Le barriere da abbattere per attrarre gioventù extra-europea

Le barriere da abbattere per attrarre gioventù extra-europea

«Su 22 alunni, 20 sono stranieri. La maggior parte extra-comunitari». Tommaso Melani, responsabile della produzione della Scuola del Cuoio di Firenze, storico laboratorio artigianale che produce a mano borse e cinture, racconta i mille escamotage cui deve ricorrere per far ottenere un permesso di studio alle decine di studenti che ogni anno chiedono di partecipare ai suoi corsi. Per non parlare dei permessi di lavoro di chi vuole assumere. «Non siamo un’università o una scuola riconosciuta, e per consentire ai nostri studenti di fermarsi per sei, dodici mesi, dobbiamo creare delle specie di partnership con scuole di lingua o agenzie formative, facendo alzare il costo dei corsi. Molti storcono il naso, vedono subito noi e l’Italia in una luce strana». Giappone, Malesia, Corea. Soprattutto Asia. Sono queste le provenienze degli studenti più interessati oggi ad apprendere le vecchie tecniche artigianali italiane.

«Porterò la mia ragazza malese in Sicilia per presentarla alla famiglia. Ottenere un semplice visto turistico è stato difficilissimo. Credevano volesse venire in Italia a fare la badante»

Ma ci sono anche giovani extra-europei che provano a entrare in Italia e lavorare perché fidanzati con i nostri expat di ritorno. «Per permettere alla mia ragazza brasiliana – conosciuta in Olanda – di firmare un contratto di lavoro in Italia – nonostante avesse un ottimo curriculum e ricevesse molte offerte – ci siamo dovuti sposare», spiega Alessandro Barba, rientrato in Italia dopo sei anni vissuti oltreconfine. «Nessuna impresa si prendeva la briga di avviare le mille pratiche che le avrebbero fatto ottenere un permesso da lavoratrice dipendente».

«Tra poche settimane porterò la mia fidanzata malese in Sicilia per presentarla alla famiglia», racconta invece Giovanni Geraci, ricercatore a Singapore. «È stato difficilissimo farle ottenere anche un semplice visto turistico. All’ambasciata italiana l’hanno presa per un’immigrata che voleva venire a fare la badante. Ma chi ci vuole venire a lavorare in Italia ora?», dice con rabbia.

«Quando un giovane straniero mette piede in Italia è costretto a scontrarsi con le stesse barriere create per scoraggiare la migrazione povera»

Quando un giovane straniero mette piede in Italia è costretto a scontrarsi con le stesse barriere create per scoraggiare la migrazione povera. E a passare (quasi sempre) attraverso il sistema delle quote di ingresso.

Eppure, il Paese si interroga proprio in questi mesi su come contrastare l’emorragia di giovani italiani che fanno le valigie, anche attraendo talenti stranieri. Alcune corsie preferenziali – di cui parliamo tra pochissimo – sono state create negli ultimi anni, dalla Carta Blu europea ai programmi Italia Startup Visa e Italia Startup Hub. Ma la politica, probabilmente, deve ancora capire e scoprire dove sono in Italia i veri bacini di potenziale attrazione. E come agevolarli.

«Conosco amici artigiani con piccole botteghe che hanno disperato bisogno di nuovi apprendisti», continua Tommaso Melani della Scuola del Cuoio. «Sono anziani, e hanno bisogno di trasmettere a qualcuno le loro conoscenze, altrimenti il laboratorio chiude. Gli italiani non sono per nulla interessati a questi mestieri». Lo sono gli stranieri, soprattutto extra-europei. «Funziona così anche per noi alla scuola di Firenze. Abbiamo costante bisogno di selezionare, tra i nostri studenti migliori, un paio di persone su cui continuare a investire per non far morire il laboratorio. E i migliori, o semplicemente quelli interessati a crescere con noi, sono spesso non italiani. Ma per trattenerli dobbiamo passare attraverso la lotteria delle quote di ingresso». Alla Scuola del Cuoio viene richiesta anche la produzione di private label per altri marchi. Se finora questa è stata fatta a Firenze, Melani spiega che sta considerando l’idea di aprire laboratori ad hoc oltre confine, forse in Austria, dove far lavorare maestranze extra-europee non è così difficile. Fatturato che se ne va dall’Italia.

«Sto pensando di spostare la produzione in Austria, dove far lavorare maestranze extra-europee non è così difficile»

Silvia Cavasola, ricercatrice presso la Luiss di Roma ed esperta di politiche di immigrazione e integrazione, ci guida attraverso ostacoli e corsie preferenziali per extra-comunitari che desiderano lavorare in Italia. «Il tema è certamente al centro dell’attenzione e i primi passi si stanno facendo», spiega. Anche se, dice, i problemi principali continuano ad essere legati al fatto che occorre avere un lavoro prima di entrare in Italia per poter ottenere visto di lavoro e permesso di soggiorno, e sono i datori a dover avviare e seguire le lunghe pratiche burocratiche necessarie. Questo li scoraggia molto dallo scegliere candidati extra-europei.

Nel 2012 l’Italia ha recepito uno strumento introdotto a livello europeo, la Carta Blu. Essa offre la possibilità a «lavoratori qualificati» di lavorare in Italia senza passare attraverso il meccanismo delle quote di ingresso. Si considerano lavoratori altamente qualificati quelli in possesso di un titolo di istruzione superiore, che attesti il completamento di un programma di istruzione superiore post-secondaria di durata almeno triennale. Serve inoltre il possesso di una qualifica professionale superiore che rientri nei «livelli 1 e 2 e 3 della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011».

«Le critiche fatte a questo sistema sono le lungaggini burocratiche per la presentazione dei documenti. E poi il fatto che i meccanismi non mutano: sono sempre i datori di lavoro a dover presentare domanda presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione, e occorre avere un’offerta di lavoro già prima di entrare in Italia», spiega Cavasola.

L’Italia ha iniziato a muoversi verso l’attrazione di capitali e talenti stranieri con i programmi Carta Blu, Desk Italia e Italia Startup Visa»

Un tema su cui tutta l’Unione Europea sta lavorando è quello dell’attrazione di extra-comunitari con consistenti disponibilità economiche. «In assenza di liquidità, si vuole facilitare l’accesso a chi potrebbe portare denaro e investimenti», spiega Silvia. Anche l’Italia ha provato a muoversi in questa direzione. Nel 2012, all’interno del Decreto Crescita 2.0 di Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico durante il Governo Monti, è stato creato il Desk Italia, uno sportello in seno al Mise (ministero Sviluppo Economico), pensato come interlocutore unico per tutti gli imprenditori stranieri intenzionati a investimenti produttivi e industriali in Italia. «Se prima occorreva rivolgersi a vari enti e agenzie sparsi sul territorio, ora tutte le pratiche sono centralizzate», spiega Cavasola.

Sempre il Mise, e sempre la squadra creata e coordinata da Passera, hanno avviato i programmi Italia Startup Visa e Italia Startup Hub. Giovanni Cucchiarato è un avvocato che presta servizio presso iTalents, l’organizzazione nata per mettere in rete i talenti italiani all’estero. È al lavoro per offrire assistenza a chi tra loro desidera rientrare in Italia, facendo da ponte tra i programmi avviati dal governo italiano e i talenti all’estero. «Questi due programmi – spiega – offrono una corsia agevolata per stranieri extra-comunitari che intendono ottenere un visto da lavoratori autonomi in Italia». Insieme a incentivi fiscali e velocizzazioni burocratiche. «Una commissione composta da un membro del Mise e da rappresentanti di diverse associazioni (business angels o incubatori di imprese) vaglia i curricula e i business plan inviati dai potenziali startupper extra-Ue. Se l’idea soddisfa i criteri di innovazione tecnologica previsti dal programma, ed è ritenuta valida dalla commissione, allora si avviano le procedure accelerate per rilascio di visto e permesso di soggiorno. La legge prevede che tutto debba accadere in 30 giorni», spiega Cucchiarato. Da questo programma è nato Startup Hub, che funziona nello stesso modo ma si rivolge a studenti o lavoratori extra-Ue già presenti in Italia, e che vogliono mutare il loro attuale permesso di soggiorno in uno di lavoro autonomo.

«È un progetto nuovo, che ci mette nella giusta direzione», commenta Silvia Cavasola. Ma, commenta Cucchiarato, è stato poco promosso all’estero per mancanza di fondi adeguati. «A fine 2014 i partecipanti erano stati solo una decina», aggiunge.

«Ogni intervento mirato all’attrazione di talenti stranieri deve essere accompagnato da una politica industriale che renda facile la vita delle imprese»

«Aumentare il numero delle quote di ingresso potrebbe essere un’opzione valida», continua Silvia Cavasola. Ma anche lavorare alle politiche di ricongiungimento. «In una nazione senza Pacs e coppie di fatto, il matrimonio è l’unica via per chi vuole portare con sé in Italia il proprio partner extra-europeo. Inoltre, programmi speciali come Carta Blu non prevedono facilitazioni per i ricongiungimenti con mogli o mariti.

Infine, chiude Silvia, ogni intervento mirato all’attrazione di talenti stranieri deve essere accompagnato da una politica industriale più ampia, business friendly». Che si traduce in semplificazioni burocratiche e iniezione di liquidità. «Puoi facilitare i livelli di ingresso quanto vuoi, ma se non rendi più semplice la vita delle imprese, è inutile».

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