A Milano ci sono 475 fontanelle a colonna, dove l’acqua potabile scorre a getto continuo. Contrariamente a quanto vuole la vulgata, quell’acqua deve continuare a fluire per non perdere le proprie qualità fisico-chimiche. Non finisce dispersa nelle fognature ma viene raccolta e poi utilizzata per l’irrigazione dei campi agricoli in Brianza e in tutta la Lombardia.
Al confine fra il Brasile, la Bolivia e il Paraguay, c’è una porzione di terra di 1.200 chilometri quadrati dove si trova la falda acquifera più grande del mondo, che sarebbe in grado di sostenere i consumi idrici attuali per i prossimi duecento anni. Quella porzione di terra appartiene a un’unica famiglia.
È a partire da questa distanza – non solo geografica – che nella sala stampa di Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, viene presentata la Carta di Milano: un impegno per l’acqua – un documento programmatico per la gestione delle risorse idriche.
È patrocinato da MM S.p.A, gestore del servizio idrico integrato a Milano, da Utilitalia, la nuova associazione nata a giugno dalla fusione di Federutility e Federambiente e che riunisce le imprese dei servizi locali, e da Ato Città di Milano, l’Ufficio d’Ambito territoriale ottimale del capoluogo lombardo. Il documento a settembre verrà presentato alle Nazioni Unite. L’obiettivo è che sia inserito come allegato e pietra miliare dentro il percorso che porterà l’Onu a stabilire gli obiettivi per il nuovo millennio.
A Milano 475 fontanelle, l’acqua “dispersa” viene utilizzata in agricoltura. In Brasile la più grande falda acquifera del mondo è di proprietà di una sola famiglia
«Per anni si è trattato solo di buoni propositi ed è giunta l’ora di passare alle buone pratiche» dice Davide Corritore, il presidente di MM S.p.A che proprio tre settimane fa – il 4 luglio – ad Expo, presso la Cascina Triulza, ha organizzato un convegno con i principali gestori continentali. Erano presenti anche Celia Blauel, la parigina presidente dell’Associazione Acqua Pubblica Europea, e alcuni ricercatori delle università che hanno sviluppato negli anni la tematica degli sprechi idrici, legati sopratutto alle filiere industriali e agricole. «A oggi nel mondo ci sono 750 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua e non più pensabile non avere un’agenzia internazionale (come la Fao, ndr) che se ne occupi a livello di governance globale, che non sia più solo ristretta ai perimetri nazionali».
«Per fare ciò bisogna abbandonare alcune ipocrisie e demagogie», sostiene Corritore, come la “leggenda” della totale gratuità dell’acqua per i consumatori, che quasi sempre è a carico della fiscalità generale. «In Francia hanno varato una legge per la quale a fronte di un aumento dell’1 per cento delle tariffe, il gettito aggiuntivo viene investito in progetti per la razionalizzazione della risorsa fuori dai confini nazionali, per ridistribuire l’acqua fra aree del mondo. Non può essere affrontato come un problema locale». Il paradosso è che i grandi sprechi – in valore relativo – avvengono nelle aree del mondo dove di acqua ce ne è di meno. Dove, al contrario, c’è abbondanza – Milano è forse il caso più esplicativo in Italia – esistono norme e regolamenti che garantiscono una distribuzione più equa.
Sul tema della remunerazione degli investimenti oltre la copertura dei costi, si è assistito ai principali scontri fra le municipalizzate e i comitati cittadini: quando a giugno del 2011 – proprio una settimana dopo le elezioni che condussero Giuliano Pisapia e il centrosinistra a Palazzo Marino – si votò il quesito referendario sull’acqua pubblica (assieme ad altri due quesiti sul legittimo impedimento e sulla riattivazione delle centrali nucleari), i comitati promotori del referendum e i partiti che lo appoggiavo non vollero sentire ragioni.
La posizione attuale di MM S.p.A e Utilitalia è invece ben esemplificata dalle parole del vicepresidente di quest’ultima, Mauro D’Ascenzi: «Bene comune non significa gratis».
Per le municipalizzate un bene comune non deve essere gratis. Ma si rischia la rottura con i comitati che promossero il referendum del 2011
Sulla stessa linea anche Marisa Abbondanzieri, presidente di Anea – l’Associazione nazionale autorità e enti d’ambito, di fatto l’organo amministrativo che funge da authority – che oltre a rilevare come il problema italiano non sia dato dalle leggi vigenti «ma piuttosto dai mancati interventi legislativi in materia negli ultimi dieci anni», sostiene che sia necessario uniformare le tariffe – oggi diverse su tutto il territorio nazionale – passando prima per un’omogeneità di investimenti pro capite. E chiude il suo intervento con una battuta: «L’acqua ce l’avrà pure data Dio, ma i rubinetti no».
«Un’altra cosa che si può fare è la banca dati pubblica››, riprende Davide Corritore, «abbiamo le tecnologie per sapere dove si trovano le falde ed evitare casi di monopoli privati – come il succitato caso in Brasile – che fra qualche anno potrebbero portare a situazioni potenzialmente esplosive».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
E un altro tema fondamentale è quello della ricerca e sviluppo: «Ci sono multinazionali, sopratutto nel campo farmaceutico, che investono milioni di euro per una dozzina di anni, ovviamente solo sapendo di avere un ritorno economico in futuro». Per Corritore bisogna riuscire a «socializzare i risultati di quelle ricerche».
Si spreca più acqua con la frutta lasciata cadere sul campo per sostenerne il prezzo di mercato, che non se cittadini insensibili lasciano i rubinetti aperti
Massimiliano Tarantino – segretario generale della Fondazione Feltrinelli – ha steso materialmente alcuni dei passaggi della Carta di Milano, riguardanti la lista di buone pratiche da suggerire a cittadini e imprese pubbliche e private. Il punto è che, come emerso il 4 luglio ad Expo dalle parole del professor Cosimo Lacirignola dell’Istituto Agronomico del Mediterraneo, non sono affatto sufficienti accorgimenti della cittadinanza sulle reti civiche. Le quote più elevate di sprechi, infatti, avvengono nei processi industriali e agricoli. In questo senso fa più danni la frutta lasciata cadere a terra nei campi per sostenerne il prezzo di mercato, che non il rubinetto lasciato aperto da un cittadino poco sensibile. Tarantino spiega quindi «che il lavoro non è affatto finito, verranno inseriti altri allegati riguardanti, per esempio, la microirrigazione», per impedire che l’acqua a cascata nei campi coltivati penetri negli strati più profondi del terreno diventando di fatto inutilizzabile.
«La speranza è che la Carta di Milano diventi una vera eredità di questi sei mesi di Expo», conclude, dando voce a quanti pensano che l’Esposizione Universale per il momento sia colpevolmente dimentica del tema e non colga il nesso profondo fra risorsa idrica e alimentazione.