Sembra inutile pretendere trasparenza anche tra gli addetti ai lavori che affrontano il discorso della finanza alternativa alle banche per le nostre Pmi. È inevitabile farvi sorbire una pedante premessa metodologica, ma per tutti – in Italia e per la Comunità Europea – la definizione di Piccole e Medie Imprese (Sme) finisce a 50 milioni di fatturato. Per chi ancora non l’ha capito ecco la tabella pubblicata dalla Commissione nel suo rapporto sulle Pmi 2013/14. Non c’entrano gli aiuti di stato come qualcuno vorrebbe sostenere, è proprio la definizione europea di cos’è una Pmi.
Perciò risulta fastidiosa la confusione senza fine che viene fatta sulle dimensioni d’impresa. Crea distorsioni e troppe illusioni alle povere piccole imprese anche su quel poco di credito che -secondo i confusi- dovrebbe arrivare in Italia dal canale obbligazionario (i noti ‘minibond‘).
Esempi? È del 25 maggio questa iniziativa adottata e comunicata da Banca Mediolanum che ha deciso di investire ben 5 milioni di euro (non sono un po’ pochi?…) in un fondo che acquisterà bond emessi da imprese italiane, Tenax Credit Italian Fund. Però l’idea che hanno Tenax e Mediolanum della piccola e media impresa (le Pmi) è singolare:
«Oggi le imprese italiane dipendono per il 70% dai finanziamenti emessi dalle banche, nel Regno Unito questa percentuale scende al 30%. È evidente che il sistema in Italia è troppo bancocentrico serve un cambiamento”. Servono iniziative concrete in grado di offrire alle Pmi “nuove fonti di credito” e agli investitori istituzionali “nuove forme di investimento che consentano una maggiore diversificazione del portafoglio”.
Nasce da queste convinzioni la scelta di Mediolanum Vita di investire in Tenax Credit Italian Fund annunciata oggi, nel corso di una conferenza stampa, da Ennio Doris: “abbiamo aderito al fondo con un investimento di 5 milioni di euro”, ha affermato l’a.d. di Mediolanum. Dedicato all’erogazione del credito alle Pmi italiane, il fondo è gestito da Tenax Capital, società londinese di asset management guidata da Massimo Figna, ha una durata di 7 anni e un obiettivo di raccolta di 150 milioni di euro. “Ad oggi” spiega Figna “siamo arrivati a 75 milioni e puntiamo a un rendimento netto nell’ordine del 5-6%”. Rendimento raggiunto puntando su un target di piccole e medie imprese con un fatturato tra 50 e 250 milioni e una leva finanziaria inferiore a 4,5 volte l’Ebitda». (fonte Advisoronline.it)
Eccoci di nuovo, le imprese con fatturato tra 50 e 250 milioni non sono piccole e nemmeno Pmi. Se va bene sono “medie” per una definizione poco ortodossa ma più simile a quella usata dai mercati finanziari.
Basta con l’abuso del termine Pmi! Non è un passepartout che fa diventare etico tutto quello che ha l’etichetta Pmi, non è neppure una tecnica di marketing per piacere agli imprenditori
Basta con l’abuso del termine Pmi! Non è un passepartout che fa diventare etico tutto quello che ha l’etichetta Pmi, non è neppure una tecnica di marketing per piacere agli imprenditori (che nel 98% sono micro-imprenditori). È purtroppo un segmento in difficoltà in Italia, perché troppo indebitato (quindi molti non devono chiedere altro credito, ma piuttosto rimborsare quello che hanno) e non trova sbocchi finanziari diversi dalle banche. Tantomeno ne troverà nei minibond se tutti la pensano come Tenax. Altri fondi che sono stati disposti a finanziare vere medie imprese hanno però quasi sempre scelto il meglio delle Pmi: quelle con risultati validi e banche sempre a disposizione. Ed è giusto che sia così.
Non diventeremo come il Regno Unito confondendo le grandi imprese con le Pmi. Ma solo trovando soluzioni per le piccole e micro imprese. Un compito difficile e non bastano 5 milioni. Se vi interessa sedurre qualche decina delle 4.000 imprese medio-grandi nel business obbligazionario, bene serve anche quello all’Italia. Ma non occorre invocare le Pmi invano.