TaccolaLa guerra per Cassa Depositi e Prestiti, un colosso senza strategia

Finanza e potere

La prima conseguenza della forzatura del governo sul cambio del presidente, oltre che dell’amministratore delegato, di Cassa Depositi e Prestiti sarà la fine della pax bancaria tra governo e fondazioni bancarie. Sembra ormai scontato che a sostituire Franco Bassanini, alla presidenza, arrivi Claudio Costamagna, attuale presidente di Salini-Impregilo e già Goldman Sachs e nel cda di Luxottica. Nomina imposta da Renzi e dai suoi consiglieri e subita dalle fondazioni, che nella Cdp hanno il 18,4% e alle quali per statuto spetta la nomina del presidente. Le unghie mostrate mercoledì 11 da Giuseppe Guzzetti presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri, l’associazione delle fondazioni bancarie, hanno lasciato pochi dubbi sul fatto che ci saranno strascichi. Sia perché i rapporti sono tesi da quando con la legge di Stabilità dello scorso anno il governo incrementò dal 5% al 77,74% la quota imponibile dei dividendi delle fondazioni. Sia perché la gestione di Bassanini ha fin qui assicurato utili, mentre una nuova strategia più avventurosa – la Cdp futura è stata definita sulla stampa da “investment bank” e “strumento più flessibile di politica industriale” – preoccupa le fondazioni. 

«L’elemento da vedere è se il cambio dei vertici di Cdp porrà fine alla pax bancaria – commenta Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar -. Di fronte alla forzatura che le fondazioni subiscono, vedo tre scenari: il primo di armonia, il secondo di conflittualità aperta e il terzo come soluzione di mezzo. Propendo per escludere l’armonia. Nel caso in cui si apra un conflitto non so dove ci porterà, perché se le fondazioni si muovono come una falange oplitica, anche se non sono potenti come in passato, sono dolori». 

L’Ilva e il fondo salva-imprese

Francesco Galietti: «Se si aprirà un conflitto tra governo e fondazioni non so dove porterà, perché se le fondazioni si muovono come una falange oplitica sono dolori»

Uno dei primi punti su cui ci potranno essere contrasti è l’Ilva. A fine maggio è stato firmato il regolamento della Spa “salva imprese” prevista dal decreto banche. Alla spa (chiamata anche fondo di turnaround) dovrebbero partecipare Cassa depositi e prestiti, Inail, probabilmente i principali gruppi bancari, altri possibili privati da individuare ad esempio tra i fondi di investimento. Per come è stato strutturato il sistema delle garanzie statali, il fondo dovrebbe permettere sia alla Cdp di partecipare senza violare lo statuto (che vieta l’investimento in aziende che non siano in buono stato) sia di evitare procedure Ue sugli aiuti di Stato. Il primo test individuato dal governo sarà l’Ilva, dove l’intervento dovrebbe avvenire entro ottobre. Bisognerà poi capire quanto questa Spa sarà usata, al di fuori dell’Ilva, per gestire altre crisi industriali. 

Le parole dell’Acri sono sembrate un avvertimento: «È necessario che si valuti opportunamente l’impatto degli eventuali cambiamenti sulla sana e prudente gestione di Cdp, soprattutto in termini di modifica del profilo di rischio che ne potrebbe derivare», recitava la nota di mercoledì dell’Acri. «Una verifica del ruolo che si intende attribuire a Cdp in termini di conferme o di eventuali modifiche della sua missione».

L’animale a mille teste

La richiesta non è banale, perché già oggi non è per niente semplice spiegare cosa sia diventata Cdp. «È un universo in cui si trova di tutto – commenta Galietti -. Cdp è un animale strano. Ci sono enti in Europa che fanno alcune delle cose, ma non un omologo che faccia tutto quello che fa Cassa Depositi e Prestiti». Un elenco non esaustivo rende l’idea delle attivitàprestiti allo Stato, ogni qual volta questo ha bisogno di liquidità. Pagamento dei debiti degli enti locali, con dotazione di 1,8 miliardi di euro sia per il 2013 che per il 2014. Finanziamento degli investimenti degli enti pubblici, locali e non, dalle strade all’edilizia scolastica, dall’edilizia sociale al settore energetico. Valorizzazione del patrimonio immobiliare. Social Housing. Calamità naturali e ambiente. E poi tutti gli strumenti di “sostegno all’economia”: i plafond per l’accesso al credito e gli investimenti delle imprese. Il Fondo Strategico Italiano e il Fondo italiano di investimento. Il finanziamento all’export (è proprietaria di Sace e Simest). Fino al ruolo nelle infrastrutture, con gli interventi nel corporate finance e project finance e l’attività di F2i e il Fondo Strategico Italiano. 

Lo spettro di competenze di Cdp continua ad aumentare: sono stati aggiunti i settori turistico-alberghiero, l’agroalimentare, la distribuzione e la gestione dei beni culturali

Lo spettro di competenze continua ad aumentare: nel luglio del 2014 il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ha firmato un decreto per allargare il perimetro d’investimento dell’Fsi, ricomprendendo settori come il turistico-alberghiero, l’agroalimentare, la distribuzione e la gestione dei beni culturali. La prima conseguenza è stata l’ingresso del Fondo Strategico Italiano nel gruppo alberghiero con sede principale nel Regno Unito Rocco Forte Hotels. Ossia «l’intervento dello Stato in un’impresa alberghiera a controllo estero e con diversi problemi “politici” in Italia», come ha sottolineato criticamente Stefano Sansonetti su La Notizia.

Poste in affanno

Le altre partite aperte per la Cassa nei prossimi mesi sono moltissime. Ci sarà il piano Juncker per gli investimenti, al quale la Cdp si è impegnata a partecipare con 8 miliardi di euro. Ci sarà la quotazione delle Poste, che con Cdp hanno un rapporto stretto: la Cdp da 150 anni amministra il risparmio postale e per questo paga alle Poste una commissione tra 1,6 e 1,7 miliardi l’anno. La convenzione è stata allungata da tre a cinque anni per rafforzare in vista della quotazione Poste Italiane, che però si ritrovano con il problema della bassa raccolta postale a causa dei tassi bassi. «Cdp è un soggetto delicatissimo, così come le Poste, che va verso la quotazione e la cui raccolta postale sta subendo una pericolosa battuta d’arresto. È un tandem di cruciale rilevanza», sottolinea Galietti. 

La svolta attesa di Telecom

L’uscita di Bassanini potrebbe cambiare le cose, perché potrebbe cambiare il clima dei rapporti umani, ma la direzione della Cdp non è affatto scontata

E ci sarà naturalmente da risolvere la partita della banda larga. È su questa mina che sono saltate le poltrone di Franco Bassanini e dell’ad di Cdp Gorno Tempini. L’idea cara al governo – e al consigliere di Renzi, Andrea Guerra, ex ad Luxottica e futuro presidente di Eataly – di una partecipazione di Telecom Italia in Metroweb è saltata, di fronte alla volontà di Telecom di assumere un ruolo di controllo (per tutelare meglio il valore dei propri asset, cioè della rete in rame). Metroweb Italia, partecipata da Cdp e con Bassanini presidente, ha poi siglato due lettere di intesa, a marzo con Vodafone e a fine maggio con Wind, per dare vita a una “società della rete”, a cui parteciperanno anche Fsi e F2i. Il cambio dei vertici di Cdp è arrivato proprio per lo scontro, anche personale, tra Bassanini e Gorno Tempini da una parte e i vertici di Telecom, Marco Patuano, ad, e Giuseppe Recchi, presidente. Nessuno ha voluto cedere posizioni, né Bassanini, potente al punto da essere stato indicato tra i papabili per il Quirinale, né i vertici di Telecom, relativamente giovani (entrambi del 1964) e con la necessità di non bruciarsi per incarichi futuri.

L’uscita di Bassanini potrebbe cambiare le cose, perché potrebbe cambiare il clima dei rapporti umani, ma la direzione della Cdp non è affatto scontata. Costamagna, ex Goldman Sachs, è stato indicato di volta in volta come vicino a Telecom e a Vodafone. All’epoca del piano Rovati, 2006, che prevedeva una seminazionalizzazione di Telecom, era stato associato allo stesso collaboratore di Prodi, deceduto nel 2013. Di Vodafone è stato invece advisor per il settore fusioni e acquisizioni.

Stefano Riela: «Quello a cui si potrebbe arrivare è invece un ingresso di Telecom nella società della rete, quindi assieme a Vodafone e Wind»

Sembra da escludere un’inversione a U, perché le lettere di intenti tra Metroweb e Vodafone e Wind si avvicinano a essere vincolanti. «Quello a cui si potrebbe arrivare è invece un ingresso di Telecom nella società della rete, quindi assieme a Vodafone e Wind – commenta Stefano Riela, docente di Politica Economica Europea in Bocconi -. Le quali vogliono l’ingresso di Telecom, perché porterebbe capitale e capacità tecniche, ma non vogliono Telecom nel “condominio” in posizione dominante», per cui il nodo rimarrà da sciogliere.

A spingere verso la soluzione del condominio sarebbe anche la struttura dei finanziamenti delle gare. «Si sta andando verso un sistema che, a parità di offerta, premi chi ha una struttura wholesale (di vendita all’ingrosso, come Metroweb, ndr), rispetto a chi è verticalmente integrato, come Telecom Italia – aggiunge Riela -. Questo è l’orientamento dell’Antitrust, d’accordo con l’Agcom, e si pensa che possa rientrare anche nel decreto comunicazioni che è atteso sull’argomento». A proposito di Antitrust, se poi si arrivasse a un accordo tra tutti gli operatori in una società della rete, si aprirebbe il problema di come gestire gare con un solo concorrente, se si escludono poco probabili investitori esteri.

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