Ecoreati, un’indagine su tre riguarda la Lombardia

Ecoreati, un’indagine su tre riguarda la Lombardia

«Il settore della movimentazione terra in Lombardia è quasi sempre appannaggio della ’ndrangheta». Ad affermarlo è l’avvocato Sergio Cannavò, responsabile Ambiente e legalità di Legambiente Lombardia (nella foto in basso), «sulla base di numerose inchieste oramai decennali. Il collegamento tra ciclo del cemento e ciclo dei rifiuti ha questa peculiarità: il settore della movimentazione terra, che è un settore a bassissimo know-how, preliminare alla realizzazione di ogni piccolo cantiere, richiede le ruspe. In Lombardia è accertato che in questo settore la ’ndrangheta ha una sorta di monopolio. Nel sud di Milano, nella Brianza, nella zona di Lecco, è appannaggio di soggetti più o meno direttamente legati alla criminalità organizzata».

«Nel sud di Milano, nella Brianza, nella zona di Lecco, la movimentazione terra è appannaggio di soggetti legati alla criminalità organizzata»

Nel suo ufficio, poco distante da viale Monza, nel nord di Milano, l’avvocato Cannavò sfoglia i grafici allegati al rapporto Ecomafia, che Legambiente ha di recente presentato a Roma e che raccontano le storie e i numeri degli assalti criminali all’ambiente.

Il 2014 si è chiuso con un bilancio nazionale di 29.293 reati accertati (circa 80 al giorno, poco meno di 4 ogni ora), per un fatturato criminale che è cresciuto di 7 miliardi rispetto all’anno scorso, e che raggiunge quota 22 miliardi di euro.

È cresciuta l’incidenza criminale nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia, Sicilia, Campania e Calabria), dove si è registrata più della metà del numero complessivo di infrazioni (ben 14.736), con 12.732 denunce, 71 arresti e 5.127 sequestri.

«Ma la Lombardia non è da meno», afferma il legale, sulla base dei numeri che saranno presentati a Milano nel settembre prossimo.

Come si vede nelle infografiche, «nella regione si è registrato il più alto numero di inchieste per corruzione in campo ambientale». Ma c’è di più. Basta operare un’analisi incrociata dei dati. «Il numero delle inchieste si attesta attorno al 13 per cento complessivo su scala nazionale. Una percentuale che va affiancata ad un altro dato: il 30 per cento delle inchieste relative ai grandi traffici di rifiuti, quelli sanzionati dall’articolo 260 del Testo unico sull’Ambiente (“Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”), così come il maggior numero degli arresti nello stesso settore, tocca la Lombardia».

Vuol dire che, anche se le indagini non si sono sviluppate in Lombardia, o non sono residenti nella regione i principali indagati, «qui magari aveva sede il laboratorio di analisi, e il grosso dell’inchiesta ha riguardato la Toscana. In Lombardia venivano stoccati temporaneamente quei rifiuti, che poi partivano alla volta della Puglia, e così via. Il 30 per cento è un valore molto alto – sottolinea Cannavò – e dimostra che è qui che ci sono i soldi, la necessità di investire e di riciclare denaro sporco, e il cuore della corruzione vera e propria».

Sicuramente, a differenza di Puglia, Sicilia, Campania e Calabria, in Lombardia non si tratta sempre o direttamente di criminalità organizzata, «ma c’è tutta una zona grigia di imprenditori – prosegue Cannavò – che magari, almeno in una fase iniziale della loro attività non commettono reati ma, col tempo, si avvantaggiano di reati commessi da altri o comunque del modus operandi della ’ndrangheta. Se tu fai lavorare gli amici, io ti assicuro la tranquillità; se tu lasci correre, ti garantisco l’appoggio dei politici. Spesso funziona così, mica è necessario puntare una pistola alla testa, o dare dimostrazione della propria forza».

La Perego Strade è stata scalata dalla ’ndrangheta che, gradino per gradino, ne ha raggiunto i vertici

Il caso della “Perego Strade” ha fatto scuola. Perego è un tipico cognome brianzolo. E l’azienda era solida, aveva fama di azienda operosa e lavorava in molti cantieri della regione. «In un momento di grosse difficoltà economiche – racconta l’avvocato – sono stati chiesti prestiti a determinati soggetti per far fronte alla situazione. Questi soggetti sono risultati essere legati alla ’ndrangheta: le indagini hanno permesso di costruire un capo di imputazione nel quale si dice che la Perego Strade è stata scalata dalla ’ndrangheta che, gradino per gradino, ha raggiunto i vertici di un’azienda poi risultata, sempre stando alle indagini, responsabile di escavazione e smaltimento illegale di rifiuti in molti luoghi. Anche all’ospedale Sant’Anna di Como, finito nel processo ancora in corso».

Ma di esempi se ne possono portare tanti altri. La “zona grigia” di cui parla Cannavò, secondo i dati che Legambiente ha raccolto, grazie all’instancabile supporto delle forze dell’ordine, è costituita da soggetti che, anche se non direttamente legati alla criminalità organizzata, di fatto si comportano da criminali. E di casi se ne possono elencare molti, «dallo sversamento di tonnellate di petrolio nel Lambro, ai rifiuti interrati nel corso della bonifica del quartiere Santa Giulia a Milano, fino all’impianto a biomasse della Riso Scotti Energia, utilizzato per smaltire rifiuti pericolosi», segnala Cannavò.

La pietra tombale di questo tipo di inchieste, tutte le volte che riescono ad arrivare a processo, è la prescrizione: interviene sempre prima che la sentenza, eventualmente di condanna, sia pronunciata dalla Corte di Cassazione. La complessità dell’indagine e del dibattimento rende inevitabilmente più lunghi i tempi.

«Per questo è fondamentale che il testo sugli ecoreati, diventato legge nel maggio scorso, preveda il raddoppio dei tempi di prescrizione. Se non altro si garantisce che i prossimi processi di questo tipo vedranno una fine», spiega il legale. Le norme introdotte, che si aspettavano da almeno una ventina d’anni, sono state salutate con gioia dagli ambientalisti: «Riteniamo che ci sia tanto altro da fare, ma questo è un inizio».

«L’intransigenza nei confronti di chi non rispetta le regole è necessaria»

Ciò non vuol dire che non esistano esempi virtuosi di imprese che rispettano le regole. «La certificazione ambientale che alcune aziende hanno spesso è indice di una maggiore attenzione. Bisogna essere molto chiari – sottolinea il responsabile di Ambiente e legalità Lombardia – A Confindustria nazionale, così come alle associazioni di categoria regionali, che hanno esempi virtuosi proprio in una delle filiere più a rischio, quella del riciclaggio e del trattamento finalizzato al riutilizzo di rifiuti, mi sento di chiedere il perché non prendano le distanze e assumano provvedimenti concreti nei confronti di quelle industrie in cui invece è assodato da sentenze che inquinano e commettono reati. L’intransigenza nei confronti di chi non rispetta le regole è necessaria. Anche perché chi viola le norme sull’ambiente – conclude Cannavò – fa concorrenza sleale: chi getta i propri rifiuti in una discarica abusiva ci guadagna, e abbatte i costi di smaltimento. E lo fa a svantaggio dei soggetti che seguono le regole e fanno onestamente il loro lavoro».

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