiamo lavorato in un appartamento perché non c’erano uffici vicini alla metropolitana. Non mi sono mai sentito così stanco. Si correva così tanto, e con una paga giusta, che non si aveva tempo di spendere nulla. All’inizio ero l’unico che correva, come founder. Oggi vedere che ci sono persone che vanno più veloci di me è una soddisfazione. È difficilissimo scendere quando sei in quella fase di crescita e in definitiva sono molto felice». 

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