«Sordi non era un uomo, era una pantera»

«Sordi non era un uomo, era una pantera»

La casa di Sordi in via dei Coronari, a Roma, vicino al ghetto ebraico, era «una casa impiegatizia vecchia vecchia». A introdurci in questa abitazione è Rodolfo Sonego, sceneggiatore di tutti i maggiori film dell’Albertone nazionale: «Si entrava camminando sui pattini fra gli odori degli interni piccolo-borghesi: i sughi e la cera».

Questa è la storia di un sodalizio artistico nato su basi insolite, senza avere alle spalle alcuna affinità sul piano personale, ma che di fatto ha cambiato la storia della commedia italiana

Secondo Tatti Sanguineti, autore de Il cervello di Alberto Sordi (Adelphi), che raccoglie lunghe conversazioni tra Sonego e Sanguineti stesso, «l’incontro con Sordi cambiò totalmente la vita di Rodolfo Sonego». Ma anche «l’incontro con Sonego cambiò totalmente la vita di Alberto Sordi». Anzi, secondo molti, senza le battute e i personaggi creati dallo sceneggiatore, il Sordi che conosciamo non sarebbe proprio mai esistito. Questa è dunque la storia di un sodalizio artistico nato su basi insolite, senza avere alle spalle alcuna affinità elettiva sul piano personale, ma che di fatto ha cambiato la storia della grande commedia italiana.

Sonego – contadino veneto, uomo colto e impegnato, ex partigiano delle Brigate Garibaldi – e Sordi – romano, piccolo-borghese, democristiano, che aveva in sprezzo le biblioteche – si incontrarono ufficialmente nel 1954 a casa del regista Franco Rossi durante la prima riunione per il film Il seduttore. Fu Sordi a prendere l’iniziativa: dopo aver ascoltato Sonego parlare del suo personaggio, lo prese sottobraccio e lo portò via. Gli chiese: «Ma che, sei de Trento?» e gli confidò che quando lui parlava sentiva di capirlo e si ritrovava nelle sue parole («io a te ti capisco, e a quelli non li capisco»). Sonego scrisse Il seduttore praticamente da solo, e quello fu l’inizio di una lunga collaborazione. Nell’arco di quarantasei anni, dal 1954 al 2000, fecero insieme ben 53 dei circa 150 film interpretati da Sordi durante tutta la sua carriera. Non avevano molto in comune («Non c’è mai stata un’ora passata insieme in cui non si sia lavorato»), ma a livello artistico si capivano: avevano un po’ lo stesso modo di guardare le cose con un occhio un po’ spietato.

Sordi e sonego a livello artistico si capivano: avevano un po’ lo stesso modo di guardare le cose con un occhio un po’ spietato

Sonego imbastisce dunque per lui una serie di personaggi indimenticabili nella loro assoluta meschinità e scomodità. Come il protagonista deIl Vedovo, aspirante uxoricida parzialmente ispirato al caso Fenaroli; Silvio di Una vita difficile, con la grande scena della ribellione in piscina che fece tanto discutere lo sceneggiatore e il regista Dino Risi; o come lo zelante Otello Celletti, protagonista de Il vigile, film anch’esso ispirato a un piccolo fatto di cronaca, che per la palese critica nei confronti di una certa politica clientelare rischiò addirittura di essere censurato.

«Le sceneggiature sono la registrazione della realtà. La realtà un po’ spaventosa di un italiano, che non è più né contadino né operaio, ed è diventato mostro»

I trent’anni di copioni per Sordi sono, secondo Sonego, «esattamente la registrazione della realtà. La realtà un po’ spaventosa di un italiano, che non è più né contadino né operaio, ed è diventato mostro». Ed è in questa sua capacità di “farsi mostro” che risiede, per Sonego, il genio di Alberto. Nel libro racconta che Sordi era in grado di accettare e lanciarsi a capofitto in ruoli che avrebbero spaventato chiunque, per ragioni di sgradevolezza ma anche per motivi politici. Era una straordinaria quanto proficua forma di incoscienza.

Tra i meriti che lo sceneggiatore si riconosce, c’è sicuramente quello di essere riuscito a esplorare le possibilità drammatiche di Alberto, troppo a lungo (e in parte ancora) sottovalutate, anche dopo una prova come quella de I vitelloni, nel quale Sordi emerge in tutta la sua tristezza di clown bianco mammone. Un po’ come è successo a Totò (lo ricordava anche Monicelli), anche Sordi è rimasto imbrigliato nella sua maschera comica: gli si chiedeva la comicità pura, la macchietta, la capacità di imitazione (che è sempre stata un suo enorme punto di forza): si preferiva, insomma, il gioco sicuro, inibendo in qualche modo le sue possibilità come attore completo. «Con Sordi», spiega Sonego, «nell’ottanta per cento dei casi il pubblico va soltanto per ridere e poi si trova di fronte a film drammatici. Il fatto che insista ancora nello sperare che ci sia solo comicità, è un fatto positivo, perché vuol dire che la forza dell’umorismo è quella di farti accettare l’inaccettabile».

«Con Sordi», spiega Sonego, «nell’ottanta per cento dei casi il pubblico va soltanto per ridere e poi si trova di fronte a film drammatici.

Ma è proprio questa famosa comicità à la Sordi, con il suo retrogusto un po’ patetico, che all’estero non fu mai veramente capita né apprezzata. Lo notava già Pasolini nei suoi Scritti corsari, quando si chiedeva di che specie fosse il riso che suscita Alberto Sordi. E si rispondeva così: «è un riso di cui ci si vergogna». E questo perché, a suo parere, la comicità di Sordi nasce dall’attrito tra la società moderna e standardizzata e un uomo «il cui infantilismo anziché produrre ingenuità, candore, bontà, disponibilità, ha prodotto egoismo, vigliaccheria, opportunismo, crudeltà». La definiva, insomma, «una deviazione dell’infantilismo».

Anche Goffredo Fofi, che si era impegnato a decodificare il “fenomeno Sordi” nel suo libro Alberto Sordi. L’Italia in bianco e nero, riflette sulla non esportabilità del personaggio e, di conseguenza, sull’effettiva natura di questo benedetto “carattere italiano” che Sordi prende così spietatamente in giro, col suo essere vile, maldestro, approssimativo, presuntuoso: ma sapendo di esserlo.

Lo sguardo che Fofi riserva a Sordi è contestuale. Secondo lui le ragioni per amarlo e per odiarlo sono le stesse, e risiedono nel de te fabula narratur: in ciò che Sordi ha messo in luce di tutti noi, mettendoci di fronte al meglio (ma più spesso al peggio) dell’italianità. Ed è ciò che fa anche oggi, costringendoci a riflettere non solo sulla nostra società ma anche sullo stato (e sul destino) della commedia italiana.

Dal libro di Sanguineti le ragioni di questa sorta di intraducibilità dell’Albertone (per Pasolini «lo si direbbe un canto popolare che non si può trascrivere») non si evincono. Si capisce invece molto bene come Sordi lavorava, come riusciva a essere il peggio dell’Italia, a diventare una sorta di sunto di tutte quelle piccole meschinità che altri attori più “piacioni” hanno finito per assolvere o delegare ad altre maschere.

Nel loro rapporto di sceneggiatore-attore, per Sonego il vero punto d’unione è proprio il coraggio di Alberto, «che gli deriva da una sorta di follia che gli è propria e che è propria del grande attore», una follia che gli permetteva di accogliere ruoli di una grettezza quasi ributtante o vicende per l’appunto folli. E al netto dei retaggi culturali, diversi a tal punto che nessuno dei due riuscirà mai veramente a influenzare l’altro («Non sono mai riuscito a far leggere ad Alberto una centesima parte della mia biblioteca»), secondo lo sceneggiatore la capacità di Sordi di recepire con l’istinto ciò che altri attori più mediocri non riescono a restituire, deriva proprio dal suo non rifugiarsi in un filtro di tipo culturale.

«L’istinto, che è poi il cervello, è molto più importante per un attore che una scelta di tipo ideologico, culturale, politico, che molto spesso ti porta a sbagliare perché schematica»

«L’istinto, che è poi il cervello, è molto più importante per un attore che una scelta di tipo ideologico, culturale, politico, che molto spesso ti porta a sbagliare perché schematica, fatta contro la propria volontà e naturalezza. C’è in Sordi un eccessivo rifiuto di tutto quello che è costruito, che non corrisponde direttamente all’immediato». Con questo naturalmente Sonego non intende che solo ciò che è immediato è reale, ma che Sordi crede solo nella naturalezza. Riesce, come per un’intuizione misteriosa, a rendere credibili anche vizi che egli assolutamente non possiede, o sentimenti che non ha mai provato. Per esempio la gelosia. Stando a Sonego lui non si è mai veramente innamorato di una donna, eppure ha saputo esprimere la gelosia sullo schermo meglio di chiunque altro.

Il rapporto di Sordi con le donne era a tal punto conflittuale che una volta in cui Sonego propose di girare una scena di moglie e marito a letto, lui si oppose vigorosamente: non concepiva l’idea che marito e moglie dormissero insieme perché aveva paura che lei di notte potesse alzarsi e accoltellarlo con un ferro da maglia.

Era un uomo pieno di idiosincrasie: odiava gli scrocconi, i falsi commilitoni che cercavano di rabbonirlo con sorrisi untuosi. Temeva la concorrenza e seguiva con grande apprensione i progressi degli attori rivali. Detestava chi lo fermava per strada, soprattutto in Trastevere, ostentando nei suoi confronti «un’intimità timorosa». Ma era anche straordinariamente bravo ad appropriarsi dei tic altrui: stimolato dagli errori e dai difetti della gente, scattava nell’imitazione, anche di caratteri lontanissimi da lui.

Sordi non era un uomo colto: «Non ha letto i libri, non ha letto i testi sacri, non ha letto niente, non gliene importa niente di niente. Ma ha un colpo d’occhio infallibile»

Sordi non era un uomo colto: «Non ha letto i libri, non ha letto i testi sacri, non ha letto niente, non gliene importa niente di niente. Ma ha un colpo d’occhio infallibile. Il suo giudizio è sempre immediato e fulminante. È un’entità biologica purissima. È un animale selvaggio, un animale del bosco che ci vede anche di notte. Una civetta, oppure un cobra, un falco».

È questo suo essere tutto istinto, come un animale selvaggio, che ne fa, per Sonego, un grande attore, al di là di qualsiasi mancato retaggio intellettuale. È una rielaborazione della nota teoria secondo cui i grandi attori non devono pensare troppo ma lasciarsi guidare e avere istinto, qualsiasi cosa significhi. Per Sonego si tratta di una belva: «è una pantera, e la pantera non ha bisogno di entrare in una biblioteca, ma fa dei giochi di equilibrio, dei salti incredibili, e a modo suo sa essere perfetta».

X