Quando, nelle prime ore di mercoledì 27 maggio, è andato in scena l’atto finale – sei dei massimi dirigenti della Fifa sono stati arrestati in un lussuoso hotel a cinque stelle nel centro di Zurigo, dov’erano per il congresso annuale dell’organizzazione – chi segue anche solo distrattamente le vicende del massimo organo di governo del calcio mondiale non ha reagito con stupore, ma si è chiesto piuttosto come mai ci fosse voluto così tanto tempo.
L’indagine che ha portato agli arresti, partita negli Stati Uniti, ha incriminato due vicepresidenti attuali (ce ne sono otto) e un ex vicepresidente; nonché un ex membro e un membro attuale del Comitato esecutivo (formato da quindici membri), più una serie di altri dirigenti e collaboratori e alcuni manager di società di marketing, per un totale di 14 persone.
L’accusa è di aver fatto parte di un sistema di corruzione internazionale «dilagante, sistemica e radicata», nelle parole del procuratore generale statunitense Loretta Lynch, che ha al suo attivo, secondo l’accusa, una serie infinita di illegalità – i capi d’imputazione sono 47 – tra cui il pagamento di 10 milioni di dollari di tangenti per assegnare i Mondiali del 2010 al Sudafrica, vent’anni di corruzione per i diritti media della Coppa America, e una pioggia di soldi (si parla di 150 milioni di dollari) che le società di marketing hanno pagato ai dirigenti Fifa per assicurarsi i diritti sugli eventi calcistici più importanti del mondo, Mondiali compresi, che poi giravano agli sponsor e alle emittenti televisive.
Una settimana dopo gli arresti, il presidente Sepp Blatter – in carica dal 1998, ma già figura-chiave dell’organizzazione dai tempi del suo predecessore João Havelange – ha rassegnato a sorpresa le dimissioni.
È il finale di una storia che ha molti caratteri della farsa, se non fosse che l’assegnazione dei mondiali del 2022 al Qatar è direttamente responsabile della morte di migliaia di operai immigrati che lavorano alla costruzione delle strutture nel Paese arabo.
Chi rappresenta al meglio gli aspetti più tragicomici della vicenda è un personaggio che, in questi giorni, è al centro della scena. L’uomo che ieri, secondo quanto riportato dai media americani, ha ammesso fin dal 2013 alle autorità giudiziarie Usa di aver ricevuto tangenti per l’assegnazione dei campionati del mondo di calcio del 1998 e del 2010 e ha cominciato a collaborare con gli inquirenti promettendo di dire quello che sa di un sistema che conosce bene e di cui ha beneficiato in prima persona.
Blazer si era guadagnato negli anni il soprannome di “Mr Ten Percent”
Si chiama Charles “Chuck” Blazer, è stato segretario generale della confederazione calcistica per il Nordamerica, il Centroamerica e i Caraibi (Concacaf) dal 1990 al 2011 e membro del comitato esecutivo della Fifa dal 1997 al 2013. Blazer può essere preso ad esempio delle storture del funzionamento della Fifa e dello stile di vita sopra le righe di alcuni degli uomini più vicini a Blatter.
L’aneddoto più celebre che riguarda Chuck Blazer, nato negli Stati Uniti nel 1945, riguarda la sua passione per i felini. Secondo diversi media americani, Blazer ha affittato a lungo due appartamenti nella famosa Trump Tower di Manhattan: uno per sé e uno per i suoi gatti. Potrebbe essere una legittima stravaganza, se non fosse che il suo ex capo alla Concacaf Jack Warner – un altro personaggio colorito, coinvolto pesantemente lui stesso negli scandali – lo ha accusato di aver pagato casa sua con i fondi della federazione calcistica.
D’altra parte, Blazer si era guadagnato negli anni il soprannome di “Mr Ten Percent”, il signor dieci per cento, come da titolo di un lungo profilo che gli dedicò lo scorso anno Buzzfeed. Nel 1990, quando lui e Jack Warner erano appena arrivati ai vertici della Concacaf, Blazer firmò un contratto che assegnava una commissione del 10 per cento su tutti gli accordi di sponsorizzazione della federazione alla sua società Sportvertising.
La scalata ai vertici del calcio americano di Blazer unisce una storia da self-made man a un innegabile istinto commerciale. Lui, personalmente, non ha mai giocato allo sport, ma ha cominciato ad interessarsene alla fine degli anni Settanta, facendo da allenatore per la squadra del figlio a New Rochelle, una cittadina dello stato di New York.
Se oggi il calcio negli Usa è diventato una potenza economica, è anche merito di Chuck Blazer
Allora il calcio in Nordamerica era largamente ignorato, con poche migliaia di spettatori per gran parte delle partite della Nasl, il massimo campionato tra Stati Uniti e Canada – nonostante vi giocassero vecchie glorie del calcio europeo come Pelé e Franz Beckenbauer. La nazionale statunitense non si qualificava a un Mondiale dal 1950. Se oggi il calcio negli Usa è diventato una potenza economica e ha aumentato enormemente il numero dei giocatori e degli spettatori, è anche merito di Chuck Blazer.
Dopo aver fatto carriera negli organismi del calcio regionale statunitense, Blazer ebbe l’intuizione fondamentale della sua carriera. Fino a tutti gli anni Ottanta, la Concacaf era un piccolo ente con un bilancio da poche centinaia di migliaia di dollari e in mano ai Paesi centroamericani, gli unici in cui lo sport avesse una vera tradizione.
Ma, come nella Fifa, i voti delle singole federazioni si equivalgono, e la Concacaf era formata da ben 41 enti nazionali, da quella messicana in rappresentanza di un Paese di cento milioni di abitanti a quella delle Barbados, isola di 250 mila persone. E le nazioni caraibiche erano ben 31.
Blazer si alleò quindi con Jack Warner, un ex maestro di scuola e dirigente calcistico di Trinidad e Tobago che conosceva dal 1984, per scalare la federazione continentale stringendo alleanze con le nazioni più piccole e superare così facilmente il blocco dei paesi centroamericani. Nell’aprile del 1990 Warner venne eletto presidente della Concacaf a larghissima maggioranza – battendo il presidente uscente, messicano – e nominò Blazer segretario generale.
Poi venne il contratto del 10 per cento, che diede una svolta definitiva alle sue finanze (fino a un anno prima, Blazer era disoccupato) e l’inizio del lavoro per fare degli Stati Uniti una potenza calcistica. Warner e Blazer spostarono la sede della Concacaf da Città del Guatemala a New York, nello stesso grattacielo di Manhattan da dove, di lì a qualche anno, sarebbe emersa la stravaganza abitativa felina.
Dalla nuova sede, Blazer prese a organizzare tornei ambiziosi per il mercato statunitense e messicano, come la prima Gold Cup, di cui riuscì a vendere i diritti alla grande emittente messicana Televisa. Questo portò a un netto aumento delle entrate per la federazione – e alla crescita delle commissioni che il contratto del 1990 gli garantiva. Blazer promosse la nascita della nazionale femminile Usa e fu decisivo per l’assegnazione agli Stati Uniti dei Mondiali del 1994.
Nel frattempo, non faceva nulla per nascondere il suo stile di vita stravagante. Ha tenuto per molto tempo un blog, Travels with Chuck Blazer and His Friends, che mostra tutt’oggi nella testata il tenutario vicino a Nelson Mandela nella cabina di un aereo. Nei suoi post ha pubblicizzato il suo grande amore per l’abbigliamento stravagante – si possono trovare foto di Blazer travestito da pirata o da diavolo o da Babbo Natale – nonché i suoi incontri con gran parte delle persone più famose del mondo, da papa Giovanni Paolo II a Vladimir Putin.
Poi sono cominciati ad emergere gli aspetti meno rigorosi, per così dire, della sua gestione, altrettanto vari e fantasiosi come i suoi travestimenti. È stato incriminato nel 2011 per evasione fiscale e per aver mantenuto una rete di conti offshore a cui destinava, secondo l’accusa, parte dei soldi della federazione. Blazer si dovette dimettere dai vertici della Concacaf, ma le inchieste sono continuate. Un rapporto del 2013 ha denunciato l’acquisto di un Hummer con i soldi federali, al prezzo di quasi 50 mila dollari.
Dopo il primo arresto, Blazer si è dichiarato colpevole di associazione a delinquere, evasione fiscale e riciclaggio di denaro, tra le altre cose. È diventato un collaboratore della giustizia americana davanti al rischio di vent’anni di carcere e ha accettato di indossare un microfono per raccogliere prove dall’interno sul giro di mazzette di cui ha fatto parte per molti anni. Sembra che soffra di un cancro al colon e nel frattempo il suo ex alleato Jack Warner ha cominciato a lanciare contro di lui accuse molto pesanti.
La storia di Blazer è solo uno dei tanti casi di dirigenti molto ambiziosi e altrettanto poco rigorosi che hanno potuto prosperare, ai massimi livelli, sotto il dominio della Fifa da parte di Blatter. L’anziano dirigente ha annunciato le sue dimissioni – un nuovo congresso per eleggere il successore si terrà solo il prossimo dicembre – ma lascia un’organizzazione con un’enorme liquidità finanziaria nonostante sia formalmente una no-profit; con regole poco chiare e poco applicate; con un meccanismo di governo che si basa su un Comitato esecutivo quasi onnipotente e non trasparente. Anche senza Blatter, ci sarà molta strada da fare prima che il governo del calcio riacquisti credibilità.