Simone Cimminelli, 33 anni, arriva a Londra nel gennaio 2014. Mentre si propone a Katerina (la ragazza inglese conosciuta per una serie fortuita di cause e conseguenze, compresa la scelta di frequentare la Escp Europe, Scuola di management ed economia di Torino-Londra-Parigi, e di tornare a Londra per un week-end di saluto ai compagni di corso conosciuti in Uk), mentre avvia i preparativi per il matrimonio (compreso il chiedere la mano al padre colonnello di lei), e mentre gestisce in remoto gli affari della società di investimento di famiglia, Simone lavora anche per trasformare iStarter in azienda londinese. Non per dimenticare l’Italia, ma per rilanciarla al meglio. iStarter è un’acceleratore di imprese nato a Torino nel 2012. Nel 2014, Cimminelli e gli altri 61 soci fondatori di questa startup decidono di spostare, nel giro di un anno, tutte le operazioni a Londra.
Istarter, l’acceleratore di impresa ponte tra Italia e Uk
Istarter è un’altra “impresa ponte” creata da expat italiani: aziende che mettono l’Italia in contatto con il mondo. Funziona in modo molto semplice: Prende startup italiane promettenti e le porta a Londra per trovare gli investimenti necessari a svilupparle. Allo stesso tempo, iStarter aiuta gli investitori inglesi a trovare il meglio delle aziende italiane in cerca di denaro. «Il mercato del capitale di rischio italiano vale 40 milioni», spiega Simone. «Nel 2014 iStarter ha raccolto 4 milioni di euro tra le startup con cui abbiamo lavorato, il 10% del mercato italiano di quell’anno. Un buon risultato, ma comunque troppo piccolo per sostenere i costi dell’acceleratore». Da qui la scelta di spostarsi nella capitale britannica, dove il mercato del capitale di rischio è notevolmente superiore. Secondo un articolo del Financial Times pubblicato nel dicembre 2014, la quantità di capitale di rischio investito lo scorso anno a Londra nel solo settore delle start-up tecnologiche è stato di 1,2 miliardi di dollari (1,09 miliardi di euro), venti volte superiore alla cifra di soli quattro anni prima, e pari al 65% dell’intero mercato del venture capital britannico.
iStarter funziona in modo molto semplice: prende startup promettenti e le porta a Londra a cercare investimenti
«L’arrivo ufficiale di iStarter a Londra è stato solo nel gennaio 2015. Ma è grazie a questa scelta che noi quest’anno raggiungeremo il break even», continua Cimminelli. «L’Inghilterra è il posto ideale per chi cerca investitori perché offre una serie di condizioni molto vantaggiose. Lo scorso anno ci sono stati 1,8 miliardi di pound di incentivi fiscali per gli investimenti in startup. Qui è presente il SEIS, uno schema che offre una detrazione fiscale del 45% sull’investimento iniziale fatto per creare una nuova azienda. Pone un limite di 150.000 pound di investimento. Se la startup va bene, tutto il guadagno (il capital gain) non viene tassato. Se invece fallisce, hai un ulteriore 20% di detrazione sull’investimento. Significa – continua Cimminelli – che se investi 100 pound, ne rischi solo 30». Una scelta «saggia» del governo british, commenta Simone, «perché i soldi investiti gireranno sotto forma di stipendi, Iva, consumi delle startup. Non sono soldi persi per il governo britannico».
Uk, mercato particolarissimo e florido
Ma non c’è solo il SEIS. In Gran Bretagna si mescolano fenomeni particolarissimi. «Il crowdfunding qui sta crescendo a ritmi vertiginosi. Il pound è sempre più forte, tanto da rendere molto vantaggioso per una azienda britannica investire in Italia o nel Sud Europa». Londra attrae fondi da tutto il mondo. Lo scorso anno, ricorda il Financial Times, è cresciuto il numero di investitori statunitensi ed extra europei. Google Ventures, il ramo di venture capital di Google, ha aperto a Londra un ufficio focalizzato sull’Europa, e anche il gruppo Santander ha aperto qui un investment office.
Londra attrae fondi da tutto il mondo. Il mercato del capital venture del solo settore delle start-up tecnologiche è stato di 1,2 miliardi di dollari nel 2014, 20 volte superiore a quattro anni prima
La valutazione delle startup italiane portate da Simone e soci sul mercato britannico tende a lievitare di due volte e mezzo rispetto all’Italia. Le sue probabilità di successo aumentano del 200-300%. «La formula ideale per le imprese che aiutiamo è mantenere in Italia la parte di IT e di high skills, sfruttando gli alti livelli di formazione, e il relativo basso costo del lavoro. Ma di usare le abilità britanniche nel management e sviluppo di impresa». Di fatto, si tratta di piccole multinazionali, a cavallo tra Italia e Londra, con giovani expat al comando.
Le community di italiani all’estero, ponti sul mondo
E poi c’è il caso di Italian Community, l’impresa creata da Alessia Affinita, 40 anni, expat di più lunga data (15 anni). Dopo aver lavorato come copy writer a Londra e dopo aver aperto la sua propria agenzia pubblicitaria – Idea188.com, Alessia ha lanciato The ItalianCommunity, un progetto che lei ama definire “le pagine gialle londinesi”, dove trovare tutte le attività commerciali e i servizi professionali aperti da italiani a Londra. I business iscritti a maggio 2015, a un anno dal lancio, sono oltre 1300, circa 50 al mese. Le visite mensili sono circa 50.000.
The Italian Community aiuta le aziende italiane a portare prodotti e servizi in Uk
Sulla directory gratuita creata da Affinita, puoi cercare un idraulico, un ginecologo, un pediatra. Tutti italiani. È pensata per gli inglesi che cercano servizi nostrani e per i nostri expat. «Un servizio creato per servire la comunità sempre più numerosa degli italiani presenti a Londra e in Uk», spiega Alessia. Ma che ha scoperto anche una nuova finalità. «Mettiamo in contatto aziende italiane che vogliono internazionalizzarsi, con imprese di connazionali già radicate in Uk». Il caso più classico e frequente è quello di un produttore alimentare italiano che decide di esportare i suoi prodotti in Inghilterra, o di aprire un ramo inglese. «Quello che facciamo – continua Affinita – è mettere in comunicazione l’azienda italiana spesso incapace di gestire da sé lingua straniera e regole inglesi, con le imprese che da qui potrebbero aiutarla a realizzare i suoi obiettivi. Ci ha scritto ad esempio un panificatore siciliano. Voleva aprire un forno a Londra. Ma, visti i costi proibitivi di molte location qui in città, gli abbiamo proposto l’idea di mantenere la produzione in Italia, e di vendere qui attraverso distributori locali. Abbiamo fatto per lui una mappatura di tutti i ristoranti siciliani del Regno Unito, e cercato le connessioni migliori all’interno della comunità di italiani a Londra», spiega Alessia.
Il vantaggio offerto da Italian Community sta nella possibilità di fare affari tra compatrioti uniti dalla stessa cultura e percezione del mercato. Persone che condividono esigenze e difficoltà nell’affacciarsi su un mercato straniero. «La lingua è ancora il primo ostacolo nel tentativo di internazionalizzarsi di molte aziende, anche se già pronte sul piano organizzativo», spiega Alessia. «Ed è un limite che le fa temporeggiare troppo prima di affrontare mercati stranieri».
Da talenti in fuga a punti di riferimento per l’Italia
Prova che di servizi simili ci sia davvero bisogno sta nei numeri. «Ogni mese ci contattano almeno 10 imprese italiane. Per lo più tutte del settore alimentare». I visitatori del sito e dei social network arrivano al 70% dal Regno Unito, e al 30% dall’Italia.
«L’idea è nata perché sono sempre stata attratta dal fenomeno della mobilità sociale, racconta Affinita. Io stessa, come fornitore di servizi con la mia agenzia, negli ultimi 10 anni ho visto evolversi il mio target, la prova vivente di una nuova audience: se fino a 3 anni fa i miei clienti erano al 90% stranieri (inglesi, russi, spagnoli e un paio di italiani), ora sono tutti italiani tranne uno. Quasi tutti italiani che vivono qui in Uk, e un 20% circa che mi contatta dall’Italia. Questo mi ha fatto accendere la lampadina: serve un business market place di riferimento per attività italiane che devono rendersi visibili, e serve una piattaforma che aiuti i consumatori – in numero crescente – a trovare prodotti e servizi italiani». Perché quasi tutti i nostri expat, anche quelli che rifiutano la propria origine, prima o poi cercano un dentista, un ginecologo o un idraulico italiano, spiega Affinita. Anche se sulle sue “pagine gialle” si cercano pure maestri di tennis o psicoterapeuti di coppia.
«Fino a ieri noi expat eravamo visti come traditori, scappati di casa, talenti in fuga. Oggi diventiamo realtà di riferimento per l’Italia, ponti sul resto del mondo»
Dopo aver aperto rami in Francia e Germania, The Italian Community è sbarcata il primo luglio anche negli Stati Uniti. Con oltre 230 milioni italiani registrati, quella negli Usa è tra le 8 più importanti comunità nostrane nel mondo. «Le community di connazionali all’estero stanno avendo sempre più successo. È un fenomeno che si srotola sotto i nostri occhi, commenta Affinita. Fino a ieri noi expat eravamo visti come traditori, scappati di casa, eravamo i talenti in fuga. Oggi diventiamo realtà di riferimento per l’Italia, ponti sul resto del mondo».
«Noi di iStarter sponsorizziamo TechItalia», racconta invece Simone Cimminelli, «un evento sul mondo tecnologico fatto da italiani. L’idea non è di fare campanilismo, ma di fare rete tra italiani, per costruire qualcosa che sia il più inglobante possibile. Noi italiani siamo un blocco e siamo qui. Condividiamo spesso visioni e passioni. Dobbiamo collaborare».