Non erano ancora usciti i risultati, e Michele Emiliano, neo governatore della regione Puglia, già parlava da presidente. A Porta a Porta ha annunciato di voler assegnare l’assessorato all’Ambiente ai Cinque Stelle, altra componente politica uscita rafforzata dalle elezioni. «È finito il tempo della critica astratta, è necessario entrare nel governo delle cose», per cui «se rifiuteranno, dovranno spiegarlo ai loro elettori», ha aggiunto. La proposta, nel frattempo, è stata già declinata (o meglio, congelata: «il Movimento non parteciperà alla spartizione delle poltrone», ha risposto Antonella Laricchia, candidata per l’M5S), ma rimane significativa.
«Per questa vittoria non devo dire grazie a nessuno, nemmeno a Renzi, che qui non si è visto»
Michele Emiliano, come si dice da più parti, ha già messo in atto, nella sua vita politica in Puglia il metodo del “partito della Nazione” (anche se di fronte alla formula, l’ex sindaco ha detto che “non gliene frega niente”), quello che il presidente del Consiglio Matteo Renzi sogna di creare nel Paese. In passato l’ex sindaco di Bari ha preso con sé ex di An, alcuni berlusconiani o, in generale, membri con un’origine politica non proprio di sinistra (un nome per tutti: Anita Maurodinola, che entrò nel consiglio comunale a Bari per il centrodestra e poi passò al Pd. Ora, seguendo Emiliano, è entrata nel consiglio regionale). Non ha mai badato molto alle etichette politiche, e anche l’apertura al Movimento Cinque Stelle rientra in questa strategia. L’assessorato all’Ambiente, poi, consegnerebbe al M5S la patata bollente del Tap, il Gasdotto Trans-Adriatico, che Emiliano non vorrebbe far arrivare a San Foco, nel Salento – e che Renzi invece spinge per realizzare il prima possibile.
Il tap, ad esempio, è solo uno dei punti di scontro tra Emiliano e Renzi: prima viene il ddl scuola, poi alcuni screzi sulle pensioni. Prima ancora, il rifiuto di Renzi di assegnargli un ministero al momento del suo insediamento (il nome del sindaco di Bari era in ballo, secondo più parti), poi il secondo rifiuto di Renzi di candidarlo alle Europee, nel 2014, come capolista (fu messo da parte per fare spazio a Pina Picierno). Infine, la freddezza per le ultime elezioni: nella sua visita in Puglia, il presidente del Consiglio ha preferito andare allo stabilimento di Melfi della Fca di Sergio Marchionne e poi incontrare il sindaco di Bari, del Pd, Antonio Decaro. Per Emiliano? Nulla. E lui lo sa, tanto che ora, forte del suo bottino elettorale, lo dice chiaro e tondo: «Per questa vittoria non devo dire grazie a nessuno, nemmeno a Renzi, che qui non si è visto». Punto.
Anzi, il vero punto è che Michele Emiliano potrebbe diventare un problema, se non addirittura un rivale, per Renzi. La sua ambizione è alta, la sua popolarità anche. E non ha timore di lanciare qualche avvertimento: «In Puglia», aveva detto a metà maggio, «è stata costituita una coalizione che interpreta lo spirito migliore e autentico del centrosinistra. Molto diverso da quella alleanza anomala che a Roma sostiene il governo». E ancora: «sarà la Puglia a ispirare la leadership del nuovo centrosinistra nazionale». I commentatori si sono concentrati sulla strana formula “ispirare la leadership”, dal significato oscuro. Soprattutto non si capisce quanto “ispirare” si avvicini a “impossessarsene”, ma è un problema, al momento, relativo. Quello che resta è la sfida: è stata lanciata e il personaggio non è tipo da prendere sottogamba.
Michele Emiliano, nato a Bari nel 1959, ha carattere duro e personalità decisa, un passato da magistrato (ad Agrigento, Brindisi e infine, a Bari, dove è sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia) e un curriculum di inflessibile nella lotta alla criminalità. «Ho arrestato albanesi, scafisti e intoccabili, ho vissuto in mezzo a bionde, hashish, panette e neve bianca», dirà. Visitava le famiglie degli arrestati («è la passione e il vizio per l’umanità», che lo spingeva a portare conforto a chi veniva danneggiato, in modo indiretto, dal suo lavoro), e non si chinava nemmeno di fronte a personaggi come D’Alema, mettendo sotto inchiesta la missione Arcobaleno (che poi si è chiusa in prescrizione).
Passato alla politica, nel 2004 diventa sindaco di Bari per la coalizione del centrosinistra, dove viene riconfermato nel 2009, sconfiggendo Simeone di Cagno Abbrescia, che era stato sindaco fino al 2003. La sua corsa sembra non arrestarsi: si pensa di candidarlo come presidente della Regione, in alternativa a Nichi Vendola e insieme all’Udc. La cosa si blocca per motivi burocratici e per il no di Sel a riconoscergli la possibilità di correre senza dover lasciare il posto di sindaco. Emiliano si ritira e rimanda tutto di qualche anno. E, come si è visto, la pazienza lo ha premiato. Una nota: nel 2012, secondo un sondaggio del Sole 24 Ore, risulta tra i sindaci più amati d’Italia, al terzo posto, insieme a Vincenzo De Luca, ex sindaco di Salerno, e Flavio Tosi, ex sindaco di Verona. A questa tornata elettorale, tutti e tre erano candidati alle rispettive Regioni.
«Siccome sono una persona in buona fede, come la Madonna del santuario, pensavo che chiunque mi fosse accanto non potesse non essere in buona fede»
Una macchia, nella sua carriera di inflessibile (viene soprannominato “lo sceriffo”) è il caso Degennaro, rimasto impresso nella memoria collettiva per le famose “cozze pelose”, cioè i regali in forma di pesce che Emiliano riceveva dalla famiglia di costruttori Degennaro. Nel 2012 le indagini sulla Dec (la ditta di costruzioni di proprietà della famiglia Degennaro), mettono in luce casi di corruzione, frode e falsi. Emiliano non risulta tra gli indagati, ma le intercettazioni evidenziano la sua vicinanza (mai negata, del resto), al gruppo imprenditoriale, su più fronti. Ad esempio, Vito Nitti, uno degli arrestati, aveva ricevuto l’incarico di direttore dell’ufficio tecnico comunale, proprio per «la piena capacità di soddisfare le esigenze della politica e le specifiche pressioni dei Degennaro», dicevano le carte. Anche Annabella Degennaro, figlia di Vito Degennaro, anche lui tra gli indagati, era in Comune, in qualità di assessore “alla città turistica e commerciale e alle politiche del lavoro”. Appena scoppiato lo scandalo si dimise. Emiliano ammetterà l’errore, riconoscendo però il curriculum, molto valido, della ragazza.
Poi ci sono, appunto, le “cozze pelose”, un regalo mandatogli da Degennaro per Natale che Emiliano avrebbe accettato «per leggerezza». Si giustificò così: «Siccome sono una persona in buona fede, come la Madonna del santuario, pensavo che chiunque mi fosse accanto non potesse non essere in buona fede». Fu davvero una sopresa accorgersi che le cose non andavano così? «Io sono un fesso, non un corrotto», aggiunge. Un “fesso”, nell’accezione comune al Sud, per cui “buono fino al limite dell’ingenuità”. Tanto buono che «l’errore politico» gli venne perdonato. E ora, con il passato alle spalle, affronta l’incarico presente: governatore della Puglia, tra una mano tesa ai Cinque Stelle e un guanto di sfida al premier. Da lasciar pensare che il futuro sarà molto più interessante.