TaccolaCrisi e grandi opportunità: il paradosso della sponda sud del Mediterraneo

Crisi e grandi opportunità: il paradosso della sponda sud del Mediterraneo

«La sponda sud del Mediterraneo non è solo guerra e petrolio. È anche manifatturiero, energie rinnovabili, commercio e logistica. Secondo la nostra visione, i Paesi del Nord Africa hanno grandi margini di crescita e possono rappresentare un’occasione per il commercio e per gli insediamenti industriali». Alessandro Panaro è a capo del dipartimento di economia marittima e del Mediterraneo del Srm, il centro studi di Intesa Sanpaolo che monitora dal 2011 l’economia del Mezzogiorno italiano e quella dei Paesi della sponda Sud del Mare Nostrum. La sua è una delle poche voci che spande ottimismo sulle prospettive di crescita dell’area e sul ruolo delle imprese italiane. Che sono molte più di quanto si pensi: 880 in Egitto, 750 in Tunisia e circa 150 in Marocco. 

Un errore dietro l’altro

L’Unione europea, che, al pari del resto dell’Occidente, ha continuato a peccare di ingenuità e impreparazione negli ultimi 20 anni

Non che gli studi dell’Srm siano esenti da critiche o preoccupazioni, soprattutto se si parla di politica. Nel quarto rapporto “Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” la prefazione è stata affidata all’ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari, ed è durissima. «Poca, troppo poca, l’attenzione verso la sponda Sud del Mediterraneo» dell’Unione europea, che, al pari del resto dell’Occidente, ha continuato a peccare di ingenuità e impreparazione negli ultimi 20 anni. La prima illusione, dopo la fine della Guerra Fredda, fu che la risoluzione della “madre di tutti i problemi”, la questione palestinese, avrebbe posto le premesse da sola per una più ampia pace mediorientale. Dopo l’11 settembre, la lotta al terrorismo ebbe come corollario la convinzione dei neo-cons americani che il “regime change” e la promozione della democrazia nella regione sarebbero state la migliore garanzia per una stabilità sostenibile nell’area. «Un automatismo troppo semplicistico per essere anche minimamente credibile», scrive l’ambasciatore Massari, citando il caso della guerra in Iraq.

Superficialità ripetuta all’epoca della Primavere arabe del 2011. Dalla Libia alla Siria, attacca Massari, «si è pensato che in quei Paesi fossero in atto rivouzioni democratiche e che una volta estromesso il dittatore di turno si potesse mettere in moto processi politici ed economici virtuosi». In società divise su base settaria, le primavere hanno invece scagionato una «lotta hobbesiana tra gruppi/sette/tribù/milizie locali, che, piuttosto che cercare costruire democrazie, hanno cercato di prevalere l’uno sull’altro con l’aiuto di sponsor regionali». Il risultato di questi sbagli è che non si è mai visto il prolungarsi di così tanti conflitti nell’area del Mediterraneo: Siria, Iraq, Libia, Yemen. E l’instabilità continua, a causa di tre fattori: gli scontri tra islamisti e anti-islamisti in tutta l’area; la competizione degli Stati-Nazione, soprattutto Arabia Saudita, Turchia e Iran; e i problemi strutturali che continuano nelle società, dove l’analfabetismo rimane forte, la disoccupazione giovanile altissima e gli eserciti degli scontenti sono strumentabilizzabili. 

Europa fantasma

L’Europa, in questo quadro, ha fatto davvero poco. Nel 1995 lanciò il “Processo di Barcellona”, il cosiddetto partenariato euro-mediterraneo, «uno schema ambizioso mai decollato», come lo descrive Massari. Nel 2008 fu il turno del lancio della Unione per il Mediterraneo, voluta dall’ex presidente francese Sarkozy. Progetti concreti, come la costruzione di autostrade marittime e terrestri avrebbero dovuto migliorare la capacità di commercio tra le due sponde del Mare Nostrum. Ma il progetto «si è subito infranto nei soliti problemi: lunghezze burocratico-amministrative e mancanza di risorse fresche per finanziare i progetti». 

Massari: «Dal paternalismo normativo e dalla timida politica di vicinato attuali si dovrebbe passare alla creazione di partnership paritarie con i Paesi della sponda Sud»

L’intervento dell’Ue oggi si vede soprattutto in alcuni trattati di libero scambio (come l’Accordo di associazione Egitto-Ue) e per l’intervento della Banca europea degli investimenti in alcuni grandi porti, come quello di Tanger Med, a Tangeri, in Marocco. Ma è molto poco. «L’Unione europea è nella maggior parte dei casi, soprattutto per i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, il principale partner commerciale, e avrebbe l’interesse a sviluppare una visione autonoma, ambiziosa, multi-dimensionale e di lungo termine, volta a collegare in maniera virtuosa le due sponde del Mediterraneo», scrive Massari. «Dal paternalismo normativo e dalla timida politica di vicinato attuali si dovrebbe passare alla creazione di partnership paritarie con i Paesi della sponda Sud». Le risorse dovrebbero essere finalizzate non solo alle infrastrutture, ma all’“institution building” e al settore dell’istruzione. Si dovrebbe creare un Commissario europeo per il Mediterraneo e una Banca di investimento mediterranea. In poche parole, da uno dei tanti temi in agenda, il Mediterraneo «dovrebbe diventare in maniera strategica e strutturale l’assoluta priorità» e questa visione strategica è la «precondizione per rilanciare i normali flussi di business verso i Paesi maggiormente travolti dalla crisi». 

Crescita tagliata e opportunità

Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno costantemente tagliato, negli ultimi mesi, le prospettive di crescita delle economie del Nord Africa e Medio Oriente

Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno costantemente tagliato, negli ultimi mesi, le previsioni di crescita delle economie del Nord Africa e Medio Oriente. L’Fmi prevede per l’intera area una crescita del 2,7% nel 2015, la Banca Mondiale si ferma al 2,2%, con dinamiche molto diverse tra i Paesi esportatori di petrolio (colpiti dal calo del prezzo del greggio) e i Paesi importatori di petrolio. Percentuali di crescita che non sono sufficienti per far scendere la disoccupazione e quindi a dare un contributo alla stabilizzazione sociale di queste nazioni. 

Tuttavia, secondo Panaro, bisogna guardare le cose con una prospettiva di lungo periodo e non pensare che episodi pur sconvolgenti e dal forte impatto sul turismo, come l’attacco di giugno sulla spiaggia di Sousse, in Tunisia, cambino troppo le prospettive. «Ci sono Paesi più a rischio e altri meno a rischio, ma le difficoltà in questi Paesi ci sono da molti anni. Quando si parla di Mediterraneo si parla di zone a rischio, senza guardare all’aspetto commerciale e di business. I dati dicono che questi Paesi continuano a crescere», commenta Panaro.

Lo studio Srm: «i principali indici economici mostrano segni positivi. È cresciuto costantemente l’interscambio commerciale verso l’area, è cresciuto il commercio marittimo»

Nonostante il quadro di instabilità politica e sociale della regione, nota l’Osservatorio di Srm (chiuso nel dicembre 2014), «i principali indici economici mostrano segni positivi. È cresciuto costantemente l’interscambio commerciale verso l’area, è cresciuto il commercio marittimo, sono aumentate la competitività e le quote di mercato di molti porti del Sud Mediterraneo, è in costante crescita il numero delle imprese italiane che hanno fatto investimenti nella regione, si sta rafforzando il sistema bancario e finanziario di questi Paesi e il loro quadro macroeconomico, pur con i riflessi negativi delle crisi politiche, permane ampiamente positivo e con tassi di crescita del Pil significativamente superiori a quelli europei». 

Questi Paesi «non sono solo importanti mercati di sbocco che le imprese italiane (3.000 in totale tra Turchia, Marocco, Tunisia ed Egitto, ndr) intendono presidiare, ma anche potenziali hub produttivi per entrare nei mercati vicini». 

La crescita degli scambi

L’interscambio commerciale italiano con l’Area Med è risultato di 54,8 miliardi di euro a fine 2013, un valore inferiore solo a quello registrato dagli Stati Uniti e dalla Germania (c’è poi la Cina, cresciuta di nove volte e che nel 2016 sarà dietro solo agli Usa). Dal 2001 al 2013 l’interscambio Italia-Mediterraneo del Sud è cresciuto del 64,4%, ed è sceso in solo quattro occasioni: nel 2006, nel 2009, nel pieno della crisi economica internazionale, nel 2011 e nel 2013, per effetto soprattutto del calo delle importazioni petrolifere dalla Libia. I prodotti energetici pesano per il 40% sugli scambi tra Italia e Area Med, il doppio della Francia, cosa che ci espone molto ai rischi della regione. Per il Sud Italia il petrolio vale oltre il 70% degli scambi, che sono in discesa dal 2010.  

Se si escludono i prodotti energetici, l’interscambio Italia-Area Med è salito dal 2001 al 2013 del 67% e dovrebbe continuare a crescere

Se si escludono i prodotti energetici, l’interscambio Italia-Area Med è salito dal 2001 al 2013 del 67% e dovrebbe continuare a crescere: da 32,7 miliardi del 2013 a 36,4 miliardi nel 2016. A favorire gli scambi non petroliferi ci sono le “zone franche”, con esenzioni fiscali rilevantissime, che sono sorte dall’Egitto al Marocco, passando per la Tunisia. La più famosa è probabilmente la Tanger Automotive City (TAC), una piattaforma dedicata al settore automobilistico, decisa per portare a regime la produzione dello stabilimento Renault di Tangeri, in Marocco. L’investimento è stato pari a un miliardo di euro e ha consentito di creare 6.000 posti di lavoro diretti e 30.000 indiretti. 

Le frontiere: porti ed energia

«Non voglio sembrare un ottimista cronico, ma vedo che sono stati fatti investimenti molto rilevanti nell’area – continua Panaro -. Per il progetto Tanger Med, in Marocco, c’è un investimento dal 2002 di oltre 7 miliardi di dollari». Il piano prevede il raggiungimento di una capacità nominale di 8 milioni di Teu (unità equivalenti a 20 piedi) entro il 2018, rispetto agli attuali 3 milioni. Un progetto che mette il porto di Tangeri in diretta concorrenza con i porti italiani, già colpiti (soprattutto quello di Taranto) dal passaggio ai cinesi di Costco del Pireo di Atene. Un secondo esempio è dato dal raddoppio del Canale di Suez, che dovrebbe essere inaugurato il prossimo 6 agosto e che farà aumentare ulteriormente, ed esponenzialmente, le merci che dalla Cina e dal Far East attraversano il Mediterraneo. «È un segnale che dobbiamo cogliere, se l’Italia avesse avuto la sensibilità di dragare i fondali del porto di Taranto e fare gli altri interventi necessari per accogliere le nuove grandi navi porta-container, un colosso come Evergreen non se ne sarebbe andato», aggiunge Panaro. 

La capacità installata nella regione tra fotovoltaico e solare a concentrazione, Csp potrebbe crescere fino ad arrivare a 15 GW entro la fine del 2020

C’è infine il tema delle energie rinnovabili. I dati attuali sono minuscoli ma potrebbero trarre in inganno. Nel fotovoltaico nell’area oggi si contano solo 271 MW di potenza installata. Ma «la capacità installata nella Regione (tra fotovoltaico e solare a concentrazione, CSP) potrebbe crescere fino ad arrivare a 15 GW (cioè 15.000 MW) entro la fine del 2020», secondo i dati Meed Insight citati da Srm. 

Su questo fronte l’Ue è stata presente. Dal 2011 ha impegnato oltre 800 milioni di euro di aiuti bilaterali a sostegno delle politiche di crescita della regione. Inoltre, dal 2011, il Neighbourhood Investment Facility (Nif) ha fornito quasi 335 milioni di euro per progetti nell’area del South Med. Insieme a prestiti da istituzioni finanziarie pubbliche europee di circa 4 miliardi di euro, l’uso strategico di sovvenzioni e prestiti dell’Ue ha sbloccato finanziamenti totali per 10 miliardi di euro. Nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, le risorse a disposizione saranno ulteriormente ampliate. La Commissione Europea ha offerto supporto finanziario anche attraverso il programma Femip (Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership) della Bei (Banca Europea per gli Investimenti).

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