TaccolaSono i commessi che salveranno i negozi ai tempi di Amazon

Sono i commessi che salveranno i negozi ai tempi di Amazon

La crisi sta finendo. Grexit permettendo, il 2015 è cominciato bene per quanto riguarda i consumi. Ora per chi di mestiere fa il venditore è arrivato il momento di guardare a cosa è successo dietro il velo della grande Crisi e dei suoi effetti devastanti. La tecnologia e la demografia stanno cambiando il mondo in cui gli oggetti saranno comprati e venduti. Solo chi saprà gestire queste due leve potrà sopravvivere, e per farlo dovrà avere competenze che oggi non ha. In altri termini, lavoratori formati meglio, ma anche nuove figure, dagli scrittori ai mediatori culturali. Se c’è un punto che più di ogni altro è tornato nella mattina dedicata all’Osservatorio Non Food di Gs1 Italy/Indicod-Ecr, è l’insistenza sul fattore umano come chiave per il successo, anche al tempo di Internet e della crescita sempre più veloce dell’e-commerce. E c’è un ritorno a sorpresa: quello dei centri cittadini, che sembrano sul punto di prendersi una rivincita sui centri commerciali come luoghi di shopping. 

Consumi ancora in calo

Non è vero, come ha rilevato l’Istat, che i consumi di beni non alimentari sono cresciuti dello 0,6% nel 2014. C’è stata una discesa dell’1,4%

L’Osservatorio, realizzato in collaborazione con TradeLab, dal 2002 monitora in modo sistematico il settore dei beni non alimentari. E comincia con una smentita coraggiosa. Non è vero, come ha rilevato l’Istat, che i consumi di beni non alimentari sono cresciuti dello 0,6 per cento nel 2014. Il dato rilevato dall’Osservatorio è piuttosto una nuova discesa: -1,4 per cento (le differenze si spiegano per una diversa metodologia di raccolta dati). Meno di quello del 2013 (-3,5 per cento), e quanto basta per far dire a Marco Cuppini, direttore della ricerca e comunicazione di Gs1 Itay, che «dobbiamo prenderlo come un segnale incoraggiante. Potremmo usare l’hashtag “renziano” #cambiaverso, sperando che non sia piuttosto un #nonfoodstaisereno». A rendere più ottimistico il quadro è il fatto che i dati sono andati migliorando nel corso del 2014. «E all’inizio del 2015 sono arrivati segnali di uscita tecnica dalla crisi», ha aggiunto Luca Zanderighi, fondatore e partner di TradeLab. «Il punto – ha aggiunto – sarà la dimensione della crescita. Il segno “più” non basta: con una crescita sotto l’un per cento di occupazione non se ne crea».

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Uomini e donne nuovi

Per uscire da una situazione che nella sola distribuzione moderna, teoricamente quella con le spalle più robuste, ha visto chiudere alle insegne il sette per cento dei propri punti vendita dal 2010 al 2014, aggiunge Zanderighi, «ci vogliono uomini e donne che siano capaci di gestire il processo di cambiamento e di sfidarlo». Soprattutto su due fronti. «La crisi è stata molto più profonda delle precedenti per durata e intensità – spiega -. Questo stress ha fatto da velo a due elementi chiave su cui si giocherà la crescita del Paese: la tecnologia e la demografia. Sarà la capacità di gestire questi due cambiamenti a far sì che un’impresa sia “disrutpting” (dirompente) o “disrupted”. La chiave è la preparazione delle risorse umane e per questo bisogna investire in formazione. Anche dal punto di vista della tecnologia, non dobbiamo illuderci che basti avere la banda larga perché le cose cambino: le imprese devono darsi da fare».

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Anche per Fabrizio Valente, partner fondatore della società di consulenza per il retail Kikilab, membro italiano di Ebeltoft Group, il lavoro oggi è una variabile cruciale. «I clienti arrivano in negozio molto più informati dei dipendenti». L’esempio da seguire, aggiunge, per evitare pericolosi disallineamenti tra online e offline, è quello di North Face. Il marchio di abbigliamento sportivo «ha cambiato il concetto di store manager, che ora è diventato “store ambassador”: una figura costantemente aggiornata da una parte sulle novità del canale digitale, dall’altra sugli eventi locali, che coinvolgono le community». 

Non c’è alcuna “shopless generation”: i giovani continuano ad avere piacere ad andare per vetrine e nei centri commerciali

Fare i conti con consumatori sempre più dotati di strumenti culturali e informatici è la prima cosa da affrontare, per Edmondo Lucchi, responsabile del dipartimento new media della società di ricerca Gfk. Questi consumatori tendono sempre più a cercare la fruizione dell’esperienza e la costruzione di senso, tanto nel mondo online che in quello fisico. Non c’è alcuna “shopless generation”, ossia i giovani continuano ad andare per vetrine e nei centri commerciali. Anzi, mostrano i dati di Gfk, il gradimento è maggiore tra i Millennial. «Se dai ai giovani l’opportunità di andare in un luogo fisico non rifiutano l’esperienza. Cosa manca? Le competenze, l’aspetto dell’interazione umana. Avremo bisogno di nuove figure: autori, scrittori, soggettisti, sceneggiatori, ma anche designer, pittori, scenografi e costumisti, per finire con esperti di relazioni umane, psicologi, sociologi e mediatori culturali». 

I consumi di domani

Lucchi, Gfk: «Serviranno nuove figure: autori, scrittori, soggettisti, sceneggiatori, ma anche designer, pittori, scenografi e costumisti. Per finire con esperti di relazioni umane: psicologi, sociologi e mediatori culturali»

L’Osservatorio, come in ogni edizione, va anche alla ricerca delle tendenze dei consumi e del “retail”, cercando soprattutto quelle oggi deboli ma destinate a rafforzarsi. Vale la pena aprire gli occhi su quattro fenomeni in crescita. Il più consolidato è quello del passaggio da un’offerta ampia e senza una vera specializzazione alla “multi-specializzazione e distintività”. Ha sempre meno forza un ipermercato dove si trova di tutto. Piuttosto il caso di Selfridges, presentato da Fabrio Valente, dice che è meglio scegliere alcune categorie e diventare molto credibili in quelle.Così Selfridges ha messo in piedi spazi enormi dedicati alle scarpe e ha creato diversi eventi legati alle calzature. 

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Si rafforza anche il nuovo low cost, che per essere vincente si è arricchito di contenuti di design, fashion e creatività. Basti pensare a Tiger, la società danese di articoli da regalo che si sta espandendo nel mondo (e in Italia cresce in modo superiore alla media) scegliendo i prodotti in base anche al loro impatto sul “visual merchandising” all’interno dei negozi. 

La vera novità riguarda il ritorno delle città, con il binomio “polarità urbana e canali digitali” 

La vera novità riguarda il ritorno delle città: il binomio “polarità urbana e canali digitali” sta a indicare che la dimensione di relazionalità del centro urbano sta ricominciando a giocare un ruolo forte. Se si integra con i canali digitali (magari di pari passo con la costruzione delle smart city), insomma, per il centro cittadino può essere arrivato il momento della rivincita sui centri commerciali. La libreria McNally Jackson di New York, aggiunge Valente, porta in bici i libri prenotati online, con un forte coinvolgimento della comunità. 

E proprio la “retail brand community e pop up” è l’ultima tendenza registrata. Per spiegarla serve ancora una volta un caso: la Warby Parker è una società americana che produce occhiali. Ha iniziato a venderli online, creando una community digitale. In seguito ha allestito uno scuolabus da negozio temporaneo che ha attraversato le città, preceduto dal tam tam sui canali social. Il risultato dell’integrazione tra online e mondo fisico è stato il passo successivo: la creazione di una ventina di punti vendita, così riusciti da avere una redditività al metro quadrato di 33mila euro, non troppo distante da quella record degli Apple Store. 

Concetti che sembrano fare breccia anche in catene appena sbarcate in Italia, come Zodio (del gruppo Adeo, che ha al suo interno anche Leroy Merlin e Bricoman), specializzata in arredo e decorazione della casa. «I due terzi degli investimenti di spazi e costi sono finalizzati a dare idee ai clienti. L’idea di proporre prodotti e prezzi in sé è finita. Oggi bisogna prendere le comunità di appassionati e dare loro il piacere di imparare cose nuove e passare bene il tempo».  

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