Occident Ex-PressDove vai in vacanza? In una miniera di carbone

Dove vai in vacanza? In una miniera di carbone

La West Point Foundry fu una delle più importanti fabbriche per la lavorazione del ferro, produttrice di armi americane fra il 1817 e il 1911. Nata da un’intuizione di James Madison dopo la guerra del 1812 fra i neonati Stati Uniti d’America e alcune colonie britanniche, vi si produceva il Parrott Rifle, un mezzo di artiglieria pesante molto utilizzato durante la Guerra di Secessione, oltre a fucili, munizioni e prodotti in ferro per usi civili.

Si trova nello Stato di New York proprio vicino all’accademia militare omonima e venne chiusa in seguito al calo della domanda di ghisa che la portò alla bancarotta.

Oggi è una delle migliaia di mete recensite su Tripadvisor : la si raggiunge a piedi con un agibile sentiero, ci si gode la brezza del fiume Hudson e si toccano i cannoni con cui un secolo e mezzo fa degli americani sparavano ad altri americani.

Si chiama archeologia industriale, due parole che di primo acchito sembrano contraddirsi: branca riconosciuta dell’archeologia tout court, insegnata nelle università, dibattuta in convegni e pubblicazioni scientifiche e – fatto non da poco – può salvare alcune aree dalla povertà.

Ex fabbriche d’armi o miniere di carbone recensite su Tripadvisor possono salvare intere aree dalla povertà

Il bacino della Ruhr nella Renania settentrionale, Germania, era il cuore pulsante dell’industria carbonifera, siderurgica e del legname tedesco, tanto da essere uno dei principali oggetti di contesa con belgi e francesi prima e dopo la conclusione della Grande Guerra: veniva sfruttato intensivamente per le riparazioni belliche stabilite a Parigi nel 1919 e in più occasioni venne occupato militarmente. Se si cerca oggi su Google la parola “Ruhr”, dopo i profili di Wikipedia e Treccani, il primo risultato contiene l’espressione “turismo”: 200 musei, 120 teatri, 3.500 monumenti industriali – un lungo elenco di siti che con il carbone e il legname non c’entrano nulla.

Quando estrarre carbone divenne inefficiente, sia dal punto di vista economico che da quello ecologico, quando il Governo federale tedesco decise di ridurre al minimo indispensabile la produzione nazionale e tagliò i sussidi e le sovvenzioni all’industria per rientrare nei parametri di deficit di bilancio, ci furono aspri scontri con i sindacati e blocchi autostradali, ma nulla fermò il licenziamento di personale e la chiusura degli stabilimenti. L’intera regione si stava rapidamente deindustrializzando.

Venne messo in atto un imponente piano di investimenti misto pubblico-privati che si concretizzò nella Zeche Zollverein ad Essen – una delle più vaste miniere al mondo per estensione e capacità produttiva, oggi patrimonio dell’UNESCO. Si ripercorrono le tappe della filiera e dei cicli di estrazione, al suo interno è ospitato il Red Dot Museum, il più grande museo di design del pianeta.

A Bochum, una vecchia centrale a gas che riforniva le acciaierie è stata ristrutturata con la fattezze di una cattedrale gotica, per non parlare del Gasometro di Oberhausen, un edificio circolare di 117 metri che serviva per stoccare il gas, dove si organizzano musical e concerti in un pirotecnico spettacolo di luci proiettate lungo le pareti cilindriche.

Tutto questo ha fatto sì che la Ruhr venisse nominata Capitale della Cultura Europea nel 2010. Non Venezia, Vienna o Budapest, ma una vallata attraversata da un fiume che ha visto nella sua storia più eserciti che pittori.

L’esperienza tedesca è stata riproposta in miniatura qualche centinaio di chilometri più a sud, in Austria, dove turisti e visitatori si immergono per qualche ora nel monte Dürnnberg per esplorare le viscere della più antica miniera visitabile del mondo, quella di Hallein, dove vi si estraeva “l’oro bianco” – il sale. 

A Schwaz, nel Tirolo, si possono cavalcare per novanta minuti i vagoni che scendevano lungo i binari fino a 800 metri di profondità – al netto di compagni di viaggio claustrofobici – per poi risalire carichi di argento.

In Italia si parla meno di archeologia industriale: se ne occupano principalmente gli storici dell’industria utilizzando l’espressione “la stagione del recupero” che si riferisce al trentennio 1978-2008 – anno in cui venne organizzato a Termoli il primo Convegno nazionale di Studi sull’argomento. Tuttavia non mancano esperienze positive di riconversione di fabbriche o interi distretti industriali.

A Milano vi è l’esempio mainstream della Fabbrica del Vapore, che è passata in pochi decenni dal settore metalmeccanico a centro espositivo per gli eventi del Fuori Salone, concerti e mostre in 3D. C’è l’esempio più folkloristico e affascinante del villaggio operaio di Crespi D’Adda, costruito dal padrone per i dipendenti della fabbrica, dove ogni abitazione disponeva di un orto, un giardino e servizi necessari, anticipando le tutele della cittadinanza che nei decenni successivi sarebbero state a carico dello Stato.

Fabbrica del Vapore, villaggio operaio di Crespi D’Adda, il Lingotto di Torino sono solo gli esempi più noti di l’archeologia industriale in Italia  

Il riuso delle fabbriche per scopi turistici passa sotto silenzio ma è più diffuso di quanto si pensi nel nostro Paese: l’arcinoto Lingotto di Torino ne è il classico esempio, la centrale elettrica Montemartini di Roma, fino ad approdare nel Sulcis, Sardegna, area falcidiata dalla deindustrializzazione, dove le ex miniere offrono panorami suggestivi immersi nella natura e un grande patrimonio costituito da edifici e un parco macchine risalente al ventesimo secolo.

A cavallo fra il 2014 e il 2015 l’idea del passaggio fra secondario e terziario si è fatta forte nel settore siderurgico, proprio mentre la crisi economica attraversava come un sisma le acciaierie della penisola: se l’Ilva di Taranto – dove si sommano ai problemi economici anche quelli giudiziari e ambientali – piange, la AST di Terni non ride e lo stabilimento ThyssenKrupp di Torino chiude, a Piombino nelle acciaierie Lucchini viene spento l’altoforno il 23 aprile 2014, fra rabbia e frustrazione dei dipendenti e della cittadinanza .

Si fa forte l’idea di cambiare destinazione all’intera area, sfruttando la vicinanza con l’Isola d’Elba, che ogni anno attira 5 milioni di turisti, e l’agricoltura della provincia livornese – sopratutto ortaggi – che rappresenta il 25% della produzione della Toscana.

Nell’autunno, fra mille travagli, viene presentata un’offerta per l’acquisizione delle acciaierie da parte della multinazionale algerina Cevital, che propone un piano di sviluppo che prevede investimenti e il riassorbimento nel giro di due-tre anni dell’intera forza lavoro. L’amministrazione locale e regionale ripone nel cassetto il piano B di riconversione e tuttavia, dopo le prime settimane di gioia e serenità, si capisce che non è tutto oro quello che luccica: sindacati e istituzioni accusano la Cevital di aver mentito sulle reali intenzioni dell’offerta, di non essere interessata all’acciaio e di voler aggiudicarsi quote di mercato italiano utilizzando Piombino come hub commerciale. Le trattative proseguono a rilento da mesi.

Se capita dunque di viaggiare verso l’Isola d’Elba vale la pena di fermarsi a guardare per qualche minuto gli altoforni, i laminatoi, l’area portuale, i blumi o le billette d’acciaio: sono mete turistiche anticonvenzionali ma fra qualche anno le si potranno trovare recensite su Tripadvisor.