Taccola«Grexit? Draghi si ribelli e aumenti la liquidità di emergenza»

«Grexit? Draghi si ribelli e aumenti la liquidità di emergenza»

Hanno sbagliato tutti: il Fondo monetario, la Commissione europea, il duo Tsipras-Varoufakis e anche lo stesso Mario Draghi. Ma lo stesso presidente della Bce oggi ha la possibilità di smarcarsi dalla posizione rigida che hanno adottato gli altri due creditori di Atene e provare a evitare il baratro di una Grexit. Come? Aumentando di propria iniziativa la liquidità di emergenza per le banche greche, attualmente bloccate allo stock di 89 miliardi. A sostenerlo è Fabrizio Onida, professore emerito in International Economics all’Università Bocconi di Milano, secondo cui la crisi si sarebbe potuta risolvere da tempo, se le richieste fossero state più chiari e flessibili nei tempi. Una crisi di liquidità, invece, si sta trasformando in una crisi di solvibilità da cui hanno tutti da perdere, a partire naturalmente dai cittadini greci. 

Professore, di fronte alla controproposta di Tsipras alle istituzioni, Angela Merkel ha risposto chiudendo la porta. La Ue dovrebbe trattare prima del referendum o no?

Sicuramente dovrebbe dichiararsi disponibile a un tavolo in cui i greci siano disposti a rivedere la loro ultima piattaforma. Prendiamo ad esempio l’esenzione della tassazione per le isole, che a me pare curiosa in un momento in cui la Grecia deve alzare il gettito fiscale per far fronte alle spese sociali necessarie. Se Tsipras è disposto a rivedere l’esenzione fiscale per le isole, magari non dall’oggi al domani ma gradualmente, l’Eurogruppo deve essere disposto ad andare a un tavolo, che non può che essere informale.  

Intanto però si va verso il referendum e potrebbe vincere il No. 

«Questo referendum è estremamente pericoloso, perché il contenuto del quesito non è così evidente agli occhi del cittadino che andrà a votare»

Questo referendum, detto da economista, ma anche da cittadino, è estremamente pericoloso, perché il contenuto del quesito non è così evidente agli occhi del cittadino che andrà a votare. I referendum sono buoni quando la scelta è secca: Sì o No su una cosa identificata. In questo caso sostanzialmente si dice Sì o No a un accordo, alle cose chieste dalle istituzioni. In questa situazione l’elettore medio greco, che già non brilla di preparazione tecnica e culturale, vota secondo pancia. E vota secondo ciò che nel frattempo piazza Syntagma avrà determinato. Lo stesso Tsipras, un po’ paradossalmente, chiede di votare No perché il governo sarebbe coperto politicamente nella sua posizione di rifiutare il pagamento delle rate. Si rende però conto che il No, quindi il rifiuto dell’accordo, porta dritto dritto al Grexit, perché a quel punto la stessa Bce non potrà espandere la sua dotazione di liquidità di emergenza, la cosiddetta Ela. Potrà farlo invece non appena passasse il referendum, con la vittoria del Sì, non appena fosse chiaro che l’elettore greco medio ha valutato che non vuole abbandonare questa moneta. In questo momento abbandonare l’euro vuol dire entrare in un territorio estremamente rischioso, su vari fronti. 

Cosa succederebbe nel caso vincessero i No?

«Se vincesse il No ci sarebbe un nuovo un tasso di cambio, con il 30-40% di svalutazione della nuova dracma rispetto all’euro»

Il primo effetto si avrebbe sull’inflazione, che si avrebbe attraverso gli scambi: passerebbe dal semplice rincaro delle importazioni. Ci sarebbe un nuovo un tasso di cambio, con il 30-40% di svalutazione della nuova dracma rispetto all’euro. Questa prospettiva, in un momento in cui la Grecia stava appena uscendo dalla recessione, è chiaro che significa andare incontro a un’altra fase di recessione, di disordine, di caos, con i capitali bloccati per evitare che escano ulteriormente. A questo punto, mi auguro che l’elettore greco abbastanza saggio accetta il fatto che – come ha detto Renzi – il referendum non è sull’accordo o non accordo, ma su dracma ed euro. Se il popolo dicesse Sì, Tsipras dovrebbe rimettere il mandato e si dovrebbe formare un altro governo, con una maggioranza che preveda Syriza e un’altra parte del parlamento. 

Se dovesse indicare chi è il responsabile principale del fallimento del negoziato, indicherebbe le tre istituzioni creditrici o il governo greco?

La risposta è facile: entrambi. Senza entrare troppo nel dettaglio delle 10 pagine della proposta Juncker, mi sembra che in molti passaggi la piattaforma dica chiaramente: “Noi chiediamo questo, però possiamo trovare delle modifiche, soprattutto del timing”. È quindi abbastanza aperta, ma è stata presentata in modo tale da far prevalere l’idea che chieda l’accettazione totale o il suo rifiuto. 

Quali sono gli errori delle istituzioni europee e quelli di Tsipras?

«Tra l’andare in pensione a 67 anni nel 2022 e nel 2025 c’è una differenza tale da rendere impossibile un accordo?»

Quelli delle istituzioni europee vanno indietro nel tempo, il primo dei quali è stato non fare un bailout nel 2010. L’errore recente è stato quello di non formulare le proposte con un linguaggio più semplice, più aperto alla modifica sui tempi, più che sui contenuti. Poniamo il tema dell’allungamento dell’età di pensionamento: l’Europa chiede di andare in pensione a 67 anni entro il 2022, Tsipras dice inizialmente che si può fare dal 2035, poi mi dicono che sia sceso al 2025. Tra 2022 e 2025 c’è una differenza tale da rendere impossibile un accordo? Invece, per come la proposta è formulata, Tsipras e Varoufakis si sono sentiti punti nel vivo. A quel punto si è fatto il secondo errore, il loro, quello che è quello di indire un referendum che crea più problemi di quelli che avessero prima. 

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

L’impressione, leggendo l’ultima bozza diffusa dalla Commissione, è che ci sia una richiesta perfino eccessiva di avere soldi subito, a discapito di una crescita possibile nel medio periodo. 

«Varoufakis non ha fatto molto per rendersi simpatico, un vizio da intellighenzia con la puzza sotto il naso»

Certamente l’idea di fare delle cose perché siano coerenti con un’ipotesi di crescita e non di recessione non è affermata nelle 10 pagine di Juncker. Si può amare o no il duo composto da Tsipras e soprattutto da Varoufakis, che non ha fatto molto per rendersi simpatico, un vizio da intellighenzia con la puzza sotto il naso, radical chic. Detto ciò, davanti alla possibilità di un’uscita dall’euro, è chiaro che l’Europa doveva fare qualcosa di più. 

Lei ha sostenuto su Lavoce.info che la crisi di qualità si sta trasformando in crisi di solvibilità. Sarebbe però stata risolvibile allargando anche alla Grecia il Qe? 

Il Qe è uno strumento neutrale. La Bce si impegna ogni mese a comprare 60 miliardi di euro di titoli dai vari Paesi, riservandosi di dire quali Paesi. Se non fossero emerse delle difficoltà di linguaggio e di comprensione reciproca, quella finestra avrebbe potuto essere lasciato aperta. Anche se non per 60 miliardi, perché Draghi non può impegnare tutti i suoi soldi a coprire la Grecia. L’altra fonte di intervento sono gli Omt (Outright Monetary Transactions), che però hanno un inghippo: l’intervento è illimitato, ma a ragione o torto sono gestibili solo in presenza di un programma di aggiustamento, che in questo momento non c’è. Allora Draghi ha fatto l’unica cosa che poteva fare, usare la liquidità di emergenza, Ela. Tuttavia, alla rottura del tavolo lo stock dell’Ela si è fermato a 89 miliardi euro, mentre era il momento di allargarlo. 

Draghi ha gli strumenti per fare un nuovo “Whatever it takes” per la Grecia, come lo fece per mettere al riparo l’euro dalla speculazione?

«Questo è un caso in cui la Bce, pur rischiando un po’ la faccia di Draghi, potrebbe unilateralmente decidere che è nel sommo interesse dell’Ue che la Ela possa essere estesa»

Secondo me ha gli strumenti. La Banca centrale è indipendente dai poteri politici, questo è un caso in cui la Bce, seppur rischiando un po’ la faccia di Draghi, potrebbe unilateralmente decidere che è nel sommo interesse dell’Unione europea e della zona euro che la Ela possa essere estesa, per evitare il peggio. 

Draghi è l’unico che ha fatto politica finora, pur non essendo un politico?

Se vogliamo, è proprio così. 

Chi vuole la Grexit oggi in Europa?

La Grexit in questo momento sarebbe probabilmente ben salutata dai movimenti populisti. In casa nostra dalla Lega, anche se Matteo Salvini sta prendendo un po’ le distanze. Quelli che non credono nell’euro possono vedere nella Grexit l’anticamera del suo sgretolamento. Poi ci sono i partiti di estrema destra anti-europei. Sui 5 Stelle non riesco ad esprimermi perché per me rimangono misteriosi. 

Al di là dei partiti, la Grexit conviene a qualche Paese?

No. Poi che la Lituania o la Lettonia potrebbero essere contente di vedere lo sgretolamento del fronte Sud dell’euro, è una interpretazione un po’ cattiva, non del tutto da escludere, ma su cui non mi sento di fare congetture. Va detto che non sono loro che devono dire Grexit sì o no. Quelli che lo devono dire sono casomai Francia, Germania, Italia e Spagna. 

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