Immaginate una piccola officina autosufficiente in grado di trasformare i materiali che ha a disposizione in altri di cui ha bisogno. Niente di diverso da quello che fa un lievito, capace di trasformare una sostanza in un’altra necessaria per la sua sopravvivenza. È così che lo zucchero viene trasformato in etanolo da Saccharomyces cerevisiae, lievito particolarmente caro agli amanti della birra, perché proprio alla base della produzione dell’antica bevanda alcolica. Ed è così che i ricercatori dell’Università della California sono riusciti a far produrre allo stesso lievito la morfina, come spiega un articolo pubblicato su Nature. O meglio, sono riusciti a trasformare il glucosio in reticolina, il precursore chimico della morfina, della codeina e degli altri oppiacei, completando il processo di produzione della morfina tramite lievito, finora fermo alla sola seconda parte del ciclo. Facile pensare che come viene prodotta la birra in casa fra poco potremmo produrre la morfina, ma le cose non sono esattamente così semplici.
Innanzitutto stiamo parlando di un processo molto complesso, perché il lievito non si trova al supermercato ma va “ingegnerizzato”. Oggi attraverso l’ingegneria genetica abbiamo la possibilità di manipolare il genoma dei microorganismi, modificando i geni già presenti o inserendone di nuovi, in modo da cambiare le “istruzioni” di produzione di quel microrganismo e produrre ciò che desideriamo. Lo stesso processo è già utilizzato da diversi anni dai ricercatori, per produrre per esempio l’artemisinina, il più potente antimalarico di cui disponiamo oggi, principio attivo estratto da una pianta, l’Artemisia annua, oggi prodotto con questo processo.
«L’estrazione dalla pianta, nonostante sia complessa, è comunque meglio della sintesi chimica, ma il lievito opportunamente istruito è il sistema migliore»
Il perché è semplice, come spiega a Linkiesta Paola Branduardi, professoressa di Chimica e Biotecnologia delle Fermentazioni, presso l’Università di Milano Bicocca: «È vero che si tratta di processi molto lunghi e complicati, che richiedono tante ingegnerizzazioni, anche molto fini e complesse, e diversi enzimi per trasformare le molecole di partenza in quella che vogliamo, ma è comunque il processo con la resa più alta e nel lungo periodo meno complesso. Quando i prodotti derivano dalla piante, come nel caso del papavero o dell’Artemisia, c’è il problema che queste banalmente non possono essere coltivate ovunque, serve che la stagionalità sia favorevole, alcune volte i prodotti sono solo nei fiori, alcune volte la stagionalità prevede che quell’anno non ci sia alcuna raccolta e così via. Le piante poi producono diversi composti tutti simili fra di loro e separare quello che vogliamo dal resto del “calderone” non è così semplice. L’estrazione dalla pianta, nonostante sia complessa, è comunque oggi ancora meno costosa della sintesi chimica, ma il lievito opportunamente istruito pone le premesse per sviluppare il sistema più sostenibile».
Un altro vantaggio è che questo sistema di produzione potrebbe anche consentirci di produrre antidolorifici più economici o con meno effetti collaterali e così via. Dal papavero da oppio (Papaver somniferum), infatti, vengono prodotti antidolorifici oppiacei, come l’ossicodone e idrocodone, usati nella terapia del dolore. «Una volta perfezionata questa nuova strada per ottenere la molecola della morfina così come già la conosciamo – continua Branduardi – potremmo infatti intervenire con altri processi per modificarla a nostro piacimento, per ridurre gli effetti collaterali, renderla più efficace a bassi dosi, o far sì che crei meno dipendenza».
«Ma sarà davvero così facile produrre la morfina in cantina come si fa con la birra? Non è esattamente di questo parere Paola Braduardi, che rassicura prima di tutto sul fatto che non si tratta di lieviti “normali” ma da laboratorio»
Di contro però ci sono degli effetti negativi da non sottovalutare, come scrivono gli stessi autori del lavoro. Se da una parte si tratta di una scoperta sensazionale che apre nuove prospettive per la produzione di farmaci antidolorifici, dall’altra c’è il pericolo che finita nella mani sbagliate possa alimentare il mercato nero delle sostanze d’abuso. Ma sarà davvero possibile produrre la morfine in cantina come si fa con la birra? Non è esattamente di questo parere Paola Braduardi, che rassicura prima di tutto sul fatto che non si tratta di lieviti “normali” ma da laboratorio, e che gli enzimi necessari per ingegnerizzare il lievito non si trovano così facilmente. «Questi enzimi generalmente vengono ordinati da altri laboratori specializzati che lo fanno come servizio, e quando vengono richiesti parte un alert, per cui vengono richieste una serie di informazioni sull’acquirente. Va da sé che se si tratta dell’Università di Milano-Bicocca o un laboratorio conosciuto non c’è problema, ma in casi di acquirente non certificato la fornitura non va a buon fine. In qualche modo il processo ingegnerizzazione si può tenere sotto controllo. Parliamo poi di processi delicati, che non possono essere eseguiti nel sottoscala e da persone chiunque. È chiaro che se uno poi ha accesso a una facility di un certo livello e ha delle opportune competenze, allora è diverso».
Il sistema, come spiegano gli autori è ancora da perfezionare, ma nel giro di qualche anno dovrebbe andare a regime e sarà pronto per essere utilizzato.
Il sistema, come spiegano gli autori è ancora da perfezionare, ma nel giro di qualche anno dovrebbe andare a regime e sarà pronto per essere utilizzato. Nonostante i rischi si tratta di una scoperta importante e che potrebbe portare notevoli vantaggi. Ogni volta che il progresso scientifico ci offre qualcosa di nuovo porta con sé benefici e rischi, e sta a noi, e in particolare alla autorità che si occupano di sorveglianza e controllo, evitare abusi e gestire ciò che la ricerca ci offre. «Gli stessi autori dicono “vi stiamo offrendo un risultato fantastico” – conclude Branduardi – “ora aiutateci a tenerla sotto controllo”».