«Dopo un biennio debole finalmente abbiamo chari segnali di ripresa». Così è iniziata la relazione del presidente del Sistema Moda Italia, Claudio Marenzi, all’assemblea dell’associazione confindustriale che raggruppa tutta la filiera del tessile e abbigliamento, da monte a valle. La ripresa nel settore non è da “prefisso telefonico”, per prendere a prestito le parole di Giorgio Squinzi, presidente degli industriali italiani. Il fatturato del settore è salito nel 2014 del 2,7% e nel 2015 le stime sono di una ulteriore accelazione: +3,8 per cento. Merito delle esportazioni. Cresciute del 3,8% lo scorso anno, dovrebbero volare: +6,8% è l’attesa per l’anno in corso. Quanto basta per aspettarsi un saldo commerciale in salita, nonostante le importazioni continuino la loro corsa.
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Si è anche interrotta la dinamica negativa dei consumi: dopo anni di segno meno (fino al -10% del 2012), il 2014 ha visto un tenue +0,3%, viziato però dalla domanda intra-filiera. Se si guarda al solo sell-out, si deve contabilizzare una nuova flessione, pur in decelerazione rispetto agli anni recenti: -2,9% in termini correnti. Nel 2015 le cose dovrebbero cambiare: il sell-out domestico “dovrebbe finalmente tendere a una stabilizzazione, sostenuto anche dall’effetto propulsore rappresentato dal canale digitale”, recita la nota Smi, mentre il tenendo conto anche della domanda intra-filiera il consumo dovrebbe salire dell’1,7 per cento.
Le previsioni sul primo semestre 2015 all’inizio dell’anno da Smi-Liuc sono state ridimensionate
Tutte stime che comunque saranno da verificare. Le previsioni sul primo semestre 2015 all’inizio dell’anno da Smi-Liuc sono state ridimensionate: ci si attendeva una crescita del 2,8%, è stata solo dell’1,9% (con il tessile in flessione dell1,1% e l’abbigliamento-moda in salita del 3,2%), perché gli effetti del Quantitative Easing della Bce non dato ancora gli effetti sperati.
Quello che invece rimane, come un’ombra su tutto il comparto, è il calo del lavoro: la ferita è tamponata ma la guarigione è molto lontana. «Nel corso del 2014 non si è interrotta l’erosione in termini di aziende e addetti al settore in tutto il territorio nazionale», recita una nota del Smi. «Le aziende mostrano una contrazione media annua del 2%, corripondente a un migliaio di unità cessate, che porta a stimare 47.619 imprese attive». «Sul fronte del mercato del lavoro, gli occupati scendono a 406.619, facendo registrare una flessione del -1,4%, cui corrisponde una perdita occupazionale di oltre 5.900 lavoratori».
Quello che invece rimane, come un’ombra su tutto il comparto, è il calo del lavoro: dal 2009 l’emorragia nel settore è stata di 76mila lavoratori e nel 2015 le cose non miglioreranno
Dal 2009 l’emorragia nel settore è stata di 76mila lavoratori. Nel 2015 le cose non miglioreranno, nonostante la crescita del fatturato attesa. Ci sarà una discesa di un altro 0,4%, pari a 1.600 lavoratori.
Quanto durerà questo scenario da jobless recovery? «Non è un settore in cui dobbiamo attenderci un aumento dell’occupazione nei prossimi anni», sottolinea Marco Fortis, docente di Economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison. «In questi anni nelle aziende che sono rimaste sul mercato c’è stato un aumento di produttività. C’è stata un’innovazione non solo data dalle macchine, ma anche di prodotto: con meno persone più specializzate si riesce ad aumentare la produzione». Continuerà dunque una produzione con meno addetti, anche se «queste imprese generano un indotto che non viene contabilizzato nelle statistiche settoriali. Pensiamo al caso di Brunello Cucinelli, che ha rimesso a posto un borgo medievale».
Il professore della Cattolica mette in luce la ripresa delle “4 A” del Made in Italy (abbigliamento, alimentare, arredamento e automazione-meccatronica), a cui sta dando un contributo il sistema della moda. Nell’abbigliamento, in particolare, ha sottolineato, «stanno emergendo province produttive nuove, non più su base distrettuale, ma dove si sviluppano imprese leader, che diventano datori di lavoro di intere cittadine. Questo sta avvendendo ad esempio in Umbria, nella bassa Toscana e nelle Marche».
La lettura di Claudio Marenzi sul calo del lavoro chiama in causa il forte peso dell’export nel settore. «L’export premia imprese specifiche, che producono beni di alta qualità e che non hanno una forte incidenza sui posti di lavoro. Al contrario, a soffrire sono soprattutto le piccole e medie imprese, che non esportano. La responsabilità, però, va attribuita anche alle banche, che non hanno aiutato le Pmi in difficoltà».
Luisa Ferraini, Confindustria: «Se le sanzioni alla Russia si inaspriranno ancora, perderemmo altri 2,5 miliardi di euro. E le nostre imprese non tornerebbero più»
L’export, grande risorsa del sistema della moda, è però messo a rischio su vari fronti, a partire dalle possibili nuove sanzioni alla Russia e al rischio che seguano nuovi blocchi alle esportazioni nel Paese, dopo quelli dell’agroalimentare decise da Mosca nei mesi scorsi. «In questo settore le sanzioni ci hanno penalizzato moltissimo», spiega Luisa Ferraini, vice presidente per l’Europa Confindustria. «Per creare un mercato estero ci vogliono anni e investimenti enormi. Poi basta che ci sia una crisi come quella in Ucraina e ci ritroviamo tutte le porte chiuse. Se le sanzioni si inaspriranno ancora, perderemmo altri 2,5 miliardi di euro. Ieri Obama al G7 ha deciso di inasprire le sanzioni. Speriamo che nessuno dei leader europei lo segua, perché altrimenti noi in Russia non torneremo mai più».
Il secondo fronte che preoccupa le aziende della moda è il Vietnam, e non in senso metaforico. «C’è una trattativa tra Ue e Vietnam, e noi come Confindustria faremo di tutto per bloccarla: basterebbe che una piccola rifinitura fosse fatta in Europa, perché un prodotto realizzato in Vietnam entri in Europa a dazio zero», ha detto Luisa Ferraini.
Il terzo, ma primo per importanza, è la battaglia sul “made in”, che si sta giocando in Europa. Ossia le regole sulla tracciabilità della filiera dei prodotti. «L’ultimo Consiglio Competitività è rimasto in una fase di stallo: c’è stata una difesa di Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico, che si è battuto come un leone. L’Europa è divisa in due blocchi: Nord contro Sud, con la Germania a fare da pivot del Nord. Io penso che l’Europa sia nata sul compromesso e un compromesso si dovrà trovare anche ora. Per noi è essenziale arrivare a un accordo entro fine anno. Ci sono cinque settori sulla cui tutela non possiamo prescindere, tra cui quello della moda».
La responsabilie di Confindustria ha invece speso parole rassicuranti sul Ttip, il trattato commerciale Usa-Ue ancora in fase di costruzione. «È necessario farlo. Quello americano è un mercato che cresce a doppia cifra. Non possiamo pensare di non affrontare il Ttip».