Maurizio Sarri, l’operaio del pallone figlio di operai e basta, di quelli che passano tutto il giorno in fabbrica. Maurizio Sarri, quello che si è formato per anni in provincia, prima della grande occasione. Maurizio Sarri, quello che dopo un anno di A salva l’Empoli, manda un altro operaio del pallone come Valdifiori in Nazionale e viene invitato a Coverciano a dare lezioni di tattica. Ma soprattutto Maurizio Sarri, l’allenatore giusto del Napoli con due anni di ritardo. Una motivazione prima di tutto economica.
In due anni in oggetto sono quelli d’era di Rafa Benitez. Chiamato a Napoli da Aurelio De Laurentiis nei fasti del dopo Cavani, il tecnico spagnolo che ha imparato l’italiano per studiare sugli appunti di Arrigo Sacchi arrivò in azzurro con l’obiettivo di fare del Napoli una realtà europea. La squadra era reduce dal secondo posto ottenuto da Walter Mazzarri in campionato, dietro una Juve come quella di Antonio Conte che dopo aver preso la rincorsa con il primo sorprendete scudetto non la fermavi nemmeno a mazzate. Mazzarri e il Napoli però si erano presi una Coppa Italia proprio contro i bianconeri, oltre alla soddisfazione di qualificarsi agli ottavi di Champions League, persi poi ai supplementari contro i futuri campioni del Chelsea. Se i Blues, dopo la sconfitta dell’andata al San Paolo, non avessero cacciato André Villas Boas, magari il Napoli avrebbe fatto qualche passetto in più in Europa, ma questa è un’altra storia.
Il Napoli ha ambizioni, De Laurentiis pensa in grande. Lo ha preso quando ancora boccheggiava nella vecchia cara Serie C e l’ha portata in A, ripulendo i bilanci e chiudendoli in attivo per più anni consecutivi. Ma dopo averla stabilizzata in Italia, senza vincere però lo scudetto, il produttore cinematografico pensa più in là. Pensa all’Europa. Affamato sostenitore di progetti calcistico-sovranazionali come la Superlega Europea, vuole fare sedere il club al buffet delle grandi. E per farlo, ha bisogno di soldi e di un allenatore abituato a vincere. E proprio a Londra, sponda Chelsea, ce n’è uno che nonostante abbia appena vinto l’Europa League, i tifosi non lo apprezzano (per usare un eufemismo). Quella coppa è la seconda dopo quella vinta al Valencia. Alla quale va aggiunta la Champions vinta con il Liverpool in quella pazza sera di Istanbul nel 2005.
Rafa Benitez è il nome giusto, insomma. Vittorioso nelle coppe e meno nei campionati nazionali, rappresenta quel salto doppio che De Laurentiis vuole imporre al Napoli. Ma il nome non basta ad aizzare i tifosi. Per farli arrivare all’aeroporto urlanti ai limiti del delirio ci vuole l’acquistone. Il club come detto ha dei bilanci specchiati, ma per andare sul mercato ci vuole il cash fresco, subito. Ci pensano gli sceicchi, pagando Cavani 64,5 milioni. Ecco che a Napoli arriva una batteria di 10 giocatori, con il colpaccio Higuain e assegni totali per 85 milioni di euro. In parte De Laurentiis ammortizza con i diritti d’immagine, che pretende al 100% per sé, ma con Gonzalo fa uno strappo alla regola.
Ma il presidente commette un errore fatale. Quello che commettono molti, in Italia: basare le proprie finanze su diritti tv e, appunto, player trading. Le cosiddette plusvalenze sono un marchio di fabbrica del nostro calcio. Ma puntare sulla vendita dei giocatori facendo cassa con la plusvalenza e riutilizzarle per comprare altri giocatori è come vedere un vane che prova a mordersi la coda. Prima o poi si stanca. E così, anche il bilancio va in sofferenza, perché quello dei giocatori è un mercato troppo fluttuante, dove i valori possono salire ma anche crollare rapidamente nel giro di mezza stagione. E se non ha i una struttura in gradi di assorbire eventuali perdite – e nel frattempo magari non riesci a confermarti nemmeno in Champions con i suoi ricchi premi – il deficit è servito. Quello che con ogni probabilità colpirà il Napoli per la prima volta dopo anni nel prossimo bilancio.
Non è un caso che anche club notoriamente bravi a sfruttare le plusvalenze come l’Udinese, stia lavorando per avere il prima possibile uno stadio privato. Per combattere le eventuali perdite legate al player trading c’è bisogno di una base sicura di ricavi, ad esempio quella derivante dal matchday o legate la marketing. A Napoli, niente di tuto questo è avvenuto, nonostante le maglie prodotte dalla Macron per il Napoli siano state quelle straniere più vendute in Inghilterra. Per accontentare Benitez e i sogni di gloria europea, conclusi quest’anno con il fallito ingresso in Champions e l’uscita dalla semifinale di Europa League, il Napoli ha speso in due anni 131 milioni di euro, mettendo in bacheca due coppe nazionali (Coppa Italia e Supercoppa Italiana) e centrando solo una volta la qualificazione ai preliminari di Champions, poi falliti come detto. De Laurentiis non sbaglia a cercare l’Europa, certo, perché dal punto di vista dei profitti paga molto bene. Se si guarda l’ultima torta dei ricavi del club, in relazione al bilancio 2013/14, si nota che dopo il 65% degli introiti legati ai diritti tv (107,1 milioni di euro) il 22% (36 milioni) è legato al commerciale e solo il 13% (quasi 21 milioni) alla biglietteria: ma quest’ultima voce risulta in crescita del 38% (corrispondenti a 5,8 milioni in più) grazie alle tre gare giocate dal Napoli in Champions contro Borussia Dortmund, Marsiglia e Arsenal. Immaginate quanto avrebbe potuto incamerare in più club se si fosse dotata nel corso degli anni di una struttura privata, più comoda, accogliente ed in grado di generare ricavi costanti grazie anche ai bonus degli sponsor e al marketing dei punti vendita interni allo stadio.
Senza la Champions, il Napoli deve fare di necessità virtù. Magari cedendo Higuain, dal quale potrebbe comunque realizzare una plusvalenza di più di 20 milioni di euro, ma sempre al punto di prima si torna. E qui entra in scena Sarri. L’operaio del pallone. Ma anche la necessità di “normalizzare” il Napoli. In questo senso, il tecnico di origine napoletana ma cresciuto in Toscana è il trait d’union giusto. Normalizzare il Napoli non significa renderlo meno forte. Anzi, significa finalmente per il club impostare un progetto a lungo termine, puntando alla grandeur ma partendo dalle basi.
Con meno profitti e quindi meno da spendere, Sarri è quel tecnico che a differenza di Benitez non ti chiede puntualmente acquisti di livello ogni volta che si avvicina una finestra di mercato. Parliamo di un allenatore abituato a fare tanto con nomi poco famosi: alzi la mano quanti oggi applaudono il romagnolo Valdifiori potevano dire di conoscerlo davvero un anno fa. E poi c’è la valorizzazione di giovani come Rugani, o la rivalutazione di altri come Saponara: un aspetto importante, in un club che pur nella carenza di strutture (come lamentato anche da Benitez) ha un settore giovanile dove alcuni ragazzi interessanti come Luperto scalpitano. Per non parlare di ragazzi come Insigne e – perché no Ciro Immobile (se ne sta parlando molto, di un ritorno in Italia), vogliosi di ripartire per conquistarsi un posto all’Europeo francese fra un anno.
Ridimensionarsi per ripartire, dunque. Anzi, per stabilizzarsi. La Juve lo ha fatto in Italia, prima di centrare una finale europea. Si è dotata di uno stadio, ha puntato sul marketing anche in versione digitale, si sta dotando di regional sponsor sul modello del Manchseter United. In Europa puoi anche vincere senza passare dal campionato nazionale come il Siviglia, che però ha una accademia per i giovani dalla quale sono passati diversi campioni. Se il Napoli investe nelle strtutture per la Cantera e li affida in prima squadra a Sarri, il gioco è fatto. Non è un caso che gli sia stato affiancato Nicola Giuntoli, direttore sportivo cresciuto anche lui nei dilettanti e protagonista della costruzione del Carpi, passato in pochi anni dall’Eccellenza alla Serie A. Di lui dicono che andasse in giro sempre per i campi della bassa emiliano-romagnola, per vedere di persona e all’occasione opzionare, senza lavorare per sentito dire.
Il tutto, mentre casualmente il club ha intensificato i rapporti con il Comune di Napoli per il rifacimento dello stadio San Paolo, uno dei più grandi dinosauri di Italia ’90: “Ci avviamo ad avere uno stadio che segue i più moderni standard europei, con una capienza di circa 42.000 posti. La media degli stadi inglesi è di circa 45-50.000 posti, ci si attesterà su quelle cifre”, ha spiegato di recente l’assessore allo Sport, Borriello. Lo standard europeo arriverà per il Napoli. Ma dovrà passare dall’Italia. E da un tecnico operaio.