(Parigi). Dopo la strage della redazione di Charlie Hebdo alla rue Nicolas-Appert e l’attacco al supermercato Kosher alla Porte de Vincennes, torna l’incubo terrorismo in Francia. Stamattina tra le 9.30 e le 10.45 un’auto ha fatto irruzione in una fabbrica di gas industriale a Saint-Quentin-Fallavier (Isère), comune di 6mila abitanti vicino Lione. La collisione dell’auto con le bombole a gas ha provocato una forte esplosione. Il bilancio dell’attentato è di un morto e due feriti. La testa della vittima (direttore di una società di trasporti della zona) è stata appesa dall’attentatore a una cancellata dello stabilimento e ricoperta da iscrizioni in arabo. Un gesto orribile che ricorda le immagini che ci pervengono quotidianamente dalla Siria.
Sarebbero state rinvenute anche due bandiere collegabili all’Isis in prossimità dello stabilimento. L’attentatore, ha rivelato il ministro degli interni Bernard Cazeneuve, è Yassin Salhi, 35 anni e padre di tre figli, esponente di una filiera jihadista salafita. L’uomo era già conosciuto dai servizi segreti francesi, ed è stato “perduto” dopo il 2008. Dal 2006 era infatti “tracciato” dai servizi per le sue attività collegate allo jihadismo di matrice salafita. Ancora una volta, come i fratelli Kouachi, uomini conosciuti dai servizi e sfuggiti al controllo. Perché? Lo abbiamo chiesto ad Anne Giudicelli, giornalista francese e specialista di terrorismo di matrice islamica. Giudicelli ha fondato Terr(o)Risc, agenzia che si occupa di anti-terrorismo, mappatura delle reti terroristiche e di counseling in zone a rischio. Ha lavorato per otto anni al Ministero degli esteri francese.
«È un problema di metodologia, ma anche di risorse e di coordinamento europeo che permettono di seguire un individuo anche altrove e di reperire i suoi movimenti e le sue attività anche all’estero»
«Non è la prima volta – dice a Linkiesta – è già accaduto con Mohammed Merah (assassino della scuola ebraica di Tolosa ndr) e i fratelli Kouachi. Si tratta di individui conosciuti e repertoriati dai servizi segreti francesi, da tenere sotto stretta sorveglianza. Tutto ciò rimette in causa gli strumenti di cui dispongono le forze di sicurezza interne per garantire la sorveglianza. I servizi dispongono di vere e proprie schede di sorveglianza ma ci dev’essere una ragione precisa affinché la scheda continui a essere operativa e l’individuo continui a essere tracciato. Occorre stabilire se quella persona possa diventare un potenziale pericolo. È un problema di metodologia, ma anche di risorse e coordinamento con altri servizi territoriali ma anche extraterritoriali ovvero a livello europeo che permettono di seguire un individuo anche altrove. E di reperire i suoi movimenti e le sue attività anche all’estero».
L’attentatore era conosciuto, la sua identità inserita dai servizi segreti in una scheda detta “S”, cosa significa?
Vuol dire che l’individuo doveva essere “tracciabile” e che tutta una serie di misure erano previste per seguire il suo percorso e le sue attività. Oggi, con il boom delle radicalizzazioni, ci sono decine di persone repertoriate con una scheda “S” ma non le si può seguire tutte regolarmente. Il problema è di ordine metodologico e organizzativo.
«Oggi, con il boom delle radicalizzazioni, ci sono decine e decine di persone repertoriate con una scheda “S” ma non le si puo’ seguire tutte regolarmente»
Le filiere jihadiste si fanno più discrete, per questo forse è più difficile reperirle? All’orizzonte ci saranno nuove misure restrittive?
Lo erano già in passato ma occorre dire che oggi si tende a seguire criteri e comportamenti, da parte dei servizi, che sono al di fuori del vero e proprio campo della sorveglianza proprio per cercare di carpire nuovi elementi utili. Una legge sulla sorveglianza è appena passata, martedì scorso. È molto controversa ma darà nuovi poteri d’investigazione. Poi c’è da dire che molte misure sono state introdotte in seguito agli attentati di gennaio scorso. C’è stata una mobilitazione senza precedenti, nuove misure e dispositivi sono stati introdotti. Sicuramente dopo quest’attentato i dispositivi saranno ulteriormente rafforzati, è una logica che abbiamo potuto constatare nella maggior parte dei paesi europei che hanno subito un attacco. Il riflesso è sempre quello, rafforzare i sistemi di sorveglianza e stabilire cooperazioni a livello internazionale.
A un anno dalla nascita del cosiddetto Stato Islamico sempre più gruppuscoli jihadisti o anche lupi solitari rivendicano la propria appartenenza all’Isis o ad Al Qaida. ’’Isis è diventato un brand del terrorismo su scala globale?
Si tratta di un fenomeno di auto-attribuzione sia per l’Isis che per Al Qaida. Uno strumento di propaganda per contribuire a terrorizzare le persone. Quando poi vengono stabiliti eventuali legami tra un gruppuscolo e l’Isis o Al Qaida ciò si traduce in uno spot di visibilità per l’organizzazione citata, che può così rivendicare di aver effettuato l’operazione anche quando si tratta del gesto di un gruppuscolo isolato. E magari l’ordine non è partito dalla cellula madre. Per questo occorre riuscire a stabilire legami certi tra le attività terroristiche di determinati individui e l’organizzazione citata, per non cadere nella trappola propagandistica.