«Non siamo in competizione con gli albergatori». Parola di Matteo Stifanelli, Country Manager di Airbnb Italia – il portale online di prenotazione alloggi nato nel 2007 a San Francisco – durante l’opentalk del 23 giugno nella redazione de Linkiesta. Il turismo è al centro, ma ancora di più lo sono le potenzialità di un’industria che genera il 10% del PIL italiano e interessa più di due milioni di operatori con l’indotto.
Parlare di turismo a Milano nel 2015 significa parlare di Expo: «un lunapark per famiglie», secondo Stifanelli. «I primi dati ci dicono che le stime sui visitatori dei mesi scorsi non erano così sballate al rialzo. Nel capoluogo lombardo ci sono 54mila posti letto e non si possono costruire nuove strutture perché fra sei mesi comunque non rimarrà un Colosseo per i turisti del futuro». La conseguenza è logica: «Abbiamo visto quadruplicarsi le nostre prenotazioni sullo stesso periodo del 2014 (+293%) e i nostri locatari – il 50% degli alloggi Airbnb a Milano si trovano fuori da zona 1 – non hanno fatto cartello, come spesso avviene, aumentando i prezzi. Un appartamento per tre o quattro persone si aggira, anche tra maggio e ottobre, intorno ai 150 euro». Ma c’è un altro dato da non sottovalutare: gli alloggi su Milano, 12.500, quasi equivalgono al numero di Roma (16mila) che però ha più del doppio degli abitanti.
Gli alloggi Airbnb su Milano sono 12.500, quelli su Roma 16.000 che però ha più del doppio degli abitanti
Il turismo in Italia è anche un questione politica, con il cambio ai vertici dell’ENIT voluto dal Governo Renzi. È arrivata Evelina Christillin. «Non la conosco e non mi permetto di giudicare ma sarebbe bello vedere il curriculum». La nuova manager Enit ha un passato tra le Olimpiadi invernali di Torino 2006, la Fondazione del Museo Egizio e il Teatro Stabile di Torino. Severo il giudizio di Angelo Pittro, Direttore Marketing e Commerciale di Lonely Planet Italia, la casa editrice australiana che accompagna i viaggiatori di mezzo mondo con le proprie guide turistiche. «Evelina Christillin la conosco perché è piemontese, le auguro di fare bene il proprio lavoro ma trovo assurdo che il Presidente Renzi sia venuto per rottamare e non sia riuscito a recuperare un nome che non avesse già ricoperto dieci incarichi in trent’anni».
Da Palazzo Chigi a un altro Continente. «Siamo nati nel 1973 – spiega il manager di Lonely Planet – dal viaggio avventuroso dei fratelli Maureen e Tony Wheeler tra Londra e l’Australia, arrivati lì si sono accorti di non avere più un soldo in tasca ma anche che i loro appunti erano interessanti. Così scrissero Across Asia on the cheap, la prima guida che in tre mesi vendette 8mila copie». Dalla storia agli affari. «Il core business di Lonely Planet continua ad essere il libro cartaceo, ma il nostro amministratore delegato americano ha 25 anni e già nel 1992 lanciavamo una newsletter ante litteram, una sorta di “fanzine” dove erano raccolti i migliori suggerimenti dei nostri viaggiatori, che entravano a far parte delle guide. Facevamo su carta quello che oggi facciamo in tempo reale sui social». Continua Pittro: «Le guide turistiche esistono da secoli ma quelle degli anni ’70 sembravano scritte per un sovrano in carrozza, con tanto di porta valigie al seguito. Noi adesso proponiamo in formato digitale i singoli capitoli a 3.99 euro, perché magari non te ne frega niente di tutto il Portogallo e vuoi solo visitare l’Algarve».
«Inutile accanirsi sul supporto. Il vero conflitto non è tra la carta e il digitale ma tra free e servizio a pagamento»
Il direttore marketing di Lonely non ci sta al gioco al massacro tra carta e digitale: «Inutile accanirsi sul supporto, la vera dicotomia è tra free e servizio a pagamento. Dobbiamo decidere se vogliamo pagare per avere informazioni precise e libere – sulle guide Lonely Planet è impedita la pubblicità anche se esistono campagne specifiche realizzate con BMW o Samsung – o se non vogliamo spendere qualche soldo. Vale anche per voi dell’informazione. È uscito un articolo sul Financial Times del 20 giugno, smontava una volte per tutte il grande mito di internet che ha ucciso l’editoria tradizionale. Certamente si può pensare a formule alternative per le riviste; nel Regno Unito alcune sperimentano periodicità trimestrali, quadrimestrali, addirittura semestrali, ma con il coraggio di raccontare una storia. Se mi occorrono dieci pagine per farlo allora ne pubblico dieci».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
S’invertono i ruoli, tocca al country manager di Airbnb la difesa della tradizione. «Quando otto anni fa i nostri fondatori hanno lanciato l’idea di mettere degli estranei in casa di altri estranei ci mancava poco che li prendessero per folli – racconta Stifanelli – Invece in Italia quest’idea era già radicata nella cultura popolare. Internet è stato solo lo strumento per portare l’identità delle persone dall’offline all’online. Non siamo in competizione con il B&B tradizionale, ma se il mondo cambia non accusate noi». Contrariamente alle previsioni nefaste, il mercato italiano è diventato per Airbnb il terzo al mondo, dietro a Stati Uniti e Francia. I dati aggiornati al primo giugno parlano di 150mila alloggi disponibili e 2.700.000 viaggiatori che dal 2008 hanno soggiornato con Airbnb. «Chi parlava di bassa penetrazione dei pagamenti online in Italia o della diffidenza nell’ospitare uno sconosciuto, ha dovuto ricredersi».
I due ospiti de Linkiesta sono ottimisti, sbobinano cifre. «Stando ai dati Nielsen l’Italia è il secondo Paese per quota di mercato di Lonely Planetcon il 42%, secondo solo all’Austrialia» che gode del vantaggio di essere la “madre” della casa editrice. «Abbiamo realizzato un indagine con IPSOS», prosegue Stifanelli di Airbnb, «dove chiedevamo agli italiani se fossero pronti ad accettare le implicazioni della sharing economy. Il 33 per cento ha detto sì con due principali motivazioni: la prima economica, la seconda sociale». Soldi, quindi, ma anche la necessità di «essere meno estranei al resto del mondo», con Milano in prima fila. «A dicembre abbiamo accolto con favore la delibera sulla sharing economy, è un passo politico importante per l’amministrazione che chiama a raccolta gli operatori». Anche perché «la crisi ci ha costretti a trovare soluzioni alternative, abbandonarle adesso sarebbe assurdo. Sarebbe come inventare la lampadina a risparmio energetico per poi buttarla quando il prezzo del greggio è basso».