C’è stato un decennio del calcio italiano in cui due squadre si sono di fatto spartite sistematicamente il calcio italiano. Mentre Massimo Moratti spendeva senza vincere, la Lazio sognava la grandeur con Sergio Cragnotti, il Parma vinceva tutto tranne quel maledetto scudetto e la Roma non aveva ancora avuto l’idea di affidarsi a Fabio Capello, Juventus e Milan a inizio anno sapevano che a fine stagione una delle due avrebbe avuto l’onore di cucirsi al petto lo scudetto. Più che un torneo una simpatica abitudine, tramutata presto in un rito con tanto di scaramanzie, come piace a noi italiani: ad agosto, chi vinceva l’antipasto estivo del Trofeo Berlusconi si mangiava le mani, perché non avrebbe ottenuto il titolo di campione d’Italia.
Insomma, se la cantavano e se la suonavano da loro. Dopo una piacevole parentesi costituita da Napoli e Sampdoria, il Milan si concede la tripletta tra il 1991 e il 1994. Della Juve non vi è traccia in Italia: in Europa sì, con la Coppa Uefa. Ma se vincere è l’unica cosa che conta, c’è un tricolore che manca dagli anni Ottanta, quando ancora c’erano Platini, Paolorossi rigorosamente tutto attaccato e il Subbuteo. Dopo il Mondiale di Usa ’94, comincia l’epoca d’oro bianconera: subito scudetto, l’anno dopo la Champions, mentre il Milan si riprende lo scudetto. Poi ancora due titoli alla Juve e uno al Milan. Il primo decennio degli anni Duemila sembra aprirsi all’insegna della frizzante novità: prima Lazio, poi Roma. Certo, non è facile però mantenersi in cima quando si fa il passo più lungo della gamba, in campo e nei bilanci. La Lazio resta fregata dai bond Cirio, la Roma dalla voglia di Franco Sensi di fare una grande squadra contro “il vento del nord” ma senza curarsi dei libri contabili.
C’è stato un decennio del calcio italiano che ha cominciato a chiudersi a Manchester, nel maggio del 2003. All’Old Trafford c’è la finale di Champions League e giocano – ma pensa un po’ tu – la Juve contro il Milan. Vince Ancelotti, che dopo il diluvio di Perugia e “un maiale non può allenare” pensò che era meglio provare a vincere da un’altra parte, magari dove ti conoscono e ti apprezzano. Sembrava la chiusura di un cerchio e in effetti lo è stata, anche se lo abbiamo scoperto davvero con Calciopoli.
In un modo o nell’altro, sembrava ce ne fossimo liberati di Juve-Milan. Perché dai, i campionati dove se la giocano solo due squadre alla lunga stancano. Magari Lotito che non ama le piccole provinciali non la pensa così, ma all’epoca dei fatti – cioè dell’ultimo scudetto del duopolio, quello del Milan del 2004 – lui era ancora impegnato a chiamare tutti i giorni a Roma a chidere “C’è er zotto?”, ovvero il Sottosegretario con il quale trattare la rateizzazione del debito con il Fisco dei biancocelesti. Ma ancor prima di Lotito e dei suoi latinismi, il duopolio bianconerorosso non era visto di buon occhio anche per altro. C’erano quel Moggi lì, quel Galliani là, che visti da fuori erano come due che si spartivano un po’ la torta di tutto. Con Galliani presidente di Lega nel 2002, poi, non ne parliamo. Quindi giunge calciopoli e il duopolio si spezza.
Quindi c’è stata l’Inter, emblema dell’onestà vilipesa per anni, ma che volendo è stata peggio: 5 scudetti di cui 4 sul campo, la Champions, il triplete ma poi anche basta, perché quando hai dato troppo devi andare e fare posto. Una monotonia. Nel 2011 il Milan torna a vincere il campionato, nel 2012 la Juve. Brutto, bruttissimo segnale. Ravvivato da ciò che succede il 25 febbraio 2012, Milan-Juve: Muntari segna, ha segnato, l’ha messo dentro di tanto così, ma l’arbitro e gli assistenti non vedono nulla. La Juve a fine anno vince lo scudetto, il primo di una serie di quattro. Il gol di Muntari diventa una tag del calcio italiano moderno: d’altronde ad ogni Roma-Juve siamo ancora qui a menarcela con Turone.
Ma il duopolio non è ancora tornato del tutto. Quel gol lì è solo l’antipasto, un bruttissimo segnale dicevamo. Manca qualcosa. Eccola: nel 2013, Galliani torna tra i vertici della massima serie in veste di vicepresidente. Consiglieri federali diventano il già citato Lotito (che nel frattempo non chiama più il “zotto” perché ha risolto) e Pulvirenti del Catania. Lazio e Milan fanno parte della galassia Infront e il Catania aveva partecipato al favoleggiato (ma vero, eh) incontro siciliano estivo con i vertici di Doyen, il mitologico (ma vero, eh) fondo d’investimento che sfrutta il calcio come fosse un Subbuteo personale dove muovere i calciatori a proprio piacimento.
Ecco cosa mancava: la politica del pallone. Lo scontro campanilistico che diventa gazzarra o frecciata, a seconda di ciò che succede in campo. Attorno al tavolo della Lega si crea lo scontro tra i blocchi: quello della maggioranza del trio Galliani-Lotito-Infront. Dall’altra c’è un presidente come Andrea Agnelli, ramo di una dinastia potente, quella del “vincere è l’unica cosa che conta”. Che ha voglia di emergere e di riabilitare l’immagine di un club che qualche anno prima è finito in B. Che ha capito che urlare per richiedere scudetti e risarcimenti forse non è la via giusta. La politica non richiede urlatori, ma fini tattici. E la politica del calcio non sfugge. Così, annusato il disagio di un pubblico che quel trio in Lega non lo ama, capisce di doverci andare contro. Essere l’alternativa, quella è la via. Se la Juve vince è va in finale è merito suo, non di Lega o Figc. Se Infront comanda, la Juve non rinnova il contratto con i diritti d’archivio.
Ed è sulla tv che si gioca la partita. Ancora in febbraio, ma del 2015, un Milan-Juve riaccende la contesa. L’azione del gol di Tevez viene contestata dal Milan per un fuorigioco. Ma la colpa non ricade sull’arbitro, bensì sulle immagini e la produzione che mostrano le linee del fuorigioco. Lo scontro è su Twitter: il Milan cinguetta che il fermo immagine prodotto dalla Juve è di parte, la Juve coglie il pretesto per attaccarla sul lato Infront (che produce immagini di 17 squadre e non di 3, tra cui i bianconeri) con un comunicato.
E in quel “Il Sig. Geom. Adriano Galliani, Vice Presidente Vicario e Amministratore Delegato dell’AC Milan SpA e Vice Presidente della Lega Nazionale Professionisti Serie A è tornato nelle ultime ore alle sue antiche passioni: la televisione e la geometria” c’è il righello di Boniperti a Viola che Agnelli rifila in testa a Galliani. È la miccia che riaccende il duopolio. Il fuoco lo mette ancora Agnelli, con gli ultimi dubbi sulla quotazione del Milan di 1 miliardo. Il Milan è già pronto a rispondere con i soldi del fondo Doyen sul mercato, dopo qualche anno di magra. Dalla politica al campo, Milan-Juve (o Juve-Milan) è già tornata.