Poco più di un mese fa la EpaC Onlus, associazione dei pazienti con epatite e malattie del fegato, denunciava in un articolo la mancata accessibilità ai farmaci contro l’epatite C da parte di alcuni cittadini. Già dal 5 dicembre 2014 – giorno della pubblicazione della Determina n. 1353/2014 dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), in Gazzetta Ufficiale – il farmaco Sovaldi (sofosbuvir), una delle terapie innovative contro l’epatite C, era stato reso disponibile in Italia. Totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) e totalmente rimborsabile per i pazienti che possedevano determinati requisiti. Nonostante i farmaci innovativi – che oggi garantiscono ai pazienti altissime probabilità di eradicare il virus e guarire – siano stati approvati a livello nazionale e dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini in parte a spese del Ssn, dopo mesi dall’autorizzazione all’immissione in commercio, ne resta ancora fuori. E questo è solo un esempio, situazioni simili si verificano o si verificheranno in futuro per tutti gli altri farmaci innovativi, come gli antitumorali, i farmaci per l’Alzheimer o quelli per l’ipercolesterolemia familiare, con prezzi troppo alti per garantire l’equilibrio tra l’accesso a tutti i cittadini che ne hanno bisogno e la sostenibilità del Ssn.
I farmaci contro l’epatite C sono arrivati in Italia quasi due anni dopo rispetto agli altri paesi europei
I problemi di iniquità per gli italiani iniziano già se si confronta la situazione con gli altri paesi europei. I farmaci contro l’epatite C sono arrivati in Italia quasi due anni dopo rispetto ad altri paesi. «C’è prima di tutto un problema di equità tra i cittadini dell’unione – spiega a Linkiesta Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale per i diritti del malato – alcuni paesi europei garantiscono i farmaci innovativi molto prima dell’Italia e a un target molto più ampio: i criteri per accedere alle terapie innovative sono diversi e permettono di includere e curare più persone». Scrive ancora l’associazione EpaC: «Il Sovaldi, prima di essere immesso in commercio in Italia è stato oggetto di lunghe trattative tra l’azienda farmaceutica e l’Aifa le quali non sono riuscite, per molto tempo, a giungere all’accordo sul relativo prezzo di vendita e ciò a discapito di numerosi cittadini italiani bisognosi di cure immediate che si sono visti costretti ad acquistare il farmaco all’estero a proprie spese» .
Subito dopo l’approvazione dell’agenzia regolatoria italiana e l’immissione in commercio in Italia però, i problemi e i tempi di attesa non sono finiti. Dopo l’approvazione nazionale infatti, gli stessi farmaci devono essere approvati anche a livello regionale da commissioni che di fatto ripetono quanto già stabilito dall’Aifa, per posticipare l’entrata del farmaco nel prontuario farmaceutico, e di fatto la spesa. «È un altro filtro che rallenta l’accesso effettivo – continua Aceti – spostando la spesa da oggi a sei mesi. Non ha senso il doppio controllo, perché quanto deciso dall’Aifa è un Lea, cioè un livello essenziale di assistenza, e deve essere garantito su tutto il territorio nazionale. Alcune volte invece queste sub commissioni regionali rigettano farmaci già approvati e altre volte li accettano ma restringendo di fatto, ancora di più i criteri di accesso per i cittadini. C’è un anarchia assoluta sulla farmaceutica in Italia: non parliamo di un diritto uguale per tutti ma di 21 diritti a tinte diverse».
I ritardi di immissione in commercio gravano su tutti i farmaci, ma per quelli innovativi (dai costi elevati) la situazione si complica ulteriormente
Se i ritardi di immissione in commercio del farmaco in Italia, e di entrata nei Ptor (prontuari farmaceutici) delle Regioni, gravano in generale su tutti i farmaci, va da sè che con i farmaci innovativi dai costi molto elevati la situazione si complica ulteriormente, soprattutto in un periodo di contrazione finanziaria come quello attuale. Di recente il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha anche stabilito un fondo nazionale destinato ai i farmaci contro l’epatite C, «ma si tratta sempre di soldi del Ssn che vengono dedicati a questi farmaci, non di risorse in più – sottolinea Aceti – e agiscono comunque con un sistema di rimborso, ma il problema è che le regioni hanno ora le difficoltà a comprare, se non hanno i soldi in cassa c’è poco da fare».
Tutto a discapito dei pazienti che, anche se sulla carta hanno diritto al farmaco, di fatto non ne possono usufruire e sono costretti ad anticipare i soldi e richiedere prestiti per pagare la cura di tasca propria. Prestiti che spesso non vengono nemmeno concessi perché ci vuole un certificato di buona salute per ottenerlo. «Ci sono persone che hanno acquistato questi farmaci prima dell’immissione in commercio a livello nazionale – racconta Aceti – e oggi si trovano ad aver anticipato anche fino a 50 mila euro che difficilmente riavranno indietro»
L’approccio utilizzato sinora, secondo Aceti merita di essere rivisto «a partire dalle risorse a disposizione e dai prezzi delle terapie per giungere a definire chi e quanti pazienti hanno il diritto di guarire non rappresenta la soluzione per il rispetto dei diritti all’Accesso e all’Innovazione previsti nella Carta Europea dei Diritti del Malato di Cittadinanzattiva. Di fronte a queste eccezionali innovazioni dovremmo partire dal diritto di ciascuno a guarire per poi capire come e dove reperire le risorse necessarie a sostenere questo diritto. Ci sono spazi all’interno del SSN per reperire queste risorse». Conclude Aceti: «Siamo di fronte a un grave problema etico perché garantire il diritto a guarire non a tutti i malati, ma solo a una serie di soggetti che rientrano in certi parametri, non è giusto».