Taccola«Draghi doveva avere più coraggio e salvare le banche greche»

Dopo l’Euro Summit

Ci sono almeno due lezioni che l’Europa alle prese con la crisi greca non vuole capire: la prima è che il debito di uno Stato va tagliato, altrimenti la soluzione viene solo rimandata e aggravata. La seconda è che bisogna separare il destino delle banche da quello delle politiche fiscali e dai governi che le attuano. Ne è convinto Tommaso Monacelli, docente di macroeconomia all’Università Bocconi di Milano. Che dà della gestione della crisi, compreso l’accordo firmato dopo una maratona notturna di 17 ore all’Euro Summit, un giudizio estremamente negativo, tanto da immaginare «un danno permanente e colossale» per la moneta unica. Responsabilità della miopia tedesca, ma anche della troppa timidezza di Mario Draghi, presidente della Bce, nella difesa delle banche greche, con la mancata erogazione della liquidità di emergenza nei giorni passati. 

Alla fine all’Euro Summit un primo accordo tra creditori e Grecia è arrivato. Che giudizio si può dare? 
Bisogna fare un passo indietro. Tutta la vicenda, dal suo inizio, è un disastro. Se si parla con un qualsiasi economista americano, si chiedono come sia possibile aver impiegato più di 400 miliardi di euro per salvare uno Stato che ègrande come il Wyoming. Non solo: siamo ancora in alto mare e si mette ciclicamente in discussione l’esistenza stessa dell’euro. L’evoluzione della vicenda lascia un danno permanente e colossale. 

Qual è stato l’errore principale?
È stata errata la gestione del debito greco. È sorprendente come per un gran numero di economisti la rimodulazione del debito sia un passo inevitabile. Eppure, nonostante il nuovo stanziamento da oltre 80 miliardi di aiuti, non c’è alcun taglio del debito. 

«La storia ci insegna che bisogna passare dal taglio del debito. Il precedente è quello dell’America Latina negli anni Ottanta: gli Stati ricominciarono a crescere dopo i tagli del piano Brady»

È un tabù per i tedeschi?
È un tabù, ma la storia ci insegna che da lì bisogna passare. Il precedente è quello dell’America Latina negli anni Ottanta, a partire dal default del Messico nel 1982. Ci furono diversi tentativi del Fondo monetario internazionale di dare finanziamenti in cambio delle riforme, ma i risultati continuavano a essere fallimentari. Dopo il piano Baker (del 1985, ndr), ci volle il piano Brady (da Nicholas Brady, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America alla fine degli anni Ottanta, ndr) perché ci fosse uno swap del debito, con una rimodulazione delle scadenze e un haircut (taglio del debito, ndr) del 35-40% a seconda degli Stati, dal Perù al Venezuela all’Ecuador, che continuavano ad avere crisi. C’è accordo sul fatto che fu grazie a quel taglio che questi Paesi ricominciarono a crescere negli anni successivi. 

Si può obiettare che in Grecia l’haircut è già avvenuto, nel 2011. 
Sì, ma si era a un secondo stadio del gioco, si era già attuato un primo intervento nel 2010 che aveva peggiorato le cose. Tanto è vero che dopo l’haircut del 2011 non ci fu un sostanziale miglioramento del rapporto debito/Pil. 

Qual è quindi la lezione della Storia?
È che bisogna rompere questo tabù. È tipico che si arrivi a considerare l’haircut del debito dopo anni. Spesso sono gli stessi Stati beneficiari dei programmi che hanno l’illusione di farcela. Per definizione si arriva in ritardo, ma nel caso della Grecia è peggio: non ci siamo ancora arrivati. 

«Si doveva offrire un taglio del debito in cambio di riforme strutturali di medio-lungo periodo. L’aumento delle tasse avrà un effetto recessivo e la liberalizzazione dei fornai fa solo sorridere»

Il piano imposto ad Atene è da buttare?
Chiede delle riforme nel medio-lungo periodo anche condivisibili, come la riforma dell’istituto di statistica e il tagli delle baby pensioni. Ma è difficile capire quali saranno gli effetti sull’economia. L’aumento delle tasse avrà un effetto recessivo, è difficile pensare che ci sarà una ripresa, almeno per i prossimi due anni. Dal punto di vista della gestione siamo in un circolo vizioso, che si poteva evitare solo in un modo: mettere su un piatto della bilancia il taglio del debito greco e sull’altro riforme di lungo periodo. Imporre la liberalizzazione dei fornai fa solo sorridere.

Quindi Tsipras non aveva torto a chiedere il taglio del debito in cambio delle riforme. 
Dal punto di vista logico, sul write-down (riduzione contabile, ndr) del debito aveva ragione. Il problema è che Tsipras e Varoufakis non hanno messo sul piatto riforme di lungo periodo, e anche se l’avessero fatto, non avevano abbastanza credibilità. Con il referendum poi l’hanno perso completamente, cosa che ha portato ad avere delle condizioni peggiori di prima. 

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

L’Europa ne esce a pezzi in tutti i casi
È il grande fallimento della governance dell’Europa. Se in America Latina si potè fare il piano Brady fu perché il governo Usa ebbe la forza politica di imporlo. In Europa oggi non c’è un’autorità centrale che possa andare contro i cittadini tedeschi. 

«Francamente ho visto Draghi troppo assente. Avrebbe dovuto dare liquidità alle banche e fare pressioni sull’Esm perché salvasse le banche»

La Bce è l’unica istituzione che si è mossa in modo pan-europeo. Come si giudica l’operato del suo presidente Mario Draghi?
Francamente l’ho visto troppo assente. Dopo il referendum la soluzione da intraprendere era quella di mettere in sicurezza le banche. Da una parte ridando loro fiato attraverso la liquidità di emergenza, la “Ela”. Dall’altra facendo pressioni sul Fondo Salva Stati (Esm) perché provvedesse al salvataggio delle banche e le rendesse più europee, anche dal punto di vista della proprietà. Il concetto di fondo è che bisognava spezzare il circolo vizioso tra fondi sovrani e banche. A quel punto, messe al sicuro le banche, si poteva pure dire al governo greco: “avete rifiutato l’accordo, ora vedetevela da soli”. Invece si è visto pochissimo coordinamento tra le politiche fiscali (dei governi) e quelle monetarie della Bce e l’accordo firmato ha una logica vecchia, che rinvia il problema. 

Draghi poteva fare di più?
. La Bce sembra molto soggetta agli Stati, politicamente. Ha sempre detto che può aumentare la liquidità solo in presenza di un accordo tra i governi. Il che è una cosa mai sentita.

«Non c’è da farsi illusioni: quando riapriranno le banche in Grecia ci sarà lo stesso un bank run»

La Bce doveva aumentare la liquidità di emergenza Ela subito l’accordo, nella riunione di lunedì 13?
Certo, poteva farlo. Non lo ha fatto per fare pressione pressione sul Parlamento greco. Quello che strozza un Paese più di ogni altra cosa è chiudere i sistemi di pagamenti. Mi aspetto che la Bce ricominci a erogare liquidità dopo che il Parlamento avrà approvato l’accordo e le misure. Ma non c’è da farsi illusioni: ci sarà lo stesso un bank run, una corsa agli sportelli, perché la popolazione non si sentirà rassicurata. 

Draghi è più debole oggi di un mese fa?
Penso che sia ancora molto forte. Gli eventi degli ultimi giorni hanno leso un po’ l’indipendenza della Bce, ma dai tempi del “whatever it takes” la sua credibilità è rimasta alta e deriva dal fatto che ha operato fin qui come l’unica autorità pan-europea. È visto ormai come il “presidente dell’Europa”. 

È per questo che è gli Usa lo vedono come l’interlocutore da cercare?
Non lo so. So che è visto come l’unica autorità credibile in Europa. 

Il piano prevede una ricapitalizzazione da 25 miliardi delle banche greche. Basteranno?
Credo che saranno sufficienti. Gli stress test della Bce hanno mostrato che la situazione delle banche non è disastrosa, perché non hanno più in pancia i titoli di Stato greci. Sono relativamente facili da gestire, sia per la liquidità che per la solvibilità. La loro situazione però peggiora con il peggioramento dell’economia greca. Bisogna fare dei passi perché diventino più europee, anche dal punto di vista della proprietà. 

«Il problema della Grecia non si è risolto. E la cosa più preoccupante è che di fronte alle crisi la Ue improvvisa»

L’euro oggi è uno “zombie”, come ha detto il ministro delle Finanze della Slovacchia?
Se si intende come solidità del progetto, senza dubbio. Perché il problema della Grecia non si è risolto. Per 2-3 anni sentiremo parlare meno della Grecia, ma la logica degli interventi è sbagliata. E la cosa più preoccupante è che di fronte alle crisi la Ue improvvisa. La sfiducia nasce da qui, dal fatto che dobbiamo stare attaccati alle notizie che cambiano ogni mezz’ora. Le istituzioni inoltre sono deboli, nella sostanza si passa sempre da Germania e Francia. Il piano Brady degli Usa invece indicò subito una soluzione di lungo periodo. Non è così con l’Europa e questo porta a un indebolimento strutturale dell’euro. 

A proposito di Stati Uniti, il Fondo Monetario Internazionale (che ha sede a Washington) ha imparato le lezioni del passato?
È l’unica istituzione che ha ribadito il concetto che il debito greco non è sostenibile e che era necessario un “write-down”. Non è comunque chiaro cosa ci stia a fare al tavolo il Fondo monetario internazionale: se c’è un problema in uno Stato degli Usa non chiamano l’Fmi. Come non ha senso che al tavolo della Troika ci sia anche la Bce. Aumentare il livello multilaterale è stato richiesto dalla Germania ma non ha ragion d’essere. Quella del debito greco poteva essere l’occasione per snellire il funzionamento delle istituzioni europee. Ma si è andati in tutt’altra direzione. 

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