Occident Ex-PressEcco le social street: «I vicini di casa? Li ho conosciuti su Facebook»

Ecco le social street: «I vicini di casa? Li ho conosciuti su Facebook»

«I miei vicini di casa li ho conosciuti prima su Facebook che sul pianerottolo». In due parole ecco il Social Street, gruppi Facebook legati a vie cittadine o quartieri dove ricostruire quello che un tempo si chiamava “buon vicinato”. Lo racconta Cristina Pasqualini, ricercatrice di Sociologia generale dell’Università Cattolica di Milano, che da ottobre 2014 dirige la prima ricerca italiana totalmente autofinanziata e dedicata al mondo delle Social Street, dal titolo Vicini e connessi. Alla scoperta del vivere social.

Il gruppo di studio è formato da altri due ricercatori – Fabio Introini e Nicoletta Pavesi – oltre a un nutrito manipolo di specializzandi e dottorandi che si è dato il nome di GRISS (Gruppo Ricercatori Social Street). Realizzano analisi quantitative, questionari e interviste con amministratori e iscritti ai gruppi. Ma anche passeggiate etnografiche, per toccare con mano i problemi materiali nei quartieri di Milano dove si sono organizzate queste forme di “buon vicinato virtuale”.

La prima ricerca scientifica su Social Street è dell’Università Cattolica di Milano. La sociologa Pasqualini: «Il fenomeno è esplosivo»

«Ma dal virtuale si passa al reale» puntualizza la Pasqualini, perché «se Facebook nasce o viene utilizzato in particolare per ristabilire i rapporti con persone lontane nello spazio ma comunque conosciute, le Social Street utilizzano la rete per incontrare sconosciuti che però sono fisicamente vicini, che abitano o lavorano nello stesso quartiere, nella stessa strada«. E che hanno interessi in comune come il prestito di oggetti, la “Banca del Tempo”, cioè la possibilità di scambiarsi competenze e professionalità, far conoscere i rispettivi figli. E ancora, recensire i migliori ristoranti di zona o quelli più economici, coltivare orti urbani, aperitivi sociali – recentemente la Social Street di via Maiocchi ne ha organizzato uno assieme a SOS Emergenza Rifugiati Milano, l’associazione che opera coi profughi della Stazione Centrale.

Il primo gruppo è nato a Bologna nel 2013, “Residenti in via Fondazza”, da un’idea di Luigi Nardacchione e Federico Bastiani – quest’ultimo a gennaio insignito del Premio Campione 2015 alla presenza del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.

Le “strade sociali” sono un fenomeno emergente. Ancora non esistono pubblicazioni scientifiche ma cresce l’attenzione da parte di alcuni fra i grandi maestri della sociologia: Anthony Giddens, Marc Augè, Richard Sennett e Rob Hopkins, il fondatore delle Transition TownUn’idea italiana che si sta propagando in giro per l’Europa. «Esistevano strade sociali anche prima del 2013 – per esempio a Londra – ma questa forma specifica, con tanto di “marchio” e criteri per poter accedere alla dicitura “Social Street”, è una peculiarità italiana». Dato che risulta anche dai confronti della dottoressa Pasqualini con colleghi internazionali. 

Da qualche mese, tuttavia, le strade sociali hanno preso piede anche oltre le Alpi. «Ce ne sono 19 a livello mondiale di cui 9 nel Vecchio Continente. In molte città europee stiamo assistendo a fenomeni di imitazione: a Ginevra in Svizzera, in Croazia, Francia, Nottingham in Inghilterra, a Barcellona, tre in Portogallo e proprio a metà giugno è nata la prima irlandese nella città di Galway».

Le Social Street di Milano e Bologna sono un modello. Fenomeni di imitazione in tutta Europa, dalla Svizzera all’Irlanda, passando per la Croazia.

A Milano il fenomeno è letteralmente esploso: «In otto mesi abbiamo censito 62 Social Street, oltre alle due collocate a San Donato Milanese. Le più numerose come San Gottardo, Lambrate e Maiocchi contano anche 1500 iscritti l’una». Non tutte hanno successo. «53 sono attive, 9 non più. Conca del Naviglio è poco attiva perché il fondatore per ragioni lavorative si è traferito in altre regioni e non c’è stato passaggio di testimone, quella di Largo la Foppa è completamente chiusa, in quella di via Vincenzo Monti l’adesione è stata minima”. I flop si verificano nelle aree di uffici o in quelle abitate da professionisti, «per un mix di diffidenza e mancanza di tempo». Attecchiscono, invece, a ridosso delle zone centrali di Milano: «Nel centro storico non ce n’è nemmeno una, le circoscrizioni più coperte sono zona 3 (Città Studi, Lambrate), zona 4 (Vittoria, Forlanini) e zona 6 (Barona, Lorenteggio)».

Possono diventare anche uno strumento di pressione politica sulle amministrazioni comunali, come lo erano i comitati di quartiere, perché «nel momento in cui occupi un’aiuola pubblica senza autorizzazione e inizi a coltivare determinati prodotti, le istituzioni si sentono interpellate», prosegue la sociologa della Cattolica. «È più di un anno che alcune Social Street stanno incontrando l’assessore alle Politiche Sociali Pierfrancesco Majorino. Si è cominciato a discutere di come imitare i modelli già oggi in atto a Bologna e Rimini».

Nelle due città dell’Emilia-Romagna le amministrazioni stanno promuovendo queste esperienze informali, collocandole dentro un contesto legislativo grazie a un testo unico che regolamenta le attività della “cittadinanza attiva”. «A breve – verosimilmente dopo l’estate – il Comune farà una proposta calcata sull’esperienza di Rimini. Si può mettere a disposizione uno sportello unico dove presentare i progetti e le iniziative con finalità sociali. Il Comune potrebbe anche proporre alle Social Street di diventare associazioni, in modo tale da avere dei referenti o delle garanzie assicurative in caso di incidenti a cose o persone».

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Non solo le istituzioni. C’è anche il problema dell’integrazione con le minoranze etniche nei quartieri: «Lambrate è diventato un gruppo così numeroso proprio in seguito a un’attività fisica di riappropriazione del quartiere, quando nell’estate del 2014 alcuni cittadini hanno organizzato un grande evento nella piazza Rimembranze, da anni appannaggio dei gruppi rom». Poteva essere un gesto in grado di scatenare conflitti con quella minoranza. E invece, «sembrerà paradossale, ma da quel momento la piazza è tornata ed essere un luogo di condivisione – fra mille difficoltà – ma non è più solo un luogo di scontro».

La Social Street di Lambrate ha migliorato i rapporti con la comunità rom di piazza Rimembranze: «Non è più un luogo di scontro»

Se c’è qualcuno che coi problemi di integrazione nelle Social Street milanesi ha avuto a che fare, è Alessandro La Banca, il ragazzo che nel 2010 ha fondato il gruppo “Paolo Sarpi – Quartiere di Milano”, nella China Town meneghina. “Paolo Sarpi” non fa parte del marchio Social Street, ma conta più di 4mila iscritti ed è il gruppo più numeroso di Milano. «L’ho fondato – racconta La Banca – per mettere in contatto le decine di associazioni che operano qui. Residenti, commercianti all’ingrosso, commercianti al dettaglio. Volevo creare una piattaforma che permettesse a tutti questi soggetti di parlarsi».

«Ho alcune regole precise, sopratutto sulla politica, ma purtroppo commenti razzisti ne arrivano parecchi. Ultimamente si sono iscritti anche moltissimi cinesi. Ho inserito dei filtri per impedire i commenti più pesanti, o addirittura le minacce, però cerco di avere margini di tollerabilità perché sono il fondatore di questo gruppo ma non voglio essere il moderatore di ogni discussione. Sono obbligato a intervenire solo in alcune occasioni».

Il fondatore del gruppo di Paolo Sarpi: “Ci sono molti commenti razzisti, la politica deve stare fuori”

Alessandro La Banca conferma i contatti con l’assessore Majorino: «Stiamo cercando una soluzione con il Comune. Per loro sarebbe tutto più semplice se fossimo un’associazione però allo stesso tempo non vogliono vincolare nessuno a decisioni forzate. Ovviamente non è un lavoro gestire un gruppo con 4mila iscritti, però ruba diverse ore al giorno». Ne vale la pena? «La più grande soddisfazione – conclude La Banca – è quella di aver creato un ponte tra due comunità, italiana e cinese, che prima si ignoravano. Tutti si possono parlare, nel bene e nel male, ma almeno oggi esiste un punto d’incontro».

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